Un’inchiesta di +972 Magazine e Local Call rivela che l’esercito israeliano ha autorizzato il bombardamento di bersagli non militari, allentato le limitazioni sul numero di vittime civili tollerabili e usato un sistema di intelligenza artificiale per generare un numero senza precedenti di potenziali bersagli, contribuendo così alla natura distruttiva delle fasi iniziali della guerra nella Striscia di Gaza. Questi fattori, descritti da ufficiali dell’intelligence israeliana in servizio o congedati, probabilmente hanno avuto un ruolo in quella che è stata finora una delle campagne militari più sanguinose contro i palestinesi dall’epoca della nakba (la “catastrofe”, la cacciata dei palestinesi dalle loro terre nel 1948).

L’inchiesta si basa su conversazioni avute con sette agenti dell’intelligence israeliana – tra cui personale militare e dell’aeronautica coinvolto in operazioni israeliane nella Striscia sotto assedio – oltre a testimonianze palestinesi, dati e documentazione dalla Striscia di Gaza, e a dichiarazioni ufficiali del portavoce dell’esercito e di altre istituzioni israeliane.

Rispetto ai precedenti attacchi israeliani a Gaza, in quello attuale – cominciato in seguito all’assalto di Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre – l’esercito ha bombardato bersagli che non sono di natura strettamente militare. Tra questi ci sono abitazioni private ed edifici pubblici, infrastrutture e grandi condomini che, secondo le fonti, l’esercito considera “obiettivi di rilievo” (matarot otzem, in ebraico). Bombardarli servirebbe soprattutto a danneggiare la società civile palestinese, “creare uno shock” che abbia forti ripercussioni e “porti i civili a fare pressione su Hamas”, come ha detto una fonte.

Niente per caso

Diverse fonti, parlando a condizione di restare anonime, hanno confermato che l’esercito israeliano ha dei dossier sulla maggioranza dei potenziali obiettivi a Gaza – comprese le abitazioni – in cui è indicato quanti civili potrebbero essere uccisi colpendo un particolare bersaglio. Il numero è calcolato e noto in anticipo alle unità dell’intelligence militare, che poco prima di lanciare un attacco sanno approssimativamente quanti civili moriranno. “Nulla succede accidentalmente”, ha detto una fonte. “Quando una bambina di tre anni è uccisa in una casa a Gaza è perché qualcuno nell’esercito ha deciso che la sua morte non sarebbe stata un grande problema, che valeva la pena pagare quel prezzo per colpire un altro obiettivo. Noi non siamo Hamas. Questi non sono razzi lanciati a caso. Tutto è intenzionale. Sappiamo esattamente quante vittime collaterali ci sono in ogni casa”.

Secondo l’inchiesta, un’altra ragione che spiega il gran numero di obiettivi e di vittime civili a Gaza è l’ampio uso di un sistema chiamato Habsora (Vangelo), basato in gran parte sull’intelligenza artificiale e capace di “generare” bersagli quasi in modo automatico a un ritmo di gran lunga più veloce rispetto al passato. Questo sistema, come descritto da un ex ufficiale dell’intelligence, essenzialmente favorisce una “fabbrica di omicidi di massa”.

Secondo le fonti l’uso crescente di sistemi basati sull’intelligenza artificiale come Habsora permette all’esercito di compiere attacchi su larga scala contro abitazioni in cui vive anche un solo affiliato di Hamas, perfino se non ha ruoli di rilievo. Ma le testimonianze dei palestinesi di Gaza indicano che dal 7 ottobre l’esercito ha colpito anche case in cui non abitava nessun miliziano noto o presunto di Hamas o di un altro gruppo. Attacchi come questi, hanno confermato le fonti, possono deliberatamente uccidere intere famiglie. Nella maggior parte dei casi, hanno aggiunto le fonti, nelle abitazioni colpite non c’era alcuna attività militare.

Una fonte ha raccontato che dopo il 7 ottobre un alto ufficiale dell’intelligence ha detto ai suoi colleghi che l’obiettivo era “uccidere il maggior numero possibile di miliziani di Hamas”, per cui i criteri sui danni ai civili palestinesi erano significativamente allentati. Ci sono “casi in cui bombardiamo sulla base di una localizzazione approssimativa della cella telefonica a cui è agganciato l’obiettivo, uccidendo civili. Spesso si fa per risparmiare tempo, invece di lavorarci un po’ di più per avere una localizzazione accurata”. Il risultato di queste politiche è l’impressionante numero di perdite di vite umane nella Striscia dal 7 ottobre. Più di trecento famiglie hanno perso dieci o più componenti nei raid israeliani, un numero quindici volte più alto rispetto alla guerra più sanguinosa di Israele contro la Striscia, nel 2014. Finora sono 18mila i palestinesi uccisi, un numero in costante aumento.

“Tutto questo è in contrasto con il protocollo usato in passato dall’esercito israeliano”, ha spiegato una fonte. “C’è la sensazione che gli alti ufficiali siano consapevoli del loro fallimento del 7 ottobre e stiano cercando di capire come dare all’opinione pubblica israeliana un’immagine vittoriosa che salvi la loro reputazione”.

Israele ha lanciato l’attacco su Gaza in risposta all’offensiva condotta il 7 ottobre da Hamas nel sud di Israele. Nel corso di quell’attacco, sotto una pioggia di razzi, i miliziani palestinesi hanno massacrato più di 840 civili e 350 soldati e agenti della sicurezza, hanno sequestrato circa 240 persone (civili e soldati) portandole a Gaza, e hanno commesso violenze sessuali, compresi stupri, secondo un rapporto dell’ong Physicians for human rights Israel. Dal primo momento le autorità di Israele hanno esplicitamente dichiarato che la risposta sarebbe stata di portata diversa rispetto alle precedenti operazioni militari a Gaza, con l’obiettivo di sradicare completamente Hamas. L’esercito ha tradotto le parole in azioni.

Senza avvertire

Secondo le fonti i bersagli colpiti dall’aviazione israeliana possono essere sommariamente divisi in quattro categorie. La prima comprende gli “obiettivi tattici”: bersagli militari standard come cellule armate, depositi di armi, lanciarazzi, lanciamissili anticarro, pozzi di lancio, bombe di mortaio, comandi militari, posti di osservazione e così via. La seconda comprende gli “obiettivi sotterranei”: soprattutto tunnel che Hamas ha scavato sotto i quartieri di Gaza, anche sotto le abitazioni. Gli attacchi aerei su questi bersagli possono demolire le case che si trovano sopra o vicino ai tunnel. Nella terza rientrano gli “obiettivi di rilievo”, tra cui i grattacieli e le torri residenziali nel cuore delle città, e gli edifici pubblici come università, banche e uffici governativi. Nell’ultima categoria rientrano le “case di famiglia” o “case degli agenti”. L’obiettivo dichiarato di questi attacchi è distruggere le abitazioni private per uccidere un abitante sospettato di essere un affiliato di Hamas o della Jihad islamica. Tuttavia i testimoni palestinesi affermano che alcune famiglie sono state uccise anche se nessuno di loro faceva parte di queste organizzazioni.

Nelle fasi iniziali della guerra l’esercito israeliano sembra aver dato particolare attenzione alla terza e alla quarta categoria di obiettivi. Secondo il portavoce dell’esercito, nei primi cinque giorni di combattimenti metà dei bersagli bombardati – 1.329 su un totale di 2.687 – era considerata obiettivo di rilievo. “Ci chiedono di cercare grattacieli in cui metà di un piano sia riconducibile a Hamas”, ha detto una fonte che ha partecipato alle precedenti offensive israeliane su Gaza. “È la scusa che permette all’esercito di causare tanta distruzione. Se dicessero al mondo che gli uffici della Jihad islamica al decimo piano non sono un obiettivo importante, ma che la loro esistenza basta a giustificare la distruzione di un intero grattacielo in modo da spingere le famiglie che ci vivono a fare pressione sulle organizzazioni terroristiche, anche questo sarebbe considerato terrorismo. Perciò non lo dicono”.

Le macerie della moschea Yassin nella città di Gaza, il 9 ottobre 2023 (Adel Hana, Ap/Lapresse)

Varie fonti che hanno prestato servizio nelle unità d’intelligence dell’esercito israeliano dicono che fino a questa guerra le regole consentivano di attaccare gli obiettivi di rilievo solo quando dagli edifici erano stati sgomberati i residenti. Tuttavia, testimonianze e video da Gaza indicano che dal 7 ottobre alcuni di questi obiettivi sono stati attaccati senza avvertire gli abitanti, uccidendo intere famiglie.

Il fatto che edifici residenziali siano stati colpiti su vasta scala si può dedurre dai dati pubblici e ufficiali. Secondo l’ufficio stampa del governo a Gaza, nel momento in cui è entrato in vigore il cessate il fuoco, il 23 novembre, Israele aveva ucciso 14.800 palestinesi; tra questi c’erano seimila bambini e quattromila donne, che insieme costituiscono più del 67 per cento del totale (I bollettini delle vittime sono forniti dall’ufficio stampa da quando il ministero della sanità ha smesso di farlo l’11 novembre, a causa del collasso dei servizi sanitari nella Striscia). Le cifre non si discostano significativamente dalle stime israeliane.

Il ministero della sanità di Gaza non specifica quanti morti appartenevano al braccio armato di Hamas o della Jihad islamica. L’esercito israeliano stima di aver ucciso tra i mille e i tremila miliziani palestinesi. Secondo la stampa israeliana alcuni sarebbero sepolti sotto le macerie o nei tunnel, quindi non risultano nei bilanci ufficiali. I dati dell’Onu per il periodo fino all’11 novembre, quando Israele aveva ucciso 11.078 palestinesi a Gaza, indicano che almeno 312 famiglie hanno perso dieci o più componenti; per fare un confronto, durante l’operazione Margine protettivo del 2014 a Gaza erano venti le famiglie ad aver subìto perdite simili. Almeno 189 famiglie hanno perso tra sei e nove componenti secondo l’Onu, mentre 549 ne hanno persi tra due e cinque. Non ci sono ancora informazioni dettagliate per i dati pubblicati dopo l’11 novembre.

Gli attacchi su obiettivi di rilievo e abitazioni private sono stati lanciati nel momento in cui l’esercito israeliano il 13 ottobre invitava 1,1 milioni di abitanti del nord della Striscia – per la maggior parte residenti nella città di Gaza – a lasciare le loro case e a spostarsi a sud. In totale secondo l’Onu dal 7 ottobre sono stati sfollati 1,7 milioni di palestinesi, la grande maggioranza della popolazione della Striscia. L’esercito ha affermato che l’invito a lasciare il nord della Striscia serviva a proteggere la vita dei civili. I palestinesi tuttavia considerano questa evacuazione di massa come parte di una “nuova nakba”, un tentativo di pulizia etnica su parte o tutto il territorio. L’esercito israeliano afferma di aver sganciato seimila bombe sulla Striscia nei primi cinque giorni di combattimenti, per un peso totale di circa quattromila tonnellate. Secondo l’Al Mezan center for human rights, con sede a Gaza, gli attacchi hanno causato “la completa distruzione dei quartieri residenziali e delle infrastrutture, e l’uccisione di massa degli abitanti”. Come documentato da Al Mezan e da molte immagini, Israele ha bombardato l’università islamica di Gaza, l’ordine forense palestinese, un edificio dell’Onu dedicato a un programma educativo per studenti meritevoli, un palazzo dell’azienda di telecomunicazioni palestinese, i ministeri dell’economia e della cultura, strade e decine di grattacieli e abitazioni, soprattutto nei quartieri settentrionali di Gaza.

Il vero scopo

L’11 ottobre il capo di stato maggiore dell’aeronautica militare israeliana, Omer Tishler, ha detto ai giornalisti che tutti gli attacchi avevano un obiettivo militare legittimo, ma anche che interi quartieri erano stati colpiti “su larga scala e non in modo chirurgico”. Sottolineando che metà degli obiettivi militari erano di rilievo, Tishler ha dichiarato che erano stati attaccati “i quartieri che servono da covi del terrore per Hamas”, “basi operative” e “attività usate dalle organizzazioni terroristiche dentro edifici residenziali”.

“Alla fine abbattevano un grattacielo per il semplice gusto di farlo”

Eppure, nonostante i dilaganti bombardamenti nei primi giorni della guerra, i danni all’infrastruttura militare di Hamas nel nord della Striscia sembrano essere stati minimi. Le fonti hanno dichiarato che gli obiettivi di rilievo spesso anche in passato sono stati usati come copertura per danneggiare la popolazione. “Hamas è ovunque a Gaza; non c’è un solo edificio in cui non ci sia qualcosa di Hamas, quindi se vuoi trovare un modo per trasformare un grattacielo in un bersaglio, puoi riuscirci”, ha detto un ex funzionario dell’intelligence. “Ci sarà sempre un piano dell’edificio riconducibile a Hamas”, ha confermato un’altra fonte. “Ma nella maggior parte dei casi è chiaro che il bersaglio non ha un valore militare tale da giustificare un attacco per abbatterlo”. Le fonti sono giunte alla conclusione, esplicitamente o implicitamente, che il danno ai civili sia il vero scopo dei bombardamenti.

“Si crede che il crollo dei grattacieli faccia davvero male a Hamas, perché crea una reazione pubblica nella Striscia di Gaza e spaventa la popolazione”, ha detto una delle fonti. “Si vuole dare ai cittadini di Gaza la sensazione che Hamas non abbia il controllo della situazione”.

Anche se attaccare più di mille obiettivi di rilievo in cinque giorni è un fatto senza precedenti, l’idea di causare grandi devastazioni alle aree civili per scopi strategici è stata formulata nelle passate operazioni militari nella Striscia, e perfezionata dalla “dottrina Dahiya” nella seconda guerra del Libano del 2006. Secondo questa dottrina – sviluppata dall’ex capo di stato maggiore Gadi Eizenkot, oggi deputato e membro del gabinetto di guerra – in un conflitto contro gruppi di guerriglia come Hamas o Hezbollah Israele deve usare una forza sproporzionata e travolgente quando prende di mira infrastrutture civili e governative, per stabilire una deterrenza e costringere la popolazione a fare pressione sui gruppi perché smettano gli attentati. Il concetto di “obiettivi di rilievo” sembra derivare dalla stessa logica.

Sollevare il morale

L’esercito israeliano ha pubblicamente definito gli obiettivi di rilievo a Gaza per la prima volta alla fine dell’operazione Margine protettivo del 2014. Negli ultimi quattro giorni di guerra furono bombardati quattro edifici: tre palazzi residenziali nella città di Gaza e un grattacielo a Rafah. I vertici della sicurezza spiegarono che gli attacchi avevano lo scopo di mandare ai palestinesi il messaggio che “nulla ormai è al sicuro”, e di fare pressioni su Hamas affinché accettasse un cessate il fuoco. “Le prove raccolte mostrano che la distruzione è stata realizzata deliberatamente e senza giustificazione militare”, affermò Amnesty in un rapporto alla fine del 2014.

In un’altra violenta escalation cominciata nel novembre 2018 l’esercito attaccò ancora una volta obiettivi di rilievo, bombardando grattacieli, centri commerciali e il palazzo del canale tv Al Aqsa, legato a Hamas. “Attaccare obiettivi di rilievo produce un effetto significativo sull’altra parte”, dichiarò un ufficiale dell’aeronautica militare. “L’abbiamo fatto senza uccidere nessuno e ci siamo assicurati che il palazzo e i dintorni fossero stati sgomberati”.

Precedenti operazioni hanno mostrato che attaccare questi obiettivi ha non solo lo scopo di abbattere il morale dei palestinesi, ma anche di sollevare quello degli israeliani. Il giornale Haaretz ha rivelato che durante l’operazione Guardiani delle mura del 2021, l’unità del portavoce dell’esercito mise in atto un’operazione di guerra psicologica per far conoscere le operazioni dell’esercito a Gaza e i danni causati ai palestinesi. I soldati, che usavano falsi account sui social network per nascondere l’origine della campagna, caricavano immagini e video degli attacchi dell’esercito su Twitter, Facebook, Instagram e TikTok, per mostrare all’opinione pubblica israeliana le prodezze delle forze armate. Israele colpì nove obiettivi definiti di rilievo , tutti grattacieli. “Lo scopo era far crollare i palazzi per esercitare una pressione su Hamas e mostrare al pubblico israeliano un’immagine vittoriosa”, ha dichiarato una fonte. Però, ha continuato, “non funzionò. Ho studiato Hamas e mi sono reso conto che non gli importa dei civili e degli edifici abbattuti. A volte l’esercito trovava in un grattacielo qualcosa che era legato a Hamas, ma sarebbe stato possibile colpire quel bersaglio anche con un arma più precisa. Alla fine abbattevano un grattacielo per il semplice gusto di farlo”.

Nella guerra in corso l’esercito israeliano non solo ha colpito un numero senza precedenti di obiettivi di rilievo, ma ha anche abbandonato le politiche che avevano l’obiettivo di evitare danni ai civili. Mentre in passato la procedura ufficiale dell’esercito prevedeva che fosse possibile attaccare obiettivi di rilievo solo quando tutti i civili erano stati allontanati, le testimonianze degli abitanti di Gaza indicano che dopo il 7 ottobre Israele ha attaccato i palazzi con persone ancora all’interno o senza aver preso misure significative per farle andare via.

Omer Tishler ha confermato un cambio di linea, dichiarando che la pratica del roof-knocking (bussare sul tetto) – in base alla quale un piccolo colpo iniziale sul tetto di un edificio avvertiva i residenti di un attacco imminente – non si usa più “dove c’è un nemico”.

Le fonti che si sono occupate degli obiettivi di rilievo hanno affermato che la strategia spudorata dei bombardamenti attuali potrebbe costituire uno sviluppo pericoloso, spiegando che questo tipo di attacchi in origine mirava a “sconvolgere”, ma non necessariamente a uccidere un gran numero di civili. “Gli obiettivi erano stabiliti con il presupposto che le persone avrebbero lasciato gli edifici, quindi l’idea era che il numero di vittime sarebbe stato sempre zero”, ha detto una fonte. “Questo significa sgomberare totalmente gli edifici da colpire. Ci vogliono due o tre ore. Nel frattempo chiamiamo al telefono i residenti, spariamo missili di avvertimento e facciamo un controllo incrociato con i video dei droni per verificare che le persone si stiano effettivamente allontanando”.

Tuttavia, le prove che arrivano da Gaza indicano che alcuni palazzi – presumibilmente obiettivi di rilievo – sarebbero stati abbattuti senza avvertimento. Il 10 ottobre Israele ha bombardato l’edificio Babel nella città di Gaza, secondo la testimonianza di Bilal Abu Hatzira, che quella notte ha recuperato i corpi tra le macerie. Nell’attacco sono state uccise dieci persone, fra cui tre giornalisti. Il 25 ottobre l’edificio di dodici piani Al Taj di Gaza è stato raso al suolo, uccidendo senza preavviso le famiglie che ci abitavano. Circa 120 persone sono rimaste sotto le macerie, secondo le testimonianze dei residenti. Yousef Amar Sharaf, un abitante del complesso, ha scritto su X che nell’attacco sono rimasti uccisi 37 suoi familiari: “Il mio caro padre e la mia cara madre, la mia amata moglie, i miei figli, e la maggior parte dei miei fratelli e delle loro famiglie”. Gli abitanti hanno riferito che sono state sganciate molte bombe, danneggiando e distruggendo appartamenti anche nei palazzi vicini.

Lo sgombero di un edificio a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, il 22 ottobre 2023 (Hatem Ali, Ap/Lapresse)

Sei giorni dopo, il 31 ottobre, il complesso residenziale Al Mohandseen, di otto piani, è stato bombardato senza preavviso. Dalle macerie sarebbero stati recuperati fra i 30 e i 45 corpi nel primo giorno. Un bambino è stato trovato vivo, senza i genitori. I giornalisti hanno stimato che sono più di 150 le persone uccise nell’attacco, molte rimaste sepolte sotto le macerie. L’edificio si trovava nel campo profughi di Nuseirat, a sud del wadi Gaza, nella presunta “zona sicura” verso la quale Israele ha indirizzato i palestinesi in fuga dalle loro case nel centro e nel nord della Striscia. Quindi serviva da rifugio temporaneo per gli sfollati. Secondo un’indagine di Amnesty international, il 9 ottobre Israele avrebbe bombardato tre palazzi e un mercato in una strada affollata nel campo profughi di Jabaliya, uccidendo 69 persone. “I corpi erano bruciati. Non volevo guardare, avevo paura di vedere il volto di Imad”, ha detto il padre di un bambino ucciso. “I cadaveri erano sparsi a terra. Tutti cercavano i loro figli tra le macerie. Ho riconosciuto il mio solo dai pantaloni”. Secondo l’indagine, l’esercito ha dichiarato che l’attacco al mercato aveva come obiettivo una moschea “in cui si trovavano miliziani di Hamas”. Ma le immagini satellitari non mostrano una moschea nelle vicinanze.

In tempo reale

Il portavoce dell’esercito non ha risposto alle domande di +972 Magazine su attacchi specifici, ma ha dichiarato di aver “avvertito in molti modi prima di colpire, e quando le circostanze lo consentivano ha anche dato avvertimenti individuali telefonando alle persone che si trovavano in corrispondenza o nelle vicinanze degli obiettivi (nel corso della guerra ci sono state più di 25mila conversazioni in diretta, oltre a milioni di messaggi registrati, scritti e volantini lanciati dal cielo per avvertire la popolazione). In generale, le forze armate israeliane lavorano per ridurre quanto più possibile il danno ai civili nel corso degli attacchi, nonostante la difficoltà di combattere un’organizzazione terroristica che usa i cittadini di Gaza come scudi umani”.

Secondo il portavoce dell’esercito, il 10 novembre, dopo 35 giorni di combattimenti, Israele aveva attaccato 15mila obiettivi. Diverse fonti sottolineano che è una cifra molto alta rispetto alle altre quattro operazioni più importanti condotte nella Striscia. Nel corso di Guardiani delle mura del 2021 in undici giorni Israele attaccò 1.500 obiettivi. In Margine protettivo, durata 51 giorni nel 2014, Israele colpì tra 5.266 e 6.231 obiettivi. In Pilastro di difesa, nel 2012, circa 1.500 in otto giorni. In Piombo fuso, nel 2008, 3.400 in 22 giorni. Inoltre, fonti di intelligence che hanno prestato servizio nelle precedenti operazioni hanno dichiarato che, per dieci giorni nel 2021 e per tre settimane nel 2014, un tasso di attacchi di 100-200 obiettivi al giorno aveva portato a una situazione in cui le forze aeree israeliane non avevano più obiettivi con un valore militare. Perché allora oggi dopo più di due mesi di bombardamenti l’esercito israeliano non ha ancora esaurito gli obiettivi?

La risposta potrebbe trovarsi in una dichiarazione del portavoce dell’esercito del 2 novembre, secondo cui i militari starebbero usando il sistema di intelligenza artificiale Habsora, che “permette l’uso di strumenti automatici per produrre obiettivi rapidamente, e che ottimizza materiali di intelligence accurati e di alta qualità in base alle esigenze operative”.

Nelle interviste i dirigenti degli ospedali descrivono sempre la stessa scena

Secondo le fonti di intelligence, tra le altre cose Habsora genera raccomandazioni automatiche di attacco ad abitazioni in cui vivono persone sospettate di essere miliziani di Hamas o della Jihad islamica, e poi Israele le bombarda. Habsora, ha spiegato una delle fonti, processa enormi quantità di dati “più di quanti potrebbero lavorare decine di migliaia di funzionari di intelligence”, e suggerisce in tempo reale i siti da bombardare. Dato che la maggior parte degli alti ufficiali di Hamas si rifugia nei tunnel ogni volta che comincia un’operazione militare, l’uso di un sistema come Habsora rende possibile localizzare e attaccare le case di agenti minori.

Un ex ufficiale dell’intelligence ha spiegato che il sistema Habsora consente all’esercito di gestire una “fabbrica di omicidi di massa”, in cui “l’enfasi è sulla quantità e non sulla qualità”. Un occhio umano “riesaminerà gli obiettivi prima di ogni attacco, ma senza il bisogno di spenderci molto tempo”. Dato che Israele stima che a Gaza ci siano circa 30mila miliziani di Hamas, tutti condannati a morte, il numero dei potenziali obiettivi è enorme.

Nel 2019 l’esercito israeliano ha creato un centro con l’obiettivo di usare l’intelligenza artificiale per accelerare la generazione di bersagli. “La divisione amministrativa obiettivi è composta da centinaia di ufficiali e soldati, e usa l’intelligenza artificiale”, ha dichiarato l’ex capo di stato maggiore Aviv Kochavi al quotidiano israeliano Ynet. “È una macchina che processa molti dati meglio e più rapidamente di qualsiasi essere umano, e li traduce in obiettivi da attaccare. Nell’operazione Guardiani delle mura, dal momento in cui è stata attivata, ha generato cento nuovi obiettivi a Gaza ogni giorno. In passato c’erano periodi in cui ne identificavamo cinquanta all’anno”.

“Prepariamo gli obiettivi automaticamente e lavoriamo seguendo una lista”, ha detto una fonte che ha lavorato nella divisione. “È proprio come una fabbrica. Agiamo velocemente e non c’è tempo per fare ricerche approfondite. L’idea è che siamo giudicati sulla base di quanti obiettivi riusciamo a individuare”.

Un funzionario militare responsabile della banca dati degli obiettivi ha detto al Jerusalem Post che, grazie ai sistemi d’intelligenza artificiale, per la prima volta le forze armate possono generare obiettivi con un ritmo superiore a quello con cui attac­cano.

I sistemi automatizzati come Habsora hanno facilitato il lavoro degli ufficiali dell’intelligence israeliana nel prendere decisioni durante le operazioni militari, incluso il calcolo delle potenziali vittime. Cinque diverse fonti hanno confermato che il numero di civili che potrebbero essere uccisi negli attacchi alle abitazioni private è noto in anticipo all’intelligence israeliana, e compare chiaramente nel dossier del bersaglio nella categoria “danni collaterali”. Secondo queste fonti ci sono diversi gradi di danno collaterale, sulla base dei quali l’esercito stabilisce se è possibile attaccare un obiettivo all’interno di un’abitazione. “Quando la direttiva generale diventa ‘danno collaterale 5’ significa che siamo autorizzati a colpire tutti gli obiettivi in cui rimarranno uccisi fino a un massimo di cinque civili. Possiamo operare su tutti i dossier che hanno il numero 5 o inferiore”, ha spiegato una delle fonti.

“In passato le case di esponenti minori di Hamas di norma non erano segnalate per essere bombardate”, ha detto un ufficiale della sicurezza che ha partecipato a precedenti operazioni. “Ai miei tempi, se la casa era contrassegnata come danno collaterale 5 non sempre si autorizzava un attacco”. L’approvazione si otteneva solo se si era a conoscenza del fatto che ci abitava un alto comandante dell’organizzazione islamista palestinese. “Da quello che so, oggi possono segnalare le case di qualunque miliziano di Hamas, indipendentemente dal grado”, ha continuato. “Sono tantissime. Segnalano la casa e la bombardano, uccidendo tutti”.

Il 22 ottobre l’aviazione israeliana ha bombardato la casa del giornalista palestinese Ahmed Alnaouq a Deir al Balah. Alnaouq era un mio caro amico e collega; quattro anni fa abbiamo fondato la pagina Facebook in ebraico “Attraverso il muro”, con l’obiettivo di portare le voci dei palestinesi di Gaza agli israeliani. L’attacco ha fatto crollare la casa sulla famiglia di Alnaouq, uccidendo suo padre, i suoi fratelli e sorelle, e tutti i loro figli, compresi i neonati. Solo la nipote Malak, di dodici anni, è sopravvissuta, ma è morta dopo pochi giorni per le ferite riportate. Ventuno familiari di Alnaouq sono stati uccisi. Nessuno era un miliziano. La più piccola aveva due anni; il più anziano, suo padre, 75. Alnaouq, che attualmente vive nel Regno Unito, è rimasto solo. Il gruppo WhatsApp della sua famiglia si chiamava “Meglio insieme”. L’ultimo messaggio lo aveva inviato lui, poco dopo la mezzanotte della sera dell’attacco. “Qualcuno mi dica che va tutto bene”, aveva scritto. Nessuno ha risposto.

Il caso di Alnaouq è frequente nella Striscia di Gaza in questi giorni. Nelle interviste i dirigenti degli ospedali descrivono sempre la stessa scena: le famiglie entrano negli ospedali come una processione di cadaveri, un bambino a cui segue il padre, a cui segue il nonno. I corpi sono coperti di polvere e sangue.

Secondo gli ex funzionari dell’intelligence israeliana, in molti casi le abitazioni sono bombardate per “uccidere miliziani di Hamas o della Jihad islamica”. I ricercatori dell’intelligence sanno se anche i familiari del miliziano o i vicini di casa potrebbero morire in un attacco, e sanno come calcolare quanti potrebbero morire. Tutte le fonti hanno affermato che si tratta di abitazioni private, dove nella maggior parte dei casi non si svolgono attività militari.

Dopo un bombardamento israeliano a Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza, il 21 ottobre 2023 (Yousef Masoud, The New York Times/Contrasto)

Non abbiamo dati sul numero di miliziani uccisi o feriti negli attacchi sulle abitazioni, ma le prove dimostrano che in molti casi nessuna delle vittime apparteneva ad Hamas o alla Jihad islamica.

Un nuovo modello

Il 10 ottobre l’aviazione israeliana ha bombardato un palazzo nel quartiere di Sheikh Radwan di Gaza, uccidendo quaranta persone, in maggior parte donne e bambini. In un video girato dopo l’attacco si vedono persone che gridano, tenendo tra le braccia quella che sembra una bambola tirata fuori dalle macerie. Quando l’obiettivo si avvicina si capisce che è il corpo di un neonato. Un’inchiesta di Amnesty international ha scoperto che un esponente di Hamas viveva in uno dei piani superiori dell’edificio, ma non era presente al momento dell’attacco.

Bombardare le abitazioni in cui presumibilmente vivono agenti di Hamas o della Jihad islamica è diventato un metodo sistematico dell’esercito durante l’operazione Margine protettivo del 2014. All’epoca 606 palestinesi – un quarto dei morti civili in 51 giorni di combattimenti – appartenevano a famiglie le cui case erano state colpite. Nel 2015 un rapporto dell’Onu l’ha definito un potenziale crimine di guerra e “un nuovo schema” d’azione che “ha portato alla morte di intere famiglie”.

Nel 2014 furono uccisi 93 bambini nei bombardamenti israeliani sulle abitazioni private; tredici avevano meno di un anno. Già un mese fa si registravano 286 bambini di età pari o inferiore a un anno uccisi nella Striscia, secondo una lista dettagliata con i documenti di identità e l’età delle vittime pubblicata il 26 ottobre dal ministero della sanità di Gaza. Da allora il numero è raddoppiato o triplicato.

In molti casi oggi l’esercito israeliano conduce attacchi che colpiscono abitazioni private anche dove non c’è un obiettivo militare noto o evidente. Per esempio, secondo il Committee to protect journalists, fino al 29 novembre Israele ha ucciso cinquanta giornalisti a Gaza, alcuni dei quali erano a casa con le famiglie. Roshdi Sarraj, 31 anni, un giornalista di Gaza nato nel Regno Unito, aveva fondato la testata Ain Media. È morto il 22 ottobre quando una bomba israeliana ha colpito la casa dei suoi genitori. Anche la giornalista Salam Mema è morta con i figli sotto le macerie della sua casa bombardata. Lo stesso è successo a Duaa Sharaf e Salma Makhaimer.

Gli analisti israeliani hanno ammesso che l’efficacia militare di questo tipo di attacchi aerei sproporzionati è limitata. Due settimane dopo l’inizio dei bombardamenti, il commentatore israeliano Avi Issacharoff ha twittato: “Per quanto sia difficile dirlo, non sembra che il braccio militare di Hamas sia stato significativamente danneggiato”. I miliziani di Hamas operano a partire da un’intricata rete di tunnel costruiti sotto vasti tratti della Striscia di Gaza. Questi tunnel, come confermato dagli ex ufficiali dell’intelligence israeliana, passano anche sotto case e strade. Quindi i tentativi israeliani di distruggerli con bombardamenti aerei in molti casi portano probabilmente all’uccisione di civili. Questo potrebbe essere un altro motivo che spiega l’alto numero di famiglie palestinesi spazzate via nell’offensiva.

Gli ufficiali dell’intelligence hanno affermato che il modo in cui Hamas ha progettato la rete di tunnel a Gaza sfrutta deliberatamente la popolazione e le infrastrutture in superficie. Queste affermazioni sono state la base della campagna mediatica di Israele sugli attacchi contro l’ospedale Al Shifa e i tunnel scoperti sotto la struttura.

Israele ha anche colpito un gran numero di obiettivi militari: miliziani armati di Hamas, siti di lancio dei razzi, cecchini, squadre anticarro, comandi militari, basi, posti di osservazione e altro. Dall’inizio dell’invasione terrestre i bombardamenti e il fuoco dell’artiglieria pesante sono stati usati per fornire supporto alle truppe israeliane sul campo. Gli esperti di diritto internazionale sostengono che questi obiettivi sono legittimi, purché gli attacchi rispettino il principio di proporzionalità.

In risposta a una richiesta di informazioni il portavoce dell’esercito ha dichiarato: “I militari si impegnano a rispettare il diritto internazionale e agiscono in conformità con questo, e così attaccano obiettivi militari e non quelli civili. L’organizzazione terroristica Hamas posiziona miliziani e risorse militari tra la popolazione. Hamas usa sistematicamente i civili come scudi umani e conduce combattimenti da edifici civili, compresi siti sensibili come ospedali, moschee, scuole e strutture dell’Onu”. Le nostre fonti d’intelligence hanno affermato che in molti casi Hamas “mette deliberatamente in pericolo la popolazione e cerca d’impedire con la forza ai civili di allontanarsi”. Due fonti hanno dichiarato che i leader di Hamas “sono consapevoli che i danni causati ai civili dagli israeliani gli forniscono legittimità”.

Cambio di tono

Anche se oggi è difficile da immaginare, l’idea di sganciare una bomba da una tonnellata per colpire un miliziano di Hamas a costo di uccidere un’intera famiglia come “danno collaterale” non è stata sempre accettata da ampie fette della società israeliana. Nel 2002 l’aviazione israeliana bombardò la casa di Salah Mustafa Muhammad Shehade, allora capo delle Brigate al Qassam, l’ala militare di Hamas. La bomba uccise lui, la moglie Eman, la figlia Laila di 14 anni e altri quattordici civili, tra cui undici bambini. La strage suscitò clamore nell’opinione pubblica israeliana e nel mondo e Israele fu accusato di aver commesso crimini di guerra. La polemica portò l’esercito israeliano nel 2003 a sganciare una bomba più piccola, da un quarto di tonnellata, su un edificio di Gaza dov’era in corso una riunione di alti funzionari di Hamas, tra i quali il leader delle Brigate al Qassam Mohammed Deif, nonostante il timore che non sarebbe stata abbastanza potente da ucciderli. Nel libro To know Hamas (Conoscere Hamas), il giornalista israeliano Shlomi Eldar ha scritto che la decisione di usare una bomba relativamente piccola era dovuta al precedente di Shehade e al timore che quella da una tonnellata avrebbe ucciso anche i civili nell’edificio. L’attacco fallì e i leader dell’ala militare di Hamas scapparono.

Nel dicembre 2008, nella prima grande operazione militare di Israele contro Hamas dopo che il movimento era salito al potere a Gaza, Yoav Gallant, all’epoca a capo del comando meridionale dell’esercito israeliano, dichiarò che per la prima volta si stavano “colpendo le abitazioni delle famiglie” di importanti funzionari di Hamas con l’obiettivo di distruggerle, ma senza danneggiare le famiglie. Gallant sottolineò che le case erano state attaccate dopo aver avvertito le persone con un “colpo sul tetto” e telefonate, ed era risultato evidente che all’interno si stavano svolgendo attività militari di Hamas.

Dopo l’operazione Margine protettivo del 2014, in cui Israele ha cominciato a colpire sistematicamente le abitazioni, le organizzazioni per i diritti umani come B’Tselem hanno raccolto testimonianze dai palestinesi sopravvissuti agli attacchi. Questi hanno raccontato che le case erano crollate, i frammenti di vetro avevano tagliato i corpi delle vittime, le macerie “avevano l’odore del sangue” e alcune persone erano rimaste sepolte vive.

Questa politica sanguinosa continua oggi, grazie in parte all’uso di armi distruttive e a tecnologie sofisticate come quella di Habsora, ma anche a un apparato politico e di sicurezza che ha allentato i freni della macchina militare di Israele. Quindici anni dopo aver ribadito che l’esercito si sforzava di ridurre al minimo i danni ai civili, Gallant, oggi ministro della difesa, ha cambiato tono e dopo il 7 ottobre ha detto: “Stiamo combattendo animali umani, e ci comporteremo di conseguenza”. ◆ fdl

Le ultime notizie
L’offensiva e il veto all’Onu

◆ Israele continua a intensificare l’offensiva nel sud della Striscia di Gaza: da giorni i combattimenti tra i suoi soldati e i miliziani di Hamas e i bombardamenti israeliani si concentrano nella zona di Khan Yunis, la grande città del sud dove si erano rifugiate centinaia di migliaia di civili fuggiti dal nord del territorio palestinese. Costretti a fuggire di nuovo, in decine di migliaia si sono riversati in campi profughi nella vicina città di Rafah, al confine con l’Egitto, dove è sempre più difficile trovare da mangiare. Secondo il ministero della salute di Hamas, i bombardamenti israeliani hanno ucciso più di 18.200 persone nella Striscia di Gaza, in grande maggioranza donne, bambini e adolescenti con meno di diciott’anni. L’esercito di Tel Aviv ha indicato che dall’inizio dei combattimenti sul terreno alla fine di ottobre sono morti 104 soldati israeliani.
◆ L’8 dicembre gli Stati Uniti hanno messo il veto su una risoluzione delle Nazioni Unite che chiedeva un cessate il fuoco immediato nella Striscia di Gaza. Altri tredici paesi del Consiglio di sicurezza hanno votato a favore, mentre il Regno Unito si è astenuto. Robert Wood, che rappresenta gli Stati Uniti al Consiglio di sicurezza, ha spiegato che Wash­ington non vuole rinunciare all’obiettivo di eliminare completamente Hamas. Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, aveva avvertito che nella Striscia di Gaza l’ordine civile si sta disintegrando e c’è il rischio di un esodo di massa verso l’Egitto.
◆ Il 9 dicembre sui social network hanno cominciato a circolare video che mostrano decine di palestinesi in mutande inginocchiati a terra e sorvegliati da soldati israeliani. Secondo le ricostruzioni, le immagini sono state registrate nel nord della Striscia di Gaza.
◆ Il 12 dicembre i ribelli sciiti huthi dello Yemen hanno rivendicato il lancio di un missile nel mar Rosso, che il giorno prima aveva colpito una petroliera battente bandiera norvegese. Il 9 dicembre gli huthi avevano minacciato di attaccare tutte le navi nel mar Rosso dirette verso Israele se la popolazione della Striscia non avesse ricevuto aiuto. Afp, Bbc


Yuval Abraham è un giornalista e attivista israeliano che vive a Gerusalemme. +972 Magazine è un sito indipendente di giornalisti israeliani e palestinesi.

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Questo articolo è uscito sul numero 1542 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati