Nel marzo 1951 il presidente argentino Juan Perón annunciò i risultati di un esperimento segreto condotto sull’isola di Huemul, nella Patagonia settentrionale. I suoi scienziati avevano ottenuto la fusione nucleare imparando a controllare la reazione che alimenta il Sole. In futuro, disse Perón, l’energia sarebbe stata venduta in “bottiglie da mezzo litro, come il latte”. Ma le cose si misero subito male. Quando i ricercatori tornarono da Huemul, ammisero che l’intera faccenda era stata una frode costosa e imbarazzante. La bufala di Huemul è un caso estremo. Probabilmente, però, ha stabilito uno schema ricorrente nella lunga ricerca di un metodo per sfruttare le stelle e avere energia pulita illimitata: ogni tentativo è stato sempre seguito da delusioni, smentite e ulteriori tentativi. Questo spiega la noiosa persistenza della battuta secondo cui avremo la fusione fra trent’anni, e così sarà per sempre.

Eppure eccoci di nuovo qui. Nell’ultimo anno le aziende che cercano di realizzare la fusione hanno ottenuto più investimenti che in tutta la storia del settore. “La sensazione tra gli investitori è che la fusione ci sarà”, afferma Melanie Windridge, fondatrice di Fusion energy insights, un’organizzazione dell’industria energetica. Alcune aziende promettono addirittura di mettere in commercio reattori a fusione nel giro di un decennio. “I progressi stanno avvenendo molto rapidamente”, sostiene Annie Kritcher, del Lawrence Livermore national laboratory (Llnl), negli Stati Uniti. “Man mano che ti avvicini, le cose cominciano a decollare”. La cosa difficile da capire, tuttavia, è se i recenti progressi registrati dai grandi progetti di fusione finanziati dai governi, insieme alle nuove tecnologie e ai reattori in fase di sviluppo nelle aziende private, siano davvero arrivati a un punto di svolta. Al di là della propaganda, è plausibile sostenere che i reattori a fusione forniranno elettricità entro il 2030?

Il reattore sperimentale internazionale (Iter) di Cadarache, Francia (David Parker, Science photo library/Agf)

Come funziona

La fisica di base della fusione nucleare è semplice. Con la fissione, il processo usato nelle centrali nucleari esistenti, si produce energia attraverso il decadimento di atomi pesanti (la trasformazione di un atomo radioattivo in un altro atomo, con emissione di energia), come quelli di uranio. Nella fusione, invece, si fondono i nuclei atomici di elementi molto leggeri, in genere di idrogeno, per formare nuclei più pesanti: la massa totale di ogni nuovo nucleo è inferiore alla massa della coppia originale che si è fusa per formarla, e la massa mancante è rilasciata sotto forma di energia in enorme quantità. È il processo che alimenta il Sole. Tuttavia, fare un Sole in miniatura sulla Terra non è affatto semplice, perché la fusione autosufficiente avviene solo a temperature e a pressioni estremamente alte, come quelle che si trovano nel nucleo delle stelle. In laboratorio, anche se si riesce ad avviarla, la reazione svanisce rapidamente. “È incredibilmente difficile”, dice Lee Margetts, un esperto di fusione dell’università di Manchester, nel Regno Unito. “Stiamo cercando di riprodurre quello che fa il Sole, senza provocare brillamenti e in un contenitore molto più piccolo”.

I brillamenti solari sono intense eruzioni di plasma, che si proiettano in modo irregolare nello spazio a milioni di chilometri all’ora. Sono un segno distintivo della natura immensamente turbolenta di questo materiale, lo stato supercaldo e sovralimentato in cui avviene la fusione nel nucleo del Sole. “Il plasma è un bellissimo stato della materia”, dice Windridge. Ma il suo comportamento è difficile da prevedere e ancora più difficile da controllare.

Questa è la sfida per gli scienziati che inseguono la fusione nei laboratori di tutto il mondo. In molti casi usano reattori a forma di ciambella chiamati tokamak, che impiegano campi magnetici per far levitare e controllare il plasma mentre iniettano energia per avviare la reazione di fusione. L’accensione si verifica solo quando il plasma resta caldo e denso abbastanza a lungo: allora la reazione di fusione diventa autosufficiente.

Su questo punto sono stati fatti dei progressi. Ad agosto un team guidato da Yong-Su Na, della Seoul national university, in Corea del Sud, ha ottenuto una reazione di fusione per trenta secondi a temperature sei volte superiori a quelle del nucleo del Sole, usando il dispositivo Korea superconducting tokamak advanced research (Kstar). Nel dicembre 2021, al Joint european torus (Jet) di Oxford, nel Regno Unito, i ricercatori hanno stabilito un nuovo record mondiale producendo 59 megajoule di energia termica con una reazione durata cinque secondi. “Se potessimo mantenerla per più di cinque secondi, viene da pensare che potremmo mantenerla tranquillamente per cinque ore”, dice Windridge.

Nel frattempo, per evitare le difficoltà con il plasma a levitazione magnetica, Kritcher e i suoi colleghi della National ignition facility (Nif) all’Llnl stanno sperimentando una tecnica chiamata “fusione inerziale”. Consiste nel puntare 192 potenti laser su una capsula delle dimensioni di un granello di pepe che implode e schiaccia insieme gli atomi al suo centro, provocando una breve e intensa fusione. Nell’agosto 2021 la Nif ha ottenuto la prima reazione di fusione autosufficiente al mondo, che produce abbastanza calore da provocare un’ulteriore fusione. “È stato davvero un grande passo avanti”, afferma Steve Cowley, dell’università di Princeton, negli Stati Uniti.

L’accensione è solo l’inizio. Questi esperimenti di fusione finanziati dai governi non sono mai stati progettati per diventare centrali elettriche: dopo che la fusione è stata raggiunta per pochi attimi, il reattore viene spento, i risultati sono esaminati attentamente e si ripete l’esperimento. Possiamo ottenere la fusione, dice Cowley. “Quello che non sappiamo è se possiamo farlo a un costo accettabile per i consumatori”.

Nell’ultimo anno gli scienziati della Nif non sono stati in grado di riprodurre la reazione autosufficiente. Piccole imperfezioni nelle capsule che implodono possono far sì che frammenti del loro involucro di diamante siano frantumati nel plasma, interrompendo la reazione di fusione. Bisogna tener presente che attualmente ogni capsula costa un milione di sterline.

Anche con il collaudato metodo tokamak, i reattori sperimentali possono funzionare solo per poco tempo. Il limite di cinque secondi del Jet è stato determinato dalle bobine di rame del reattore che, se sono bombardate troppo a lungo dai neutroni rilasciati durante la fusione, si surriscaldano. Le dimensioni ingombranti e la complessità dei tokamak sperimentali implicano anche che possono volerci decenni per ricostruirli e molti altri anni per imparare a usarli. Il tokamak del reattore sperimentale termonucleare internazionale (Iter), un impianto da 22 miliardi di dollari che si trova in Francia e avrebbe dovuto accendersi alla fine del 2020, è stato bloccato dalla spirale dei costi e dai ritardi che spesso affliggono i grandi progetti scientifici internazionali.

Cadarache, Francia. Una parte del reattore Iter (Cyril Abad)

Inoltre, nessuno ha completato il passaggio dall’accensione alla generazione di energia. Ovviamente, ottenere più energia di quella che s’immette è un prerequisito per qualsiasi centrale elettrica. Il record è detenuto dalla Nif, che ha generato il 70 per cento dell’energia applicata alla capsula che implode. Il team di Iter dice che alla fine l’energia in uscita sarà dieci volte l’energia in entrata, ma non prima del 2035. E queste stime non tengono conto di tutta l’energia necessaria per alimentare i laser o, nel caso di un tokamak, i magneti. “Le prestazioni devono decisamente migliorare prima di poter dire che ce l’abbiamo fatta”, afferma Cowley.

Secondo Tony Donné, il responsabile del programma di Eurofusion, un gruppo di laboratori nazionali di fusione che include il Jet, bisognerà aspettare il 2060 prima che una quantità apprezzabile di elettricità sia prodotta dalla fusione. Tutto questo porta a chiedersi perché tante aziende private considerino un obiettivo ragionevole arrivare alla “fusione commerciale” nel giro di un decennio.

C’è stata sicuramente una valanga di investimenti. Secondo un sondaggio della Fusion industry association (Fia), nell’ultimo anno le trenta aziende che fanno parte di quest’organizzazione hanno dichiarato finanziamenti privati per tre miliardi di dollari, più altri 117 milioni arrivati dai governi. La statunitense Commonwealth Fusion Systems (Cfs) ha raccolto 1,8 miliardi dopo aver realizzato magneti con un nuovo superconduttore ad alta temperatura che ha il doppio della potenza dei migliori tokamak. In teoria questo significa che è possibile esercitare una maggiore pressione sul plasma, impedire al calore di uscire e realizzare reattori più piccoli. La Cfs sostiene che costruirà un reattore in grado di emettere più energia di quella che viene immessa entro il 2025 e che produrrà ininterrottamente elettricità entro l’inizio del 2030. “Non siamo più a livello di scoperta, ma di realizzazione”, dice l’amministratore delegato dell’azienda, Bob Mumgaard.

Voli spaziali

Mumgaard traccia un paragone con i recenti progressi nel volo spaziale umano stimolati dall’industria privata. “Lo Space shuttle della Nasa e il razzo della SpaceX seguono le stesse leggi della fisica, definite con gli stessi strumenti, ma applicate a obiettivi diversi da tipi di organizzazioni diversi”, spiega. Modernizzando la tecnologia dei razzi e rendendoli riutilizzabili, la SpaceX ha reso il volo spaziale molto più economico. L’ottimismo di Mumgaard deriva anche dal fatto che i progetti di fusione finanziati dai governi hanno favorito la comprensione della fisica del contenimento del plasma, che le aziende private sperano di sfruttare rapidamente per produrre reattori migliori. La Cfs e altre aziende stanno “costruendo sulle spalle” di questa nuova comprensione dei plasmi, dice Mumgaard. In realtà, gran parte del lavoro di molti laboratori pubblici è eseguire codici informatici e calcoli per le aziende private. “Siamo nella fase di passaggio del testimone”, afferma Windridge. “Ora molti vedono i principali problemi della fusione solo come problemi ingegneristici”.

Questo non vuol dire che i problemi ingegneristici saranno facili da superare. Tuttavia, ci sono segni di miglioramento. La Cfs non è la sola ad aver raccolto investimenti sulla scia di dimostrazioni tecnologiche – come il controllo del plasma attraverso l’intelligenza artificiale, laser più potenti o nuove fonti di combustibile – e progetti che vanno oltre il tradizionale tokamak. La britannica Tokamak Energy, la cinese Enn e il reattore Step finanziato dal governo britannico useranno un nuovo tipo di tokamak sferico. Questo sistema permette ai reattori di essere ancora più piccoli perché, a parità di volume, le sfere hanno una superficie inferiore rispetto alle ciambelle, quindi i campi magnetici possono funzionare in modo più efficiente. Come la Cfs, la Tokamak Energy sostiene che i suoi reattori pilota saranno in funzione intorno al 2025 e i reattori commerciali arriveranno tra dieci anni.

Oggi gran parte del lavoro dei laboratori pubblici consiste nell’eseguire codici informatici e calcoli per conto delle aziende private

Secondo Donné sono “tempistiche azzardate”, perché le aziende non tengono conto dei problemi di apprendimento che si presentano ogni volta che si aggiorna o si riprogetta un reattore a fusione. Quando la Jet rinnovò il suo reattore tokamak, alla fine degli anni novanta, ai ricercatori ci vollero cinque anni per imparare di nuovo a usare la macchina. Donné ritiene che le promesse di realizzare la fusione nel giro di un decennio abbiano a che vedere più con gli investitori che con la scienza.

Costruire tokamak più piccoli presenta indubbiamente nuove sfide, afferma Cowley, ma il vantaggio è poter realizzare macchine più economiche in meno tempo. In passato le automobili si rompevano continuamente, ma oggi non è più così, perché a forza di produrle la maggior parte dei difetti è stata eliminata. Forse gli ingegneri della fusione sono in grado di fare altrettanto.

Altre aziende stanno proponendo progetti completamente nuovi, nella speranza di aggirare i problemi che finora hanno frenato lo sviluppo dei reattori a fusione. “Abbiamo scelto deliberatamente soluzioni che mirano ad aggirare le sfide ingegneristiche”, dice Nick Hawker, amministratore delegato della britannica First Light Fusion (Flf), il cui nuovo approccio alla fusione inerziale imita il funzionamento delle chele dei gamberi pistola. Questi crostacei stordiscono la loro preda chiudendo rapidamente la loro grande chela: in questo modo creano un’onda d’urto nell’acqua che fa salire brevemente la temperatura a livelli molto alti. Per la sua tesi di dottorato, Hawker ha simulato questo processo e in seguito l’ha integrato nella tecnologia che la Flf usa per creare la reazione di fusione. Invece di puntare molti laser su una capsula, spara un proiettile ad alta velocità che concentra sulla capsula tutta la sua energia. L’idea è di rendere la fusione inerziale più economica e facile da replicare. “Tutte queste aziende riusciranno nel loro intento? Probabilmente no”, dice Hawker. “Vale comunque la pena di provarci? Sì”.

Molte aziende hanno preso i progetti scartati dai laboratori pubblici, adattandoli e aggiungendoci nuove tecnologie. La canadese General Fusion, per esempio, sta scommettendo su un incrocio tra il tokamak e il confinamento inerziale, usando campi magnetici per far levitare il plasma e poi pistoni di metallo liquido per comprimerlo. Questo metodo era stato sperimentato negli anni settanta dal Naval research laboratory, negli Stati Uniti. Ma, senza l’elettronica per sincronizzare con precisione i pistoni e comprimere il plasma simmetricamente, il laboratorio non aveva ottenuto i risultati desiderati. “Con la migliore tecnologia che abbiamo oggi e i progressi della fisica del plasma, possiamo farcela”, afferma il fondatore dell’azienda, Michel Laberge.

Il design della General Fusion ha le potenzialità per superare un ostacolo chiave: la capacità di produrre combustibile. Un combustibile comune della fusione è il trizio, una forma di idrogeno che si ottiene attraverso un processo separato dalla fusione stessa. È un aspetto fondamentale di qualsiasi operazione, ma la maggior parte delle aziende sembra ignorarlo, dice Donné: “È come vendere le auto senza che ci siano in giro le stazioni di servizio”. Ma la General Fusion lavora in modo diverso. La reazione di fusione è circondata da un rivestimento di metallo liquido che include una piccola quantità di litio. Questo rivestimento assorbe il calore in modo efficace e allo stesso tempo una parte del litio è trasformata in trizio, che produce nuovo combustibile per la fissione.

Resta da vedere se soluzioni simili funzionano nella pratica. E anche se funzionassero, nessuno ha ancora ideato il cappotto che circonderebbe il reattore per generare elettricità senza sosta. Sistemi di scarico, scambiatori di calore, turbine: tutto dev’essere costruito su misura, con materiali in grado di resistere ai neutroni ad alta energia rilasciati durante la fusione. “A meno che queste aziende non abbiano una linea di ricerca segreta sui materiali, dopo alcuni mesi di funzionamento i reattori cadranno semplicemente a pezzi”, dice Donné.

Allora, a che punto siamo? C’è ancora molto da fare prima che il sogno d’imbottigliare l’energia delle stelle diventi realtà. Le aziende sostengono che servono investimenti adeguati, proporzionali alle dimensioni del compito e al potenziale ritorno, ed è vero che la fusione non ha mai ottenuto un sostegno adeguato dai governi. Ma Cowley avverte che dovremmo essere più cauti nel fare confronti con l’industria spaziale: “Siamo stati sulla Luna prima che nascesse la SpaceX. Abbiamo lanciato centinaia di satelliti. C’è molta differenza tra questo e il punto in cui siamo con la fusione, perché non siamo mai riusciti a produrre elettricità. Mai”. ◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1489 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati