Quando l’ingegnere Li Hai ha lasciato il gelo invernale del nord della Cina settentrionale per il caldo umido del Tamil Nadu, nell’India meridionale, non sapeva bene cosa aspettarsi. Era l’inizio del 2023. Qualche mese prima, un dirigente della fabbrica di iPhone della Foxconn dove lavorava aveva chiesto se c’erano volontari per un incarico temporaneo in India. Li Hai non ci aveva pensato troppo prima di candidarsi. Non aveva viaggiato granché e desiderava molto farlo. “Volevo solo uscire dal paese e dare un’occhiata”, ci dice, chiedendoci di usare uno pseudonimo perché non è autorizzato a parlare con i mezzi d’informazione.

È un uomo pacato, schietto e senza pretese. È cresciuto in una zona rurale della Cina nota per le acciaierie, e non si era mai allontanato troppo dalla regione. Quello che gli mancava nell’esperienza del mondo lo compensava con la curiosità. Prima del viaggio l’azienda ha organizzato un breve corso di formazione sulle sensibilità culturali. Li ha imparato a non parlare di religione e politica, e a dire “per favore” rivolgendosi ai colleghi indiani. “I modi di chi arriva dalla Cina sono considerati un po’ rudi”, dice. “Ma con gli indiani dobbiamo essere più cortesi”. Era preoccupato soprattutto per la cucina. Alla vigilia della partenza ha stipato la valigia di farmaci contro la diarrea, pacchetti di ingredienti per prepararsi la zuppa e bacchette, perché gli avevano detto che in India la gente mangia con le mani. Nervoso ma elettrizzato, teneva in mano il suo primo passaporto per il suo primo volo del suo primo viaggio all’estero. Era diretto a Sunguvarchatram, un centro industriale alla periferia di Chennai, la capitale del Tamil Nadu. La città è il cuore di un trasferimento globale in corso della produzione elettronica.

Come molte aziende concorrenti, la Apple da anni si affida alla Cina per l’assemblaggio dei prodotti. Ma diversi fattori politici ed economici hanno costretto l’azienda, e il settore tecnologico più in generale, a ripensare questo metodo cercando partner in tutta la regione. La taiwanese Foxconn – conosciuta anche come Hon Hai precision industry – ha investito molto nella sua fabbrica di telefoni a Sunguvarchatram, dove però i costi materiali si sono rivelati più alti così come la percentuale di telefoni difettosi. Per questo l’azienda faticava a raggiungere l’efficienza che l’aveva resa famosa. Di conseguenza gli iPhone prodotti dalla Foxconn a Sunguvarchatram rischiavano di rendere meno di quelli fabbricati in Cina.

Il sogno di Modi

All’inizio del 2023, nel tentativo di migliorare la produzione e preparare lo stabilimento a confezionare l’ultimo modello di smartphone della Apple, l’iPhone 15, la Foxconn ha inviato altri dipendenti cinesi a Sunguvarchatram. Gli ingegneri come Li dovevano portare l’impianto indiano all’efficienza cinese. Usando app per le traduzioni, un inglese scolastico semidimenticato e i gesti, Li e centinaia di suoi colleghi sono stati incaricati di tradurre la formula della Foxconn per una forza lavoro indiana in larga misura estranea all’intensità e alla complessità della produzione elettronica del ventunesimo secolo.

Alla fine di agosto abbiamo visitato Sunguvarchatram, dove la Foxconn e altri fornitori della Apple stavano lavorando a pieno ritmo in vista del lancio dell’iPhone15. Abbiamo parlato con una trentina di addetti alla linea di montaggio, tecnici, ingegneri e dirigenti, che ci hanno tutti chiesto di restare anonimi. Ci hanno raccontato nel dettaglio i successi, le fatiche e lo scontro culturale che, nel corso dell’ultimo anno, era avvenuto in uno dei settori produttivi più importanti del mondo.

In Cina la Foxconn pretende orari di lavoro lunghi, obiettivi alti, ritardi ed errori ridotti al minimo: tutte richieste che si sono rivelate difficili, se non impossibili, da esaudire in India. L’obiettivo finale – un ciclo produttivo ben riuscito dell’iPhone 15 – sarebbe stato un indicatore importante della nascente capacità industriale indiana. “Il messaggio del governo di New Delhi è che l’India ha fatto il suo ingresso in scena e si prepara a diventare una potenza manifatturiera”, ci ha detto Anand P. Krishnan, ricercatore al centro di eccellenza per gli studi himalayani che all’università di Shiv Nadar ed esperto di manodopera in Cina e in India. “La produzione del nuovo smartphone sarà presentata come un grande momento non solo per la Apple, ma anche per l’India”.

Ogni otto ore le strade di Sunguvarchatram si animano di pullman con i nomi delle grandi multinazionali tecnologiche – Samsung, Yamaha, Fhh, cioè Foxconn Hon Hai. I lavoratori stanchi vengono trasportati dalle fabbriche ai loro appartamenti o ai dormitori. Altri saltano su una moto oppure si arrampicano su risciò a tre ruote. Sunguvarchatram fa parte di un corridoio industriale in sviluppo tra Chennai e Bangalore, le più grandi città dell’India meridionale. Le prime ad aprire stabilimenti in quest’area sono state alcune case automobilistiche straniere. A partire dagli anni duemila sono arrivati i produttori tecnologici taiwanesi, tra cui la Foxconn e una sua concorrente, la Wistron, che è stata la prima azienda a fabbricare uno smartphone della Apple in India nel 2017. La zona è ancora in transizione da cittadina agricola a centro manifatturiero globale. I campi incolti sono disseminati di impianti high-tech e ostelli nuovi di zecca dove alloggiano migliaia di addetti alle linee di montaggio.

L’evoluzione di Sunguvarchatram è la realizzazione di un sogno per il primo ministro Narendra Modi. Nel 2014, durante il suo primo discorso per l’anniversario dell’indipendenza, presentò l’iniziativa Make in India. “Dai bastioni del Red Fort, voglio rivolgermi alle persone di tutto il mondo: ‘Venite a fabbricare in India’, ‘Venite a produrre in India’”, disse Modi.

Per buona parte della seconda metà del novecento, l’India ha vantato un fiorente settore di produzione elettronica nazionale. Ma nel 1991 i dazi sulle importazioni furono abbassati, e il mercato fu invaso dai concorrenti stranieri, che presto diventarono dominanti. I marchi indiani chiusero i battenti e il settore della manifattura tecnologica crollò. È uno dei motivi per cui l’India negli ultimi trent’anni ha avuto un problema costante di mancanza di posti di lavoro per la sua popolazione giovane e in rapido aumento.

“La Apple è stata viziata dalla Cina”, dice il dirigente di un fornitore dell’azienda

Secondo il governo, dall’annuncio di Make in India gli investimenti stranieri annuali sono raddoppiati, ma gli oppositori sostengono che l’iniziativa può dirsi al massimo un lavoro ancora in corso. Tra il 2003 e il 2018 il settore manifatturiero era avanzato poco più dell’economia indiana nel suo insieme, ma da allora è rimasto indietro. La produzione è cresciuta di appena l’1,3 per cento nel 2022. In compenso la manifattura tecnologica è tornata a essere un faro. Dal 2022 aziende come la Foxconn, la Samsung e la Salcomp, di proprietà cinese, hanno tutte annunciato la costruzione di nuovi stabilimenti o l’espansione di quelli già esistenti.

Uno dei motori principali degli investimenti in India è la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. E per alcune manifatture gli operai cinesi hanno smesso di essere l’opzione più economica: la forza lavoro del paese è in diminuzione, istruita come mai prima, e non più molto interessata a un posto in fabbrica.

Alla fine del 2022 una serie di crisi nella fabbrica di smartphone più grande del mondo – una struttura della Foxconn a Zhengzhou, nella Cina centrale – aveva messo in luce la necessità per la Apple di diversificare i suoi partner di produzione. I ritardi della fabbrica pare siano costati alla Apple un miliardo di dollari alla settimana. Da allora l’azienda statunitense ha accelerato i piani per espandersi in India. La Foxconn sta raddoppiando la sua forza lavoro nel paese. Il presidente dell’azienda, Young Liu, ha incontrato Modi tre volte negli ultimi diciotto mesi per discutere i piani di crescita. Anche altre aziende dell’indotto sono in cerca di luoghi adatti agli stabilimenti, ci spiega Jules Shih, direttore della succursale di Chennai del Taipei world trade center, un gruppo di promozione commerciale finanziato dal governo taiwanese.

Sarà difficile per l’India uguagliare alcuni punti di forza della manifattura cinese. Il sistema monopartitico di Pechino agevola in ogni modo la Foxconn, investendo miliardi di dollari per la costruzione delle fabbriche, per sovvenzionare energia e spedizioni, reclutare e trasportare dove necessario i lavoratori quando c’è penuria di manodopera. In Cina i sindacati indipendenti sono vietati.

In India, i fornitori della Apple devono misurarsi con politici locali, proprietari terrieri e sindacati. Il paese non può contare sull’ampia rete cinese di produttori di materiali che si contendono gli ordini della Apple a costo di tagliare i loro margini di guadagno. “La Apple è stata viziata dalla Cina”, ci dice un alto dirigente di un fornitore di Cupertino che di recente è stato trasferito dalla Cina all’India. “Qui, fatta eccezione per la manodopera, è tutto costoso”.

Giovani donne

La Foxconn ha cominciato a produrre iPhone a Sunguvarchatram nel 2019. Quando Li Hai è arrivato nell’impianto indiano, all’inizio del 2023, l’obiettivo era avere una partita di iPhone 15s made in India pronta per la spedizione non appena il nuovo modello sarebbe stato annunciato. Lo stabilimento fa parte di un vasto sito di 60 ettari dove la Foxconn produce telefoni anche per altri marchi. Circa 35mila dipendenti lavorano in una mezza dozzina di edifici bianchi di tre piani. A Li poteva sembrare di essere tornato nell’impianto cinese che conosceva benissimo: gli stessi macchinari avanzati, le stesse file di tavoli con lavoratori che ripetono gli stessi gesti migliaia di volte al giorno, lo stesso prodotto finale. Ma c’era un particolare che balzava agli occhi. A differenza di quanto succede in Cina, alla linea di montaggio lavoravano quasi esclusivamente giovani donne.

Negli anni ottanta, quando in Cina prese il via la produzione elettronica, erano le donne, che dalle zone rurali avevano appena cominciato a trasferirsi in città, a costituire la maggioranza della forza lavoro nelle fabbriche. Non avevano molta scelta. I manager di aziende come la Foxconn preferivano assumere le donne perché le credevano più ubbidienti, spiega Jenny Chan, sociologa del Politecnico di Hong Kong che studia i problemi del lavoro alla Foxconn. Negli ultimi anni la situazione è cambiata. Oggi i lavoratori cinesi che producono iPhone sono in gran parte uomini, le donne sono andate a lavorare nel settore dei servizi, dove si fatica meno. Ma in India la Foxconn e altre aziende elettroniche stanno nuovamente reclutando la forza lavoro femminile che comincia a spostarsi alla ricerca di una occupazione migliore.

Assumere lavoratrici giovani in India comporta impegni particolari, come rassicurare genitori apprensivi che temono per la sicurezza delle figlie. L’azienda offre gratis alle lavoratrici vitto, alloggio e pullman che garantiscono spostamenti sicuri a tutte le ore del giorno. Quando non lavorano, le ragazze che alloggiano negli ostelli della Foxconn hanno il coprifuoco alle sei del pomeriggio; per trascorrere la notte altrove occorre un permesso speciale. “Se escono e non tornano all’ora stabilita i genitori vengono informati”, ci dice un ex dirigente delle risorse umane dell’azienda. “È così che si conquista la loro fiducia”.

In pullman verso la fabbrica nel distretto industriale di Sunguvarchatram, India, 18 ottobre 2023 (Saumya Khandelwal, Saumya Khandelwal per Rest of World)

La Foxconn ha dovuto anche trovare un espediente per assumere le donne sposate. Stando a quanto riferito, in genere controlla i lavoratori con il metal detector all’ingresso e all’uscita dalle fabbriche per evitare che i nuovi prodotti siano trafugati. Ma in India le donne sposate indossano un mangalsutra, un pendente di metallo, e un metti, un anello intorno a un dito del piede. Queste lavoratrici sono perquisite a mano e si prende nota dei loro gioielli.

Padmini è cresciuta con quattro fratelli nella campagna intorno all’antica città di Tirunelveli, nove ore di auto a sud di Chennai. Ha 26 anni e una laurea in infermieristica, ma lavorando ventiquattro ore al giorno per sette giorni alla settimana come infermiera a domicilio si sentiva “in trappola”. Nel 2021 ha trovato lavoro come operaia alla Foxconn. All’inizio si è sentita sopraffatta: la tuta protettiva, i macchinari, il sinistro slogan “siete pregati di collaborare con noi” scritto alla parete. Abituata all’implacabile caldo tropicale, non riusciva ad adattarsi all’aria condizionata.

Oggi ora abita in un modesto appartamento con una stanza da letto insieme ad altre otto donne: cinque dormono nell’ingresso e quattro nella camera. Ciascuna paga un affitto di 1.250 rupie (14 euro circa). “È un po’ difficile”, ha detto. Vede raramente le coinquiline, che cambiano turno di lavoro una volta alla settimana – 6-14, 14-22 o 22-6 – e sono libere solo la domenica. Ogni giorno Padmini prende un pullman della Foxconn per andare in fabbrica, passa attraverso il metal detector, si mette un camice antistatico e si siede alla linea di montaggio, dove ogni ora assembla almeno 495 pezzi per il controllo del volume.

Al loro arrivo in India, Li e gli altri ingegneri hanno faticato molto per comunicare con i nuovi colleghi. Avevano studiato inglese al liceo e all’università, ma da allora non l’avevano più praticato. Gli indiani non riuscivano a capire la loro pronuncia, perfino per espressioni semplici come thank you. Durante i trasferimenti in pullman e le pause pranzo Li Hai studiava il dizionario. Le barriere linguistiche diventavano particolarmente evidenti quando si parlava dei macchinari, che spesso arrivano dalla Cina. “Tutte le procedure operative standard, le istruzioni di lavoro, i comandi sono scritti in cinese. Lo stesso vale per il software”, spiega un manager indiano. “Perfino il pulsante d’emergenza è scritto in mandarino”.

Gli ingegneri cinesi, per lo più uomini, vivono isolati dalle comunità locali

Gli ingegneri cinesi ci hanno raccontato che per insegnare ai colleghi indiani come usare e riparare i macchinari usano app di traduzione o metodi più terra terra. “Il linguaggio del corpo è universale”, dice uno. Un interprete di Chennai che parla fluentemente il mandarino e ha lavorato per molte aziende cinesi e taiwanesi nella zona, Foxconn compresa, ci ha detto che spesso si creano situazioni di tensione. Gli addetti indiani all’inizio non riuscivano a capire perché i colleghi cinesi si preoccupassero tanto per cose come la rottura di una macchina per mezz’ora, racconta l’interprete. Ma con il tempo i dirigenti indiani sono diventati più sensibili ai ritardi.

Nel 2023, per la prima volta, la Apple ha voluto costruire il suo nuovo modello di smartphone contemporaneamente in Cina e in India. La produzione di prova – una fase particolarmente impegnativa – è cominciata ad aprile. La Foxconn ha inviato altri dipendenti cinesi per mostrare i nuovi macchinari ai lavoratori di Sunguvarchatram e gestire eventuali intoppi. Lo stesso mese il governo del Tamil Nadu ha inviato un forte segnale di benvenuto alla Foxconn e alle altre manifatture: le autorità hanno approvato nuove norme per estendere la giornata lavorativa da otto a dodici ore. Questo significava che le aziende avrebbero potuto ridurre da tre a due i turni necessari per mantenere operativa la linea di produzione, proprio come in Cina.

L’allungamento dei turni ha creato contrasti tra le grandi imprese manifatturiere internazionali, i lavoratori e i gruppi d’interesse locali. Secondo il Financial Times, su pressione della Apple, della Foxconn e di altre aziende, a febbraio lo stato del Karnataka ha consentito turni di lavoro di dodici ore. Nello stato la Foxconn prevede di costruire due nuove fabbriche. In risposta, la All united trade union centre, un’importante organizzazione sindacale, e altri gruppi di attivisti hanno protestato bruciando copie del disegno di legge. Il parlamento del Karnataka ha approvato la nuova norma, ma a quanto risulta nessuna grande azienda dello stato ha introdotto la giornata di dodici ore. Anche nel Tamil Nadu il cambio di politica del governo si è scontrato con la resistenza dei partiti d’opposizione e dei gruppi in difesa dei diritti dei lavoratori. Pure i partiti schierati con il governo hanno definito il progetto di legge “antioperaio”, e durante il voto sono usciti dall’aula. Dopo l’approvazione della legge, i sindacati hanno annunciato campagne di disobbedienza civile e proteste. Nel giro di quattro giorni la norma è stata accantonata.

Gli operai indiani della Foxconn dicono che già otto ore sotto pressione sono difficili da sopportare. “Morirò se diventano 12”, dice Padmini. “E per lavorare devo essere viva”. Secondo i lavoratori cinesi, il ritmo più lento delle fabbriche in India rappresenta uno shock per il sistema. I turni indiani di otto ore e le pause standard per il tè sono un peso per la produzione. “Ti sei appena sistemato al tuo posto ed è già ora di un’altra pausa”, si lamenta un manager.

Operai sulla strada che porta alla fabbrica nel distretto di Sunguvarchatram, India, 20 ottobre 2023  (Saumya Khandelwal, Saumya Khandelwal per Rest of World)

In Cina la Foxconn può contare su un certo lassismo nell’applicazione delle leggi – che limitano la giornata lavorativa a otto ore e fissano un tetto per gli straordinari – e anche su sostanziosi incentivi per far lavorare i dipendenti undici ore al giorno durante i picchi di produzione. Due dipendenti cinesi dell’impianto di Sunguvarchatram ci hanno detto che anche in India la Foxconn usa incentivi e opportunità di avanzamento per incoraggiare ingegneri e manager. Ma sono rimasti sorpresi quando hanno scoperto che i colleghi indiani rifiutavano gli straordinari. Qualcuno l’ha attribuito a uno scarso senso di responsabilità, qualcun altro a quella che considerano mancanza di ambizione. “Si accontentano con poco”, commenta un ingegnere mandato da Zhengzhou. “Non riescono a gestire neppure un briciolo di pressione in più. Ma senza quella non riusciremo a trasferire qui la produzione in poco tempo”. Tre dipendenti della Foxconn ci hanno detto che manager e tecnici cinesi si scagliavano contro i lavoratori indiani dal rendimento insoddisfacente con lo stesso linguaggio aggressivo che usano in Cina. È successo meno spesso dopo che alcuni si sono lamentati con l’ufficio risorse umane. Ma lo staff straniero si sente ancora frustrato dalle prestazioni degli operai locali. “Sanno lavorare, ma sono lenti”, dice un dipendente. “Sono lenti perfino a camminare”.

Un manager cinese si è lamentato perché i dipendenti indiani chiedevano permessi troppo spesso – per assistere un familiare malato, per esempio – o per ragioni che giudicava insufficienti – come l’eclissi della Luna rossa, ritenuta particolarmente infausta – e pretestuose. E spesso erano in ritardo alle riunioni. Allo stesso tempo, però, il personale straniero apprezza la cultura del lavoro indiana, con le sue pause per il tè, le chiacchiere tra colleghi e la puntualità del ritorno a casa. Ammettono di stare aiutando l’azienda a diffondere una cultura del lavoro malsana. Nelle fabbriche della Foxconn in Cina la gente si fa in quattro per superare gli obiettivi, rinuncia ai giorni di permesso e si ferma fino a tardi per fare buona impressione con i capi. Il lavoro in Cina è troppo neijuan, o “involuto”, dicono vari dipendenti cinesi. Il termine, sempre più popolare in Cina, descrive la competizione incessante all’interno della società cinese e l’estenuante corsa al ribasso che ne consegue. “Gradualmente, stiamo introducendo l’involuzione in India”, scherza un ingegnere.

Solo amore

A maggio, Li aveva ormai largamente superato la barriera linguistica, dice stupito dei suoi stessi progressi. “Con mia grande sorpresa, riuscivo a capire quello che mi dicevano!”. Poteva parlare delle minuzie di uno smartphone ma anche fare due chiacchiere. Un’operaia gli ha detto di invidiare la sua pelle “bianca”. Altre erano curiose di sapere perché non era sposato. “Casa, auto e soldi”, ha replicato Li per spiegare i requisiti richiesti a uno scapolo in Cina. “Donne cinesi molto cattive”, ricorda che gli ha risposto un’operaia. “Qui niente casa, niente auto e niente soldi. Solo amore”.

Gli ingegneri cinesi, per lo più uomini, vivono isolati dalle comunità locali. La Foxconn ha affittato per loro degli alloggi in un complesso residenziale di lusso, Hiranandani Parks. I suoi palazzi di 27 piani hanno un aspetto che stona con la campagna circostante. Gli appartamenti, condivisi, hanno pochi mobili. Alcuni hanno appeso al letto una zanzariera: diversi lavoratori cinesi in India hanno preso la dengue. La sera, i tecnici cinesi frequentano una manciata di ristoranti asiatici, fanno jogging nel condominio o chiamano figli, genitori e partner rimasti a casa. La domenica la Foxconn manda un pull­man per portarli in uno dei tre centri commerciali di Chennai.

Li non si è mai adattato alla cucina indiana. Ha assaggiato qualche piatto locale, ma ha subito rinunciato. “Ogni volta che passo davanti alla caffetteria indiana andando in ufficio non sopporto l’odore”, racconta. “La roba è tutta gialla e molliccia”. Nelle uscite settimanali in città, si limita ai fast food. La Foxconn ha una mensa con cucina cinese dove chef indiani appositamente formati preparano piatti come lo spezzatino di maiale o le uova al pomodoro. La domenica, gli ingegneri si cucinano dei pranzi sontuosi usando gli ingredienti che comprano in un vicino supermercato coreano o quelli che hanno infilato in valigia prima di partire. Malgrado qualche conflitto durante il turno, fuori della fabbrica i lavoratori cinesi e indiani socializzano. I dipendenti indiani qualche volta raggiungono Hiranandani Parks per le festività come il capodanno cinese o per partecipare ai pranzi della domenica, racconta Li. Gli ingegneri cinesi approfittano di queste occasioni per videochiamare i figli che così possono praticare l’inglese con i colleghi indiani.

Il grande lancio

A giugno del 2023 la produzione di prova si è intensificata in vista del lancio di settembre. Nello stabilimento si è diffuso un senso d’urgenza. Dipendenti che prima se ne andavano appena finiva il turno si fermavano in ufficio fino a tarda sera, anche per restare in contatto con i colleghi della Apple negli Stati Uniti. Per gli indiani è stata dura. “Devono abituarsi”, ci dice un collega straniero. “L’azienda sta lentamente instaurando lo stile di lavoro cinese”.

Alla linea di montaggio è stata dura. Jaishree, 21 anni, è stata assunta nel 2022 dopo essersi laureata in matematica. Con gli alti livelli di disoccupazione indiani alla Foxconn lavorano molte donne laureate. Nella prima settimana di lavoro Jaishree aveva paura a usare l’avvitatore per le minuscole viti dell’iPhone e non riusciva a rispettare i tempi richiesti. “All’inizio, in otto ore mettevo circa trecento viti. Ora sono arrivata a 750”, dice. Con questi carichi di lavoro, andare al bagno richiede un’apposita strategia. “Ci vado durante le pause”, dice Jaishree. Anche i pasti sono un problema. Nel dicembre 2021 migliaia di dipendenti della Foxconn hanno protestato perché 250 colleghi avevano avuto un’intossicazione alimentare. In risposta, l’azienda ha cambiato i fornitori del servizio mensa e ha aumentato lo stipendio di base da 14mila a 18mila rupie (da 165 a 198 euro circa), il doppio del salario minimo prescritto dal dipartimento del lavoro del Tamil Nadu per gli operai non specializzati.

Anche se la mensa indiana della Foxconn serve una varietà di ricette tradizionali, le operaie sostengono che la qualità è scarsa. “Mangiamo solo per saziarci”, dice Padmini. Le donne che vivono negli ostelli della Foxconn si lamentano sempre del vitto, aggiunge, e “a volte non mangiano affatto”. Le condizioni di lavoro si ripercuotono sulla salute. Padmini dice che sta perdendo i capelli perché deve portare una cuffia e lavorare in spazi con l’aria condizionata. “La cosa peggiore è il dolore al collo, perché siamo sempre curve”. Soffre di mestruazioni irregolari. “Tra le ragazze che lavorano all’assemblaggio con me, sei hanno lo stesso problema”, dice Padmini. Le operaie dicono di vedere spesso colleghe che si sentono male. “Succede soprattutto durante il primo turno. Molte arrivano senza mangiare e senza aver dormito bene”. Due ingegneri cinesi sostengono che le donne indiane non mangiano abbastanza: “Se gli dai la carne, non la mangiano per via delle loro usanze religiose”.

I lavoratori cinesi oggi si misurano ancora con straordinari frequenti e pressione costante, ma il vitto, le condizioni di vita e l’assistenza sanitaria sono migliorati, spiega Chan del politecnico di Hong Kong. Però anche nei primi anni del ­boom manifatturiero erano frequenti i casi di donne che svenivano e soffrivano di mestruazioni irregolari, scrive lo studioso del lavoro Pun Ngai nel suo libro Made in China: women factory workers in a global workplace (2005). Eppure, il salario relativamente buono, unito alla possibilità di fuggire dalla vita del villaggio d’origine e dal controllo dei genitori rendevano il lavoro allettante. Lo stesso sta succedendo a Chennai. Le operaie ci hanno detto che, essendo la principale fonte di sostentamento della famiglia, ora riescono a convincere i genitori a rinviare eventuali matrimoni.

Lavoro
Disoccupazione in India, percentuale rispetto alla forza lavoro (Fonte: Banca mondiale/The Economist)

◆ Negli ultimi vent’anni la disoccupazione giovanile in India ha continuato ad aumentare. Una delle grandi promesse del primo ministro Narendra Modi, che guida il paese dal 2014, era industrializzare l’India e creare impieghi meglio retribuiti. Ma durante i suoi due mandati i tassi di disoccupazione sono cambiati di poco. La situazione è particolarmente difficile per i lavoratori tra i 15 e i 24 anni, molti dei quali non hanno le competenze richieste nel mercato del lavoro indiano.


Padmini, con già due anni di anzianità, parla della vita alla Foxconn con la sicurezza di un’operaia esperta e racconta che risparmia gran parte dello stipendio per ricomprare i gioielli d’oro di famiglia che i genitori hanno dovuto impegnare. Ha anche acquistato il suo primo smart­phone, un modello Xiaomi a buon mercato. La sua più grande preoccupazione è diventare troppo vecchia per questo lavoro. A 26 anni, crede di essere vicina all’età in cui l’azienda potrebbe licenziarla.

Il 12 settembre 2023 la Apple ha presentato il nuovo smartphone nel suo quartier generale a Cupertino, in California. Il video con l’annuncio traboccava di termini che ne magnificavano le qualità: “Titanio di grado aerospaziale”, “particelle nanocristalline”, “sensore quad-pixel”. A mezzo mondo di distanza, la Foxconn di Sunguvarchatram era riuscita nella sua missione. Alla fine dell’estate, la linea di montaggio dell’iPhone 15 era in piena attività. La percentuale di telefoni difettosi – un indicatore importante – era diminuita fino a raggiungere i livelli della Cina.

Il giorno della presentazione a Cupertino, i lavoratori della Foxconn a Sunguvarchatram si sono riuniti e hanno celebrato una puja per la prima spedizione del nuovo modello. Il rituale indù, frequente nell’industria manifatturiera indiana, invocava un processo di produzione senza intoppi. Davanti a un camion carico di nuovi telefoni, i lavoratori hanno deposto immagini delle divinità induiste incorniciate da ghirlande di fiori. Pregando, hanno acceso l’incenso e offerto frutta, mentre i dipendenti stranieri incuriositi osservavano la scena. Alla fine, un dipendente ha spaccato a terra una noce di cocco e una zucca.

L’arrivo del nuovo smart­phone made in India nei negozi locali, il giorno del lancio, ha generato un’ondata di orgoglio nazionalistico. “Fiero ed emozionato di possedere L’IPHONE 15 MADE IN INDIA #Make in India”, ha scritto su X l’attore Ranganathan Madhavan. In fabbrica, la Foxconn ha organizzato una festa. “È stato come lanciare un razzo nello spazio”, dice Li. Per ora l’ingegnere rimane in India, anche se non sa per quanto. Nei prossimi anni ingegneri e manager cinesi dovranno essere presenti perché lo stabilimento continui a essere efficiente. Ogni tanto parlano del fatto che stanno lavorando per rendere inutile il loro mestiere: un giorno gli indiani potrebbero diventare così bravi a produrre l’iPhone che la Apple e altri marchi riusciranno a fare a meno degli addetti cinesi. Ma il progresso è inevitabile. “Se non fossimo venuti qui noi, sarebbe venuto qualcun altro”, dice. “È il corso della storia. Non si può fermarlo”.

Nella prima settimana di ottobre, l’anniversario della nascita del mahatma Gandhi cadeva di lunedì, creando un raro weekend di due giorni per i dipendenti della Foxconn. Li Hai voleva visitare il Taj Mahal. Avrebbe passato buona parte del fine settimana su pullman e aeroplani, ma pensava che ne valesse la pena: ci teneva a vederlo prima di dover tornare a casa. Ma, a qualche giorno dalla partenza, ha dovuto annullare tutto. La direzione ha annunciato che la fabbrica doveva restare aperta per raggiungere gli obiettivi. Quella domenica avrebbe lavorato. ◆ gc

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Questo articolo è uscito sul numero 1556 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati