È sorprendente che il presidente degli Stati Uniti, il leader del cosiddetto mondo libero, sia volato in Israele per offrire sostegno militare a un regime che non ha remore a commettere un massacro di civili a Gaza. L’offerta di miliardi di dollari di aiuti militari fatta da Joe Biden al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha creato sconcerto non solo tra i palestinesi di Gaza, uccisi a migliaia da armi statunitensi, ma anche tra milioni di persone e diverse organizzazioni per i diritti umani nel mondo secondo cui le azioni di Israele a Gaza sono paragonabili a un genocidio. Ecco quali sono le priorità degli Stati Uniti.

L’apatia della Casa Bianca (e dei mezzi d’informazione occidentali, che sembrano diventati un megafono della propaganda statunitense e israeliana) davanti al massacro in corso a Gaza dimostra che esiste una gerarchia tra le vittime delle guerre nel mondo: gli ucraini bombardati dalla Russia meritano solidarietà e sostegno, i palestinesi meritano il loro destino. L’ipocrisia del governo statunitense è sotto gli occhi di tutti. Com’è possibile che le azioni di Vladimir Putin in Ucraina siano considerate crimini di guerra mentre l’attacco a Gaza e la negazione di viveri, acqua ed elettricità a un popolo assediato da Israele non siano considerati una punizione collettiva, un crimine di guerra? Il mondo ha visto finalmente il vero volto del governo degli Stati Uniti, un paese che ha perso l’autorità morale di fare prediche sui diritti umani e la democrazia al mondo.

La cosa ancora peggiore è che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, creato nel 1945 con lo scopo di impedire o contenere le guerre, non è riuscito ad approvare una risoluzione che condannasse Israele per le sue azioni e invocasse un cessate il fuoco perché gli Stati Uniti, che contribuiscono fino al 20 per cento al bilancio delle Nazioni Unite e sono uno dei cinque membri permanenti con diritto di veto, si sono opposti. Come comunità internazionale, quindi, dobbiamo chiederci a cosa serva un Consiglio di sicurezza se non è in grado di prevenire le guerre.

Senza parità

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è stato istituito dopo la seconda guerra mondiale. È formato da quindici membri, dieci dei quali non permanenti ed eletti a rotazione per due anni. Possono dire la loro, ma le decisioni finali spettano ai cinque membri permanenti con diritto di veto: Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Russia e Cina, i cosiddetti P5. Quindi se uno dei P5 decide di andare in guerra, di sostenere criminali di guerra o di fornire armi a una fazione o a uno stato in guerra, gli altri non possono farci niente. Qualsiasi risoluzione di condanna di queste azioni può essere respinta da uno dei P5.

Il Consiglio di sicurezza non è quindi un club dove sono tutti alla pari. I dieci membri non permanenti non rappresentano una minaccia seria per i P5, anche se hanno l’illusione di essere influenti. Prendiamo il caso del Ruanda. Il piccolo paese dell’Africa centrale era stato eletto membro non permanente del Consiglio di sicurezza nel 1994. Il Consiglio fece poco per prevenire l’orrendo genocidio che proprio quell’anno devastava il paese e che provocò la morte di circa un milione di persone. I P5 distolsero lo sguardo mentre i ruandesi erano massacrati. E il Ruanda rimase a guardare mentre il genocidio infuriava sotto gli occhi del mondo.

Un altro esempio è la guerra in Iraq. Nel marzo 2003 Stati Uniti e Regno Unito invasero l’Iraq senza il voto unanime del Consiglio di sicurezza, con la scusa che il leader iracheno Saddam Hussein era in possesso di “armi di distruzione di massa” e aveva legami con l’organizzazione terroristica Al Qaeda (entrambe le affermazioni sono state smentite). Il Consiglio non riuscì a fare nulla per prevenire l’invasione dell’Iraq, anche se il segretario generale dell’epoca, Kofi Annan, espresse pubblicamente il suo disappunto per la decisione di Washington e Londra e si spinse fino a dichiarare “illegale” la guerra, dato che non era stata autorizzata dal Consiglio di sicurezza e violava lo statuto delle Nazioni Unite. La guerra proseguì nonostante le proteste in tutto il mondo (proteste simili nelle capitali occidentali e nel mondo arabo non hanno convinto Biden né Netanyahu a fermare la guerra contro Gaza). I governi guidati da George W. Bush e Tony Blair non ascoltarono le voci di milioni di persone, neanche quando il numero delle vittime in Iraq diventò allarmante.

Democratico e inclusivo

I membri permanenti con diritto di veto non si sono mai davvero impegnati per la pace nel mondo perché le guerre mantengono in piedi l’industria bellica. Questi paesi sono i principali produttori di armi al mondo. Gli Stati Uniti sono il primo esportatore di armi, seguiti da Russia, Francia, Cina e a poca distanza dal Regno Unito. Hanno tutti forti interessi nei conflitti e nella possibilità di vendere armi a paesi che non ne producono in Asia, Africa e nel mondo. Non hanno autorità morale per predicare la pace quando sono i primi a trarre vantaggi economici e geopolitici dalla guerra. I conflitti nelle ex colonie francesi in Africa tengono in attività il complesso militare industriale di Parigi. Quelli in Medio Oriente sono una manna per i produttori di armi britannici e statunitensi. Senza guerre o conflitti civili, queste industrie avrebbero meno clienti o non ne avrebbero affatto.

D’altra parte, le guerre e le altre catastrofi forniscono all’Onu l’opportunità di raccogliere fondi per i profughi o gli sfollati interni: la sua campagna nello Yemen, per esempio, non ha come obiettivo la fine della guerra dell’Arabia Saudita contro i ribelli sciiti huthi, ma la raccolta di donazioni per milioni di persone che soffrono a causa della crisi, che le Nazioni Unite considerano umanitaria, non politica. E dato che le crisi umanitarie riempiono le casse delle sue agenzie, queste si concentrano meno sul mettere fine alle crisi politiche, cosa che porterebbe alla fine di quelle umanitarie.

La guerra a Gaza ha messo in evidenza la necessità di un Consiglio di sicurezza più democratico e inclusivo. Dare a cinque paesi un seggio permanente e poteri di veto poteva forse avere un senso quando le Nazioni Unite sono state fondate. Ma in un mondo dove la maggioranza della popolazione è concentrata in Asia e in Africa e in cui stanno emergendo nuove potenze regionali, è ora di cambiare e includere i paesi che s’impegnano seriamente per la pace e la stabilità.

Gaza, 23 ottobre 2023 (Ali Jadallah, Anadolu/Getty)

Il Consiglio di sicurezza dell’Onu di oggi rappresenta gli interessi dei vincitori della seconda guerra mondiale, anche se da allora il mondo è cambiato dal punto di vista geopolitico, demografico e dell’influenza economica. Economie emergenti come l’India (il secondo paese più popoloso del mondo dopo la Cina), il Brasile e la Nigeria (entrambe potenze regionali) non hanno solo popolazioni numerose, ma stanno diventando importanti potenze economiche, in alcuni casi anche nucleari. Insieme ad altri paesi dovrebbero poter dire la loro sulle decisioni del Consiglio. Tra l’altro le guerre più feroci in corso le ingaggiano gruppi ribelli o terroristici, che sono diventati transnazionali. Servono quindi nuove forme di cooperazione multilaterale.

Voce in capitolo

Ci sono paesi in Africa, Asia e America Latina (dove vive la maggioranza della popolazione mondiale) che devono chiedere un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza. La maggioranza delle risoluzioni del Consiglio ha a che fare con conflitti in Africa, ma i paesi del continente non hanno quasi voce in capitolo nella loro approvazione, che si tratti di sanzioni, missioni di pace o invasioni. Cosa ancora più importante, nel Consiglio di sicurezza dovrebbero avere un seggio parmanente paesi che non hanno interessi nell’industria bellica, non hanno condotto guerre dal 1945 e non sono potenze nucleari.

Tuttavia, se non è possibile riformare il Consiglio di sicurezza (perché i P5 si opporrebbero), forse è venuto il momento di scioglierlo del tutto. Non ha senso continuare a far finta che alle Nazioni Unite ci sia davvero un organismo che vuole prevenire le guerre e le violazioni dei diritti umani e che ha l’influenza e la volontà per farlo. L’attacco di Israele contro Gaza ha dimostrato una volta di più che il Consiglio di sicurezza non sa proteggere i diritti umani di tutti i popoli né prevenire i conflitti. Le guerre continueranno finché serviranno a soddisfare gli interessi economici o geopolitici dei suoi cinque membri permanenti, soprattutto degli Stati Uniti.

Questa guerra potrebbe alimentarne un’altra estesa al resto del Medio Oriente e oltre, e una volta scatenata potrebbe essere difficile da contenere. Se succederà, gli Stati Uniti dovranno essere chiamati a rispondere per l’aiuto e il sostegno a una guerra ingiustificata che ha inasprito le tensioni nella regione e ha provocato un numero colossale di vittime e di violazioni dei diritti umani. ◆ gim

Rasna Warah è una giornalista e scrittrice keniana esperta di conflitti. Collabora regolarmente con giornali keniani e internazionali. The Elephant è un sito di approfondimento keniano.

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Questo articolo è uscito sul numero 1536 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati