I sindacati del sud della California e le persone che rappresentano sono l’avanguardia del nuovo movimento statunitense dei lavoratori. Dei tanti scioperi che si sono svolti a livello nazionale nel 2023, circa la metà è stata organizzata in California, e in molti casi era coinvolta Los Angeles. La settimana scorsa alla lista si è aggiunto lo sciopero degli attori di Hollywood, annunciato dal sindacato Sag-Aftra.

Gli attori si uniscono a decine di migliaia di lavoratori già in mobilitazione, dagli sceneggiatori ai dipendenti del settore alberghiero. Nei mesi scorsi si erano fermati i dipendenti delle scuole pubbliche e dei campus universitari. Al di là delle singole rivendicazioni, il movimento mostra un senso di impegno e solidarietà che non si vedeva da decenni. L’evoluzione dei sindacati in California è sorprendente, se consideriamo che per gran parte del novecento la regione di Los Angeles, composta principalmente da grandi sobborghi residenziali conservatori molto vicini agli interessi delle aziende, non ha avuto associazioni di questo tipo.

Ma ora la regione sembra in sintonia con il resto del paese sotto molti aspetti. Il basso tasso di disoccupazione dà più potere ai dipendenti di ogni settore, mentre l’inflazione li preoccupa e li spinge a chiedere consistenti aumenti di stipendio. Fatto non trascurabile, le persone hanno l’impressione che durante la pandemia i lavoratori – “essenziali” o meno – siano stati colpevolmente penalizzati da chiusure, licenziamenti e rischi per la salute. La legittimazione degli imprenditori come custodi del benessere dei lavoratori è seriamente compromessa.

Poi ci sono alcune difficoltà economiche che sembrano tipiche della California. Una è sicuramente il costo esorbitante degli alloggi. A Los Angeles tre persone in affitto su quattro spendono per la casa più del 30 per cento dello stipendio. “Non possiamo permetterci di vivere nel posto dove lavoriamo”, ha detto Ayden Vargas, impiegato all’hotel Fairmont Miramar di Santa Monica e costretto a fare il pendolare da San Bernardino, a 130 chilometri di distanza. Non sorprende che al centro delle rivendicazioni di quasi tutti i lavoratori – gli assistenti dell’università della California, gli insegnanti delle scuole pubbliche, i dipendenti degli alberghi e perfino gli sceneggiatori, il cui lavoro è ben pagato ma sporadico – ci sia la richiesta di un aumento dello stipendio per pagare l’affitto.

Unite here local 11, il sindacato che guida lo sciopero degli addetti degli alberghi, chiede ai proprietari delle strutture di sostenere le politiche abitative che prevedono di assegnare le camere vuote alle persone senza dimora e creare un fondo per i dipendenti che hanno bisogno di un alloggio a prezzi accessibili. Gli albergatori accusano i sindacati di abusare del loro ruolo nella contrattazione collettiva, ma la storia dei movimenti del novecento mostra che i lavoratori hanno ottenuto i risultati migliori quando non si sono accontentati di una paga giusta ma hanno anche chiesto pensioni, assicurazione sanitaria e ferie retribuite.

Stati Uniti
Tutti in piazza
Scioperi a cui hanno partecipato almeno mille lavoratori (Fonte: Bureau of labor statistics)

Meglio di niente

Le difficoltà economiche, però, sono solo una parte della storia. Los Angeles è stata la prima metropoli statunitense in cui l’appartenenza etnica e l’orientamento ideologico dei leader sindacali hanno rispecchiato le caratteristiche della classe operaia. Tutto è cominciato negli anni novanta, quando Miguel Contreras portò i bisogni dei lavoratori ispanici al centro della Los Angeles federation of labor, fino a quel momento dominata dai bianchi. Contreras e i suoi successori, tra cui la moglie Maria Elena Durazo, hanno spinto la politica californiana verso sinistra.

I leader sindacali hanno capito che la lotta andava combattuta su due fronti: da un lato gli scioperi e la contrattazione, dall’altro la mobilitazione di un elettorato progressista. La nuova strategia ha dato vita a una classe politica molto diversa da quella dei conservatori anti-sindacalisti che per molto tempo avevano avuto un ruolo dominante tra i repubblicani ma anche tra i democratici della California.

Per migliorare la condizione dei lavoratori serve una buona attività sindacale. Gran parte delle sigle che stanno partecipando allo sciopero o si preparano a farlo esistono da decenni. In alcune fasi queste organizzazioni si sono dimostrate corrotte, inefficaci o distaccate, ma anche la parvenza di un’attività sindacale è comunque meglio di niente. La ragione è semplice: i lavoratori non sindacalizzati non scioperano, quindi la loro rabbia genera solo alti livelli di ricambio di personale. È uno dei motivi per cui i datori di lavoro, in California e altrove, di solito si oppongono alla nascita di un sindacato.

Nonostante questa resistenza, in California del sud i vecchi sindacati hanno beneficiato dell’arrivo di una nuova generazione di attivisti. Me ne sono accorto il mese scorso, quando ho visitato un corso di formazione organizzato dalla sezione della costa occidentale del sindacato United auto workers (Uaw). A Los Angeles le fabbriche automobilistiche sono sparite da tempo e gran parte degli stabilimenti dell’industria aerospaziale è stata ridimensionata. Ma l’Uaw ha saputo rinnovarsi, rappresentando decine di migliaia di lavoratori delle università. In ogni generazione c’è sempre una città o una regione che si mette alla testa del movimento sindacale: Chicago alla fine dell’ottocento, Detroit, Akron e Pittsburgh negli anni trenta. Negli anni cinquanta e sessanta a New York e nel Wisconsin nacque il sindacalismo dei dipendenti pubblici, che raggiunse una dimensione eroica a Memphis, dove gli operatori ecologici afroamericani chiesero aiuto a Martin Luther King. Oggi la grande vitalità di Los Angeles indica la strada a milioni di lavoratori sparsi in tutti gli Stati Uniti. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1521 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati