“La sera del 31 gennaio 2021 stavo dipingendo un enorme murale sul fianco di una fabbrica di mobili insieme ad altri amici artisti”, racconta Kyaw Moe Khine, in arte Bart was not here, o più semplicemente Bart. Dovevano finire l’opera entro il mattino dopo, così avevano comprato l’occorrente per fare un barbecue e mangiare all’aperto.

Oggi il nome di Bart è conosciuto nel circuito delle gallerie d’arte. Al telefono da Los Angeles sembra un ragazzo birmano-statunitense di seconda generazione. Emana un’energia e un entusiasmo contagiosi, anche quando racconta gli eventi drammatici che hanno impresso un nuovo corso al suo paese e alla sua vita.

“Quella sera siamo tornati a casa a dormire e nella notte c’è stato il golpe”, dice Bart. “Ci siamo svegliati senza linea telefonica e senza internet. In televisione non c’era nessun programma. Funzionava solo una stazione radio che trasmetteva musica tradizionale birmana. Era surreale. Sembrava un racconto dell’orrore”.

A volte capita che il mondo si trasformi nel giro di poche ore. In Birmania è successo il 1 febbraio 2021. In una notte i militari golpisti hanno cancellato ogni progresso fatto per la libertà d’espressione e infranto la speranza in un futuro migliore. La giunta ha rovesciato il governo della Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi, il primo democraticamente eletto dal 1962, prendendo il controllo del paese. Quasi due anni dopo, il bilancio è di 2.572 morti accertati e più di 13mila persone ancora rinchiuse in carcere.

Costretti a fuggire

Oltre a distruggere vite, il colpo di stato ha devastato il panorama dell’arte contemporanea birmana quando era uno dei più promettenti del sudest asiatico. Da subito i militari hanno preso di mira gli artisti e gli intellettuali, oltre a chiunque altro osasse contestare la giunta.

L’arte birmana cominciava ad affermarsi sulla scena internazionale, conquistando il consenso dei critici e aumentando di valore. Il paese è stato una presenza costante nelle ultime edizioni della triennale di arte contemporanea del sud Pacifico a Brisbane, dove sono state esposte opere di autori come Htein Lin, Sawangwongse Yawnghwe e Soe Yu Nwe, e alla biennale di Singapore. Ma anche i musei europei hanno mostrato interesse: nel 2021 il Centre Pompidou di Parigi ha curato una mostra interamente dedicata al pittore Bagyi Aung Soe.

Gli artisti che restano in patria fanno un lavoro meno politico. Ma anche dall’estero devono tutelare le famiglie dal pericolo di rappresaglie

Dopo il golpe molti artisti, tra cui Htein Lin, pittore, performer e attivista che da decenni partecipa ai movimenti di protesta, sono stati arrestati. I più fortunati sono riusciti a fuggire all’estero, dove continuano a richiamare l’attenzione sulla crisi birmana attraverso la loro arte.

“Io non sono un artista in esilio”, dice Moe Satt, che nel settembrel 2022 si è trasferito in una residenza artistica ad Amsterdam, nei Paesi Bassi, insieme a tutta la famiglia. “Sono fuggito, ma non ho abbandonato l’idea di tornare”. Sostiene che la sua storia personale e quella della Birmania coincidano. Le racconta con passione, gesticolando nervosamente, mentre il figlio neonato piange nella culla. Moe Satt ha partecipato alle proteste di Rangoon fin dal primo giorno. Si riuniva con altri artisti per letture e performance contro la giunta militare. Raccogliendo fondi grazie alle loro opere, lui e gli altri manifestanti si sentivano pieni di energia, motivati a restare uniti nella lotta comune. Poi la polizia ha cominciato a colpire i civili, usando proiettili, granate e armi meno letali, come i manganelli, il gas e i taser. I manifestanti sono stati massacrati in tutte le città.

Secondo l’ong Human rights watch, dal giorno del colpo di stato le forze di sicurezza hanno ucciso migliaia di persone che manifestavano pacificamente, armate solo di cartelli e slogan e mostravano il saluto a tre dita diventato simbolo della resistenza. Uno dei casi più brutali è quello di Mya Thwe Thwe Khaing, una ragazza di diciannove anni uccisa con un colpo di mitra alla testa mentre protestava nella capitale di recente costruzione Naypyidaw.

Moe Satt è stato arrestato durante una manifestazione il 27 marzo, insieme ad altri artisti e poeti. È rimasto in prigione per 95 giorni. “Non ho paura di tornare in carcere, non è questo il motivo per cui me ne sono andato”, dice. “Ma a Rangoon non potevo più fare arte, prima per la pandemia e ora a causa della repressione. Avevo bisogno di una pausa”.

L’ascesa interrotta

Negli ultimi vent’anni, quando l’arte contemporanea del sudest asiatico ha cominciato ad attirare l’attenzione internazionale, i riflettori sono stati puntati sull’Indonesia, poi sulle Filippine, e infine si sono spostati su Thailandia e Viet­nam. “Fino a pochi anni fa, la Birmania sembrava la figlia dimenticata”, spiega Louis Ho, che ha curato mostre sull’arte birmana contemporanea per la galleria Richard Koh fine art di Singapore. “L’arte ha promosso anche la conoscenza della storia del paese, della sua politica etnica e comunitaria, della sua cucina. Come molte altre cose della vita, una curiosità iniziale, e il piacere della scoperta hanno portato a un interesse duraturo”.

Secondo la curatrice Nathalie Johns­ton, che ha fondato l’importantissimo spazio Myanm/art a Rangoon, la scena artistica del paese aveva appena cominciato a decollare. “È vero che l’arte birmana contemporanea non ha mai raggiunto un grande successo commerciale, ma prima del golpe erano attivi molti artisti e il panorama era incredibilmente ricco, anche se meno noto rispetto a quello degli altri paesi del sudest asiatico”, dice. “Nel 2016, quando abbiamo aperto, la scena artistica stava fiorendo dopo anni di censura e restrizioni”.

Ilaria Benini, curatrice di eventi culturali e di collane editoriali, è stata testimone di un periodo di grande ottimismo. Dal 2012 al 2015 ha gestito la piattaforma artistica Fluxkit a Rangoon. “In Birmania era in corso una trasformazione travolgente. Le persone cambiavano modo di vestire, si costruivano strade, aprivano gallerie d’arte e centri di fotografia documentaria: una cosa inimmaginabile solo qualche anno prima”.

In quegli anni il paese si stava aprendo alla democrazia. C’era ancora un certo livello di censura, ma c’erano anche margini di libertà. Myanm/art e altri spazi provavano ad affrontare argomenti spinosi come la politica, la sessualità e l’identità queer, esplorando i confini di cosa era consentito e cosa non lo era. “Organizzavamo eventi che avrebbero potuto essere censurati e discutevamo apertamente di politica. Infrangevamo le regole, ma fortunatamente le autorità chiudevano un occhio sulle nostre iniziative”, dice Benini. “Mentre ora sappiamo che è impossibile proporre attività che abbiano anche solo un accenno di spirito critico”.

Richie Htet ha fatto il suo ingresso nella scena artistica nel 2020, poco prima del golpe, con la sua prima mostra monografica al Myanm/art. Sottolinea che anche prima del golpe esisteva una sorta di autocensura. “A causa delle norme culturali, non si poteva parlare con assoluta libertà di alcuni temi, come le questioni di genere”, spiega. “Ma sembrava che le cose stessero cambiando. Purtroppo, tutto questo è bruscamente finito”.

Tenere i riflettori accesi

I birmani avevano già vissuto l’esperienza di un golpe, per questo il primo giorno del febbraio 2021 hanno avvertito un senso d’urgenza e sono scesi per strada. “La reazione è stata incredibile. I birmani sanno davvero protestare”, dice Johns­ton. “C’erano raduni ovunque, tanta energia e voglia di ribellarsi. Ma quando i militari hanno cominciato a sparare e a uccidere questa spinta si è esaurita”. Johnston è stata costretta a lasciare la Birmania ad aprile, ma la squadra di Myanm/art ha riaperto lo spazio qualche mese dopo. “La vita va avanti anche dopo un colpo di stato. Gli studenti tornano a scuola, la gente continua a fare la spesa, a lavorare e a svagarsi nel tempo libero. Ma siamo tutti consapevoli che cittadini e artisti sono uccisi ogni giorno.”

Lo scrittore e attivista Kyaw Min Yu, noto come Ko Jimmy, e l’artista hip hop ed ex parlamentare Phyo Zaya Tha sono stati uccisi con l’accusa infondata di terrorismo insieme ad altri due attivisti. Sono state le prime condanne a morte eseguite nel paese dopo decenni, e hanno sconvolto tutto il mondo. “Non riuscivamo a credere che lo avessero fatto, eravamo furibondi”, racconta Chaw Ei Thein, attivista e ormai artista affermata grazie alle sue performance. “Erano amici ed erano artisti. Proprio come noi”.

Chaw Ei Thein emana una fierezza calma, vive negli Stati Uniti dal 2008 perché i militari si erano rifiutati di rinnovarle il passaporto. È potuta tornare in Birmania solo dopo l’arrivo al potere del partito di Aung San Suu Kyi, ma oggi il suo nome è finito di nuovo sulla lista nera della giunta. Crede fermamente nella capacità dell’arte di risvegliare le coscienze, ma è anche consapevole dell’esigenza di dare un aiuto più immediato. Anche raccogliere fondi è una forma di attivismo, dice. “I mezzi di comunicazione dedicano uno spazio sempre maggiore alla Birmania, e questo ha contribuito a far salire il valore della sua arte”.

In termini commerciali, dopo il colpo di stato le opere birmane hanno raggiunto le quotazioni più alte di sempre. L’arte è considerata una forma d’investimento, e i cittadini birmani hanno cominciato a interessarsene per mettere al sicuro i propri risparmi, sempre più minacciati dall’instabilità monetaria causata dalla crisi politica.

Anche se le prospettive economiche sembrano promettenti, gli artisti che si occupano di temi politici e sono rimasti in Birmania temono per la loro sicurezza. Htein Lin e sua moglie, l’ex ambasciatrice britannica Vicky Bowman, stavano scontando una condanna a un anno di reclusione prima di essere scarcerati insieme ad altri seimila prigionieri politici grazie all’amnistia del 17 novembre scorso. Il loro arresto era stato un evento traumatico che aveva contribuito a sfaldare la comunità degli artisti birmani in patria e in esilio, preoccupati che i loro profili sui social network e le loro conversazioni potessero essere controllati.

“Per chi ha più di sessant’anni questo è il terzo colpo di stato vissuto in prima persona. È comprensibile che alcuni siano fuggiti. Gli artisti che hanno deciso di restare svolgono un lavoro meno politico, ma anche nelle loro opere si percepiscono sottili segnali di ribellione”, dice Johns­ton.

Anche se vivono all’estero, gli artisti birmani devono trovare un equilibrio per denunciare la crisi che sta attraversando il loro paese senza esporre le famiglie rimaste in patria al rischio di rappresaglie. “Prima del golpe il mio lavoro non era affatto politico”, dice Richie Htet. “Lo è diventato quando ho deciso di andarmene, per accendere un faro su quello che sta succedendo nel mio paese”. ◆gc

Da sapere
A due anni dal colpo di stato

◆ Il 1 febbraio 2021 l’esercito birmano ha ripreso il potere con un colpo di stato, arrestando la premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi e altri parlamentari eletti democraticamente. Il numero di prigionieri politici ha superato i 13mila: 1.700 sono stati processati senza essere assistiti da un avvocato e 139 sono stati condannati a morte in processi a porte chiuse da tribunali militari. Nessuno è stato assolto. In quasi due anni, la giunta ha raso al suolo villaggi e bombardato ospedali, scuole e perfino un concerto. Le organizzazioni per i diritti umani denunciano uccisioni extragiudiziali commesse da soldati e milizie. Si stima che gli sfollati siano 1,3 milioni. A novembre il regime ha concesso un’amnistia a 5.774 prigionieri, tra cui l’ex ambasciatrice britannica Vicky Bowman e l’australiano Sean Turnell, ex consigliere economico di Suu Kyi, che nel frattempo ha continuato a subire processi ed è stata condannata a 26 anni di prigione. Il paese dovrebbe tornare al voto nella prima metà del 2023. Hrw, The Guardian


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Questo articolo è uscito sul numero 1491 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati