La musica e il cervello umano hanno uno stretto legame che forse risale a 4,4 milioni di anni fa, quando la prima australopitecina si sollevò sulle zampe posteriori e diventò bipede. Il ritmo della nuova camminata potrebbe aver reso i nostri antenati particolarmente sensibili alla musicalità, al punto che oggi il cervello umano è dotato di reti neurali preposte all’elaborazione delle informazioni musicali.

Nel 2015 i neuroscienziati del Massachusetts institute of technology (Mit), negli Stati Uniti, avevano individuato nella corteccia uditiva una popolazione di neuroni che reagisce alla musica. In un nuovo studio pubblicato sulla rivista Current Biology, lo stesso team di ricercatori, coordinato da Sam Norman-Haignere, ha scoperto che alcuni neuroni cerebrali si attivano solo in presenza del canto, e non di altri tipi di musica. “Abbiamo individuato una separazione di funzioni all’interno della corteccia uditiva, che è in linea con un’istintiva distinzione della musica”, spiega Norman-Haignere, che oggi lavora presso il centro medico dell’università di Rochester, nello stato di New York.

Angelo Monne

165 suoni diversi

Nello studio del 2015 gli scienziati avevano monitorato, tramite risonanza magnetica funzionale, il cervello di volontari che ascoltavano 165 suoni diversi, tra cui cani che abbaiano, traffico e vari tipi di espressioni vocali e musica. Analizzando i pattern cerebrali, cioè gli schemi di attivazione neuronali, con una nuova tecnica d’interpretazione dei dati, avevano individuato una popolazione di neuroni che reagisce diversamente a seconda che si tratti di musica o di parlato.

La risonanza magnetica funzionale, che rileva i cambiamenti nell’ossigenazione e nel flusso del sangue in base all’attività neuronale, ha però alcuni limiti. Il metodo dell’elettrocorticografia, che misura i pattern grazie a elettrodi impiantati nel cranio, è sicuramente più preciso ma anche invasivo: non è facile trovare volontari disposti a farsi trapanare la testa in nome della scienza.

L’elettrocorticografia è però usata per monitorare i pazienti epilettici che aspettano di sottoporsi all’intervento chirurgico. Serve infatti ai medici per individuare il punto esatto del cervello in cui gli attacchi hanno origine. Grazie a quindici pazienti che hanno accettato di partecipare allo studio, facendosi impiantare gli elettrodi nella corteccia uditiva, i ricercatori dell’Mit hanno raccolto molti dati utili. Un nuovo metodo statistico ha poi permesso d’individuare le popolazioni di neuroni responsabili dell’attività elettrica registrata da ciascun elettrodo.

“È emerso un pattern di risposta neuronale che reagiva solo al canto”, dice Norman-Haignere. “Lì vicino abbiamo identificato una popolazione di neuroni che reagisce invece a vari tipi di musica. Questi risultati, del tutto inaspettati, giustificano il metodo usato, che permette di scoprire delle informazioni anche quando non le cerchiamo direttamente. Per il resto le registrazioni endocraniche hanno confermato i risultati che avevano già ottenuto nel 2015 con la semplice risonanza magnetica funzionale”.

I punti sensibili al canto si trovano nella parte superiore del lobo temporale, vicino alle regioni cerebrali preposte al linguaggio e alla musica. Probabilmente la popolazione di neuroni che si attiva con il canto risponde alla frequenza percepita ed è in grado di distinguere il parlato dalla vocalizzazione musicale. Poi invia queste informazioni ad altre regioni perché le elaborino.

Il nuovo studio arricchisce le conoscenze che avevamo sul modo in cui il cervello reagisce alla musica. Quello precedente aveva già dimostrato che la musica influisce sulla funzionalità cerebrale, sia riducendo stress, dolore e depressione, sia migliorando le capacità cognitive e motorie, l’apprendimento spaziotemporale e la neurogenesi, cioè la capacità del cervello di produrre neuroni.

Restano comunque dei punti oscuri, e i ricercatori dell’Mit intendono studiare la risposta neuronale nei neonati. L’obiettivo è capire meglio come si sviluppano le regioni del cervello sintonizzate sulla musica. ◆ sdf

L’originale di questo articolo è uscito su Zme Science.

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Questo articolo è uscito sul numero 1451 di Internazionale, a pagina 104. Compra questo numero | Abbonati