Sull’orizzonte dalla spiaggia di Wata Bo’o, il mare era azzurro e calmo, salvo ogni tanto il guizzo improvviso di un pesce argentato. Questo avamposto tropicale 1.600 chilometri a est di Bali dà l’impressione di essere stato sempre così. Eppure la spiaggia ha avuto una storia movimentata. I portoghesi, gli olandesi, i giapponesi e più recentemente gli indonesiani se la sono contesa con dure battaglie. La Repubblica Democratica di Timor-Leste, un tempo Timor Est, è diventata indipendente dall’Indonesia ventuno anni fa. Qui si pensa soprattutto a tirare avanti e a ricostruire, più che ad attirare turisti. Il risultato è che per ora i visitatori sono pochi.

Le cose però potrebbero cambiare in fretta. Si sente dire spesso che la costa nord ha le caratteristiche per diventare una delle più importanti destinazioni oceanografiche del mondo.

Qui infatti convergono le rotte migratorie di balenottere azzurre, capodogli, orche, globicefali, squali balena, mante giganti e altri ancora. Il giovane stato, che occupa una metà dell’isola (l’altra è dell’Indonesia), è pronto a tutto questo?

Sono atterrata nella sonnolenta e polverosa capitale Dili, l’unica parte del paese con infrastrutture decenti. In altre zone i servizi sono carenti, i trasporti pubblici poco affidabili e le attività ricettive inadeguate.

Sembra il sudest asiatico di una volta, dove nei villaggi si coltivano le tradizioni e dove le spiagge sono vuote, a volte in modo surreale, come Dollar beach, un tempo frequentata dagli operatori umanitari che lavoravano sull’isola e dove ora restano solo piscine abbandonate e una fontana a forma di ciabatta infradito.

Partenza all’alba

Ho guidato alcune ore verso est attraverso un paesaggio roccioso su una strada accidentata con montagne scoscese che si tuffavano in mare, piccole spiagge e barriere coralline. C’era poco traffico. Lungo la strada alcuni venditori ambulanti proponevano bottigliette di plastica piene di benzina, papaye mature e noci di cocco verdi. Ero diretta a Baucau, la seconda città del paese, all’ombra del Matebian, la montagna sacra degli spiriti. In città si respira una decadente aria coloniale e ci sono solo due hotel: uno non accettava prenotazioni, ma l’altro, non ancora aperto, è stato disposto a ospitarmi. Temo che se aumenteranno i turisti il paese si troverà in difficoltà.

Non ero l’unica attirata dalle voci sull’incredibile fauna marina della zona. Le altre stanze dell’albergo erano occupate da alcuni dei migliori fotografi e filmmaker subacquei al mondo – professionisti che lavorano per la Bbc, Netflix e il National Geographic – con pesanti teleobiettivi, droni e idrofoni. Forse ero nel posto giusto. Accanto a me alloggiava il cameraman Patrick Dykstra, vincitore del premio Bafta (l’equivalente britannico degli Oscar), sempre alla ricerca di località frequentate dalle balene per l’agenzia turistica Natural world safaris. Mi ha detto che fino a poco tempo fa il miglior posto al mondo per nuotare con le balenottere azzurre era lo Sri Lanka, ma ormai lì non si fanno più vedere da quattro anni: “Alcuni pensano che sia a causa del cambiamento climatico e dei suoi effetti su correnti e temperature marine. Ma era anche un settore non regolamentato: troppe barche e alcuni operatori molestavano gli animali”, ha spiegato Dykstra.

Il primo giorno abbiamo guidato lungo una strada tortuosa verso una spiaggia di sabbia, ci siamo avventurati in acqua con la bassa marea fino a una barca a motore con cui abbiamo raggiunto il mare aperto, blu scuro e profondo. Non si vedevano altre imbarcazioni né pescatori, come se l’oceano fosse tutto per noi. Fortuna ha voluto che pochi minuti dopo abbiamo avvistato un gruppo di quaranta balene pilota. Ci siamo fermati più avanti lungo la loro rotta e mi sono tuffata in mare: ho fatto appena in tempo a vedere le balene che sfrecciavano oltre.

Il giorno dopo siamo partiti all’alba. Per ore abbiamo scrutato l’oceano sperando nell’apparizione di una coda o di un soffio, tentando di individuare le balene con un idrofono. L’oceano può farti brutti scherzi: confonde il tuo equilibrio e ti disorienta, perché non ci sono punti di riferimento. Non ho visto nulla. Forse un pesce volante, forse una pinna, forse nulla.

Tornando verso l’albergo ho parlato con il fotografo subacqueo Shawn Heinrichs, che era già stato qui: “È una questione di pazienza e perseveranza. Hai la possibilità di vedere gli animali marini più grandi del mondo, dato che Timor-Leste ha un corridoio marino unico. Trovare tutte queste specie in un unico luogo è straordinario”.

Il merito va a una delle più potenti correnti marine che collega l’oceano Indiano al Pacifico zigzagando attraverso gli arcipelaghi dell’Indonesia e delle Filippine. L’80 per cento di quell’acqua sfreccia a nord toccando Timor. Poco lontano dalla costa, il mare è subito incredibilmente profondo, scende per diversi chilometri con scogliere sottomarine che generano correnti ascendenti ricche di sostanze nutrienti per i cetacei. È difficile immaginare condizioni migliori.

Il terzo e ultimo giorno abbiamo visto un branco di cento pseudorche e nel mezzo un delfino tursiope solitario. Non siamo riusciti a tenere il loro ritmo e ci hanno sorpassato. Inoltre il mare era troppo mosso per la nostra piccola barca. In questo tipo di viaggi bisogna tenere conto di variabili come il meteo, i cambiamenti climatici e il passaggio di El Niño.

La presidente dell’associazione del turismo marino di Timor-Leste, l’ecologa marina Karen Edyvane, ha fondato una stazione di ricerca vicino a Dili in cooperazione con l’università di Timor-Leste e l’ateneo Charles Darwin, in Australia: “Dieci anni fa non sapevamo quasi nulla di quello che succede in queste acque tropicali. Ora abbiamo un’enorme quantità di dati, specialmente sulle balene blu e sui capodogli”. Poco dopo la mia partenza l’ho sentita al telefono: la sua squadra quel giorno aveva avvistato dodici balenottere azzurre e otto il giorno prima. “È la prova che il paese può puntare sull’ecoturismo e prendere le distanze da un’economia che dipende quasi interamente dal petrolio”, ha detto Edyvane.

Protezione presidenziale

Una sera, dopo aver passato la giornata in mare, ho intervistato il presidente della Repubblica Democratica di Timor-Leste, José Ramos-Horta, che nel 1996 ha vinto un premio Nobel per la pace e dodici anni dopo è sopravvissuto a un tentato omicidio. Ho guidato alcune ore verso est fino alla città di Com e l’ho trovato che cenava in una tenda sulla spiaggia, indossava una giacca Harley Davidson e intratteneva alcuni vecchi amici che esploravano il paese in camper.

Ramos-Horta è un vero narratore, un uomo divertente. Mi ha raccontato del suo primo lavoro in uno sportello turistico all’aeroporto di Baucau, crediti di carbonio, riconciliazione postbellica, cavi in fibra ottica, Cop28 e della sua paura degli squali. Ma quando abbiamo parlato del mare di Timor, è diventato serio: “Sono assolutamente pronto a investire nella protezione del nostro ambiente marino per prevenire ulteriori danni. Da anni parlo di una politica comune sulla sicurezza marina con Australia e Indonesia, ma loro fanno orecchie da mercante”. Il capitano della mia imbarcazione, Ricardo Marquez, è convinto, insieme ai suoi colleghi, che il paese farà delle buone scelte. Loro per primi stanno abbandonando la pesca e l’agricoltura di sussistenza per il turismo. Puntano a diventare skipper e ad aprire bed & break­fast e ristoranti. “Ho solo paura che le balene se ne vadano. Parliamo da molto tempo di come regolamentare il settore, ma ancora non si è fatto nulla”.

“Abbiamo bisogno di formazione e certificazioni”, ha ribadito Edyvane. “Al momento chiunque può saltare su una barca e nuotare accanto a una balena, senza nessuna distanza da rispettare. In Sri Lanka hanno sbagliato. Noi non possiamo farlo”. Al riguardo, l’isola caraibica di Dominica è considerata un esempio per il turismo marino sostenibile. Il paese ha annunciato la creazione di un’area marina protetta di circa ottocento chilometri quadrati per i capodogli. Il cameraman Patrick Dykstra è stato determinante per compiere questo passo. “Spero che Timor-Leste realizzi qualcosa di simile”, ha detto. “La mia impressione è che possa farlo”. ◆ nv

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Questo articolo è uscito sul numero 1559 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati