Il fiume Colorado nasce dalla neve scongelata che scende dalle montagne Rocciose e crea una serie di ruscelli che confluiscono nei prati e nelle valli. Come le arterie dell’apparato circolatorio, i suoi principali affluenti attraversano vari stati – Wyoming, Colorado, Utah e New Mexico – fino a unirsi in un fiume maestoso che viaggia per più di 2.300 chilometri e che nell’ultimo secolo ha reso possibile lo sviluppo del sudovest degli Stati Uniti.

L’acqua deviata dal fiume ha fatto prosperare l’agricoltura su più di due milioni di ettari e serve circa quaranta milioni di persone in città come Denver e Los Angeles. Le risorse del Colorado hanno alimentato l’economia di sette stati del paese, oltre che del nord del Messico. Ma da molto tempo la quantità d’acqua prelevata è eccessiva. Oggi il fiume non può più sostenere la sfrenata sete dell’arida zona occidentale degli Stati Uniti.

Un secolo fa sette stati firmarono un accordo, il Colorado river compact, per spartirsi le risorse del fiume. Quel patto sovrastimò la quantità d’acqua che poteva essere destinata ai centri abitati e ai terreni agricoli. Oggi, dopo anni di allarmi lanciati dagli scienziati e sforzi insufficienti per adattarsi, quel patto sta andando a sbattere contro la realtà di un fiume che continua a prosciugarsi. Dal 2000, mentre l’aumento delle temperature dovuto all’uso di combustibili fossili ha aggravato la peggiore siccità degli ultimi secoli, la portata del Colorado è calata del 20 per cento. I bacini hanno raggiunto i minimi storici e la situazione continua a peggiorare. Questo sta convincendo la regione ad affrontare finalmente il problema. Ancora non è chiaro come saranno ripartiti i razionamenti tra gli stati, i distretti idrici e le comunità indigene. È possibile che alla fine dovrà intervenire il governo federale e non è escluso che la questione finisca in tribunale. In ogni caso, per limitare lo sfruttamento dell’acqua, le autorità dovranno diminuire le forniture alle aziende agricole e far ridurre i consumi di milioni di persone. Bisognerà limitare il numero di giardini ben curati e abbandonare colture particolarmente “assetate” come l’erba medica e destinare meno acqua ai campi da golf e ad altre attività che comportano consumi elevati.

Raccolta inutile

Facendosi strada sugli sci in una foresta di pini coperti di neve, Brian Domonkos raggiunge l’area della montagne Rocciose in cui nasce il fiume Colorado. Vuole controllare lo stato del manto nevoso vicino al passo Berthoud, nello stato del Colorado, dove il giorno prima sono caduti dodici centimetri di neve. “Spero che regga ancora per un po’”, spiega Domonkos, supervisore degli studi sulla neve per il Natural resources conservation service, un’agenzia del governo federale. È preoccupato perché in Colorado nevica sempre meno. Nella primavera del 2022 il manto nevoso nel bacino idrografico dell’alto Colorado si è fermato all’86 per cento della media storica, ma alla fine di luglio la portata d’acqua prodotta dallo scioglimento della neve è stata solo del 67 per cento rispetto alla media. Questa tendenza si ripete anno dopo anno. Un manto nevoso vicino alla media alla sorgente si traduce spesso in una portata scarsa d’acqua del fiume e dei suoi affluenti.

Negli ultimi anni si è formato un manto più spesso del solito grazie alle intense tempeste invernali, ma la neve che è caduta non basterà a riempire le riserve idriche, il cui livello si riduce da più di vent’anni. Le temperature medie nel bacino idrico superiore – da cui dipende gran parte della portata del fiume – sono aumentate di tre gradi rispetto al 1970. Nello stesso periodo sono stati registrati i 22 anni più secchi degli ultimi 1.200. Quando le temperature salgono, gli alberi e altre piante assorbono più acqua e cresce la quantità di umidità che evapora.

Negli ultimi anni, i lunghi periodi di siccità hanno fatto inaridire i terreni delle montagne. E quando la neve si scioglie, in primavera, la quantità d’acqua che scorre nei torrenti è piuttosto bassa. “L’acqua sta diminuendo”, sintetizza Domonkos. “Dobbiamo trovare il modo di adattarci”.

Il corso principale del fiume prende forma nel Rocky mountain national park, per poi incunearsi nella valle e raggiungere i terreni agricoli. In una delle fattorie della zona, Wendy Thompson riesce a vedere il fiume da casa. Si avvicina alla riva, dove l’acqua torbida scorre vorticosamente. “In questo periodo dell’anno il fiume dovrebbe essere trenta o sessanta centimetri più profondo”, spiega. Thompson ha 67 anni e ricorda che quando era ragazza nello stato c’era molta più neve. Un tempo il fiume allagava i pascoli. “L’ultima volta che abbiamo avuto una vera inondazione è stato nel 1985”.

Più a monte rispetto ai ranch del Colorado occidentale, l’acqua viene deviata e incanalata verso est, scorrendo in una serie di tunnel che passano sotto il continental divide, lo spartiacque che divide i fiumi che scorrono verso l’oceano Atlantico e quelli che finiscono nel Pacifico, per rifornire Denver e altre città in espansione. Al momento sono in fase di sviluppo due progetti per aumentare la capacità di raccolta idrica. Ken Fucik, scienziato ambientale e dirigente dell’Upper Colorado river watershed group, è preoccupato. Si chiede quale sia il senso dei due nuovi progetti, in un momento in cui i bacini esistenti alimentati dal Colorado si stanno prosciugando rapidamente. “Con quale acqua vorrebbero riempirli?”, si chiede.

Illusione di abbondanza

Il Colorado ha seguito il suo corso per milioni di anni, scavando solchi nell’arenaria, nella roccia calcarea, nel granito, nell’argillite e nello scisto, fino a formare il Grand canyon. I popoli indigeni che vissero lungo le rive del fiume e dei suoi affluenti per migliaia di anni decorarono le rocce dei canyon con petroglifi e pittogrammi. A metà dell’ottocento, quando i coloni bianchi si spostarono in massa verso ovest, le acque del basso Colorado si riempirono di battelli a vapore. I coloni cominciarono a deviare i corsi d’acqua e i torrenti, assegnando le concessioni in base a un sistema che di fatto concedeva il diritto di utilizzo al primo arrivato. L’acqua era considerata una fonte di ricchezza da accaparrarsi. La grande ambizione di politici, ingegneri e avventurieri era domare il fiume e sfruttarlo. All’inizio del novecento l’attenzione si spostò sui progetti d’irrigazione per “recuperare le terre aride”, secondo la definizione del Reclamation service, un’agenzia creata nel 1902 durante la presidenza di Theodore Roosevelt. Fin dall’inizio ci fu qualcuno che metteva in guardia dall’eccessiva dipendenza dal fiume. Prima della firma del Colorado river compact, nel 1922, alcuni scienziati sottolinearono che l’acqua del fiume non sarebbe bastata. Ma nessuno li ascoltò. L’accordo ripartiva lo sfruttamento del fiume “in perpetuo”, assegnando circa dieci miliardi di metri cubi all’anno agli stati dell’alto bacino (Colorado, Wyoming, Utah e New Mexico) e altrettanti a quelli del basso bacino (California, Arizona e Nevada). In base a un trattato siglato nel 1944, il Messico ottenne circa due miliardi di metri cubi.

Quelle quote furono stabilite in un periodo particolarmente piovoso, all’inizio del novecento. Negli anni trenta, durante la grande depressione, fu costruita la diga di Hoover, tra Arizona e Nevada, e nel 1963 fu completata la diga di Glen canyon, nel nord dell’Arizona. Michael Hiltzik, giornalista del Los Angeles Times, scrive che le dighe e i bacini “crearono solo l’illusione di un’abbondanza d’acqua”. Negli ultimi cinquant’anni è stata deviata una quantità d’acqua così grande che per molto tempo il fiume è rimasto prosciugato, lasciando il posto ad appezzamenti desertici e polverosi nel punto dove prima sfociava in mare, sulla costa messicana.

Le sofferenze del fiume Colorado sono state aggravate dal surriscaldamento del pianeta provocato dagli esseri umani. Negli anni novanta e duemila gli scienziati continuavano a ripetere che lo sfruttamento eccessivo del fiume, abbinato agli effetti della crisi climatica, avrebbe intaccato i bacini portandoli a livelli pericolosamente bassi. Negli ultimi anni gli scienziati hanno scoperto che la riduzione della portata del fiume è dovuta per metà all’aumento delle temperature, che il cambiamento climatico sta determinando l’aridificazione del sudovest e che per ogni grado in più la portata del Colorado potrebbe diminuire di circa il 9 per cento.

L’abbassamento del flusso d’acqua nella prima parte del corso del fiume ha accelerato il prosciugamento del lago Powell, nato dalla costruzione della diga di Glen canyon, e del lago Mead, creato dalla diga Hoover. Il sistema di ripartizione dell’acqua si basa su un clima che non esiste più, spiega Becky Bollinger, climatologa del Colorado climate center. Secondo Bollinger, continuare a sfruttare le acque del fiume è come svuotare progressivamente un conto corrente spendendo più di quello che si guadagna, avvicinandosi sempre di più alla bancarotta.

Il tempo stringe

Il governo federale ha cominciato a preparare il campo per limitare l’uso dell’acqua. I funzionari del dipartimento dell’interno hanno dichiarato che i prelievi annuali dovranno essere ridotti almeno del 15 per cento e fino al 30 per cento, invitando i sette stati che dipendono dal fiume a trovare un accordo e sottolineando che potrebbe essere necessario imporre tagli alla fornitura. Per ora i negoziatori dei governi statali e delle agenzie idriche non hanno trovato un’intesa e c’è chi teme che la discussione possa finire in tribunale.

Intanto i livelli dei bacini continuano a scendere e il tempo stringe.

Il fiume Colorado ha raggiunto uno stato critico in un decennio in cui le siccità estreme hanno portato ai minimi storici altri grandi fiumi: dal Mississippi al Rio Grande, dallo Yangtze in Cina al Danbuio e al Reno in Europa. Le ricerche indicano che la crisi climatica sta intensificando il ciclo dell’acqua, producendo, da un lato, siccità più frequenti e intense e, dall’altro, precipitazioni e inondazioni più abbondanti. Uno studio recente ha rilevato che negli ultimi settant’anni i corsi d’acqua degli Stati Uniti occidentali e meridionali si sono progressivamente prosciugati. I dati rivelano periodi più lunghi e più estremi di flusso scarso.

Anche se i cicli umidi e secchi continuano ad alternarsi, secondo Brad Udall, esperto di acqua e clima della Colorado state university, il fiume va verso un’aridificazione a lungo termine. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1498 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati