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La Libia è un paese diviso che rischia di dividersi ancora di più

Il fumo degli scontri tra fazioni rivali a Tripoli, Libia, il 28 agosto 2018. (Hani Amara, Reuters/Contrasto)

Non ci fermiamo troppo a lungo davanti a una virgola, non ci trattiene mai abbastanza da prepararci a quello che viene dopo, e che potrebbe cambiare tutta la storia: “Stavo per tornare a casa dopo la festa, quando ho scoperto che mi avevano rubato l’auto”, oppure “Quando mi ha chiamato sono corso giù per le scale, poi ho ricordato che l’avevo seppellita tre anni fa”. Nelle nostre vite esistono momenti del genere: si posizionano proprio tra il prima e il dopo attimi disastrosi, scivolano via inosservati come virgole, ma sono interessanti se riusciamo a coglierli.

A volte ci arrivano incartati assieme al dono dell’ignoranza. Continuiamo a essere inconsapevoli del prossimo futuro finché non diventa troppo tardi. Quando le macchine fotografiche immortalano questi momenti, le persone nelle foto sorridono ancora mentre accanto a loro un oggetto volante resta congelato in aria, colto prima dell’impatto. Altre volte le persone sanno perfettamente quello che sta per accadere, eppure restano a guardare, impotenti.

Un buon esempio potrebbe essere quello di un portiere che cadendo piega indietro la testa per continuare a guardare l’attaccante che l’ha appena scavalcato. I miei preferiti sono i momenti che mescolano tutti questi elementi. Quando osservi impotente un disastro che sta per accadere, sei assolutamente sicuro che accadrà, ma non sai esattamente come. Se potessi mandare al rallentatore un momento del genere accompagnato da In the air tonight come colonna sonora, sarebbe il ritratto perfetto della Libia di oggi.

Lo scorso maggio il presidente francese Emmanuel Macron aveva invitato a Parigi quelli che, secondo lui, erano i quattro protagonisti in Libia. Da occidente, Fayez al Sarraj, leader del consiglio presidenziale e primo ministro del governo di unità nazionale di Tripoli, e Khalid al Mishri, orgoglioso rappresentante della Fratellanza musulmana e presidente dell’Alto consiglio di stato. Da oriente aveva convocato il generale Khalifa Haftar e il presidente della camera dei rappresentanti di Tobruk Aguila Saleh.

Esiste un proverbio libico che descrive bene eventi come il vertice di Parigi: “Un grande funerale, e il morto è un topo”. Il topo morto del funerale di lusso di Parigi è stato il suo risultato, ossia l’accordo non firmato, e non credo perché le penne erano state dimenticate in Libia.

Non posso definirlo un accordo sancito da una stretta di mano, perché, per esempio, subito dopo il vertice Khalid al Mishri ha dichiarato non solo di non aver parlato con Haftar, ma di non avergli nemmeno voluto stringere la mano. La camera dei rappresentanti ha risposto alle dichiarazioni di Al Mishri affermando di non riconoscere il consiglio di presidenza.

Mai sottovalutare l’abilità di un paese diviso nel dividersi ancora e ancora. Canali televisivi, giornali, giornalisti e cosiddetti intellettuali locali fanno a gara a schierarsi da una parte o dall’altra, e ad attaccare l’avversario. Perciò adesso, a prescindere dalla fazione sostenuta, la tendenza è stare con la Francia o con l’Italia.

Fino a poco tempo fa, l’ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Perrone, era citato dai mezzi d’informazione in Libia quando partecipava a eventi culturali, inaugurazioni di mostre d’arte, forniture di aiuti umanitari e visite ai centri di detenzione per apprezzare il lavoro che stanno facendo le autorità libiche grazie alla guida e ai fondi dell’Italia. All’inizio di agosto è apparso alla tv libica per esprimere le sue opinioni sulle prossime elezioni, riflettendo le posizioni del governo italiano.

Stranieri benvenuti e indesiderati
Anche se l’ambasciatore parla abbastanza bene l’arabo, è difficile avere un vero dialogo in qualsiasi lingua con un intervistatore che si comporta e parla come un adolescente arrabbiato. Avevo molte obiezioni su alcune delle affermazioni fatte in quell’intervista e, in generale, sulla politica dell’Italia in Libia, ma a onor del vero molti dei commenti di Perrone sono stati in seguito decontestualizzati e quella versione alterata ha avuto un’ampia circolazione sui social network e su alcuni canali televisivi libici.

La camera dei rappresentanti ha risposto con un comunicato in cui accusava l’ambasciatore di “aver richiesto con insistenza il rinvio delle elezioni già fissate in Libia, infrangendo in tal modo il protocollo in quanto rappresentante dell’Italia”. Questa è stata considerata un‘“interferenza nella politica e nella sovranità della Libia, oltre che un insulto e una violazione delle scelte del popolo libico”. Interferenze che avranno “effetti negativi sul processo politico in corso sull’accordo di Parigi”.

Tutti gli attori si contendono il volante e cercano di sterzare in direzioni diverse

Vale la pena menzionare il fatto che pochi giorni dopo il portavoce della forza armata che risponde agli ordini di Khalifa Haftar, Ahmed al Mismari, nel corso di un’intervista pubblicata su Sputnik ha invocato l’intervento della Russia e del presidente Vladimir Putin in prima persona “per eliminare direttamente attori stranieri in Libia come il Qatar, la Turchia e l’Italia”. Non dimentica mai di lodare l’intervento russo in Siria, assicurando che “il popolo libico cerca un alleato forte come la Russia. Abbiamo fiducia nel fatto che la Russia sia una superpotenza e che, in caso di colloqui con l’Italia, le sue parole saranno ascoltate”.

L’ambasciata italiana ha postato una dichiarazione sul suo account Twitter: “In riferimento alle dichiarazioni rilasciate oggi dalla commissione per gli affari esteri della camera dei rappresentanti di Tobruk e circolate su alcuni organi di stampa libici, l’ambasciata italiana a Tripoli sottolinea che nell’intervista andata in onda il 4 agosto sul canale televisivo Libya’s Channel l’ambasciatore Perrone non ha mai chiesto il rinvio delle elezioni in Libia. Al contrario, ha ribadito come qualsiasi decisione relativa alla data delle elezioni spetti ai libici e solo ai libici”.

In piedi accanto al caminetto
A volte nelle risposte dell’account Twitter ufficiale dell’ambasciata italiana fa capolino un certo tono sarcastico, il che è divertente. Ho trovato tracce di quello stesso tono in alcune delle risposte date dall’ambasciatore nell’intervista. Di recente l’ambasciatore ha presentato il suo nuovo account personale con questo post: “Non preoccupatevi, io e @ItalyinLibya non ci siamo separati come Noel&Liam Gallagher. Questo account sarà solo il mio #wonderwall personale”.

C’è un verso di una canzone di quello stesso album che secondo me è più adatta a lui. È un verso di Don’t look back in anger: “Stai in piedi accanto al caminetto, togliti quell’espressione dal viso”. Ogni volta che l’ambasciatore carica foto scattate in un centro di detenzione, scrive qualche parola sulle condizioni umanitarie al loro interno. A volte riesce a costringersi addirittura a sorridere in quelle foto. Mi chiedo se cerchi di sorridere perché qualcuno ha visto le sue foto precedenti e gli ha detto, “Ehi Giuseppe, togliti quell’espressione dal viso”.

Comunque, le dichiarazioni dell’ambasciatore non sono il vero ostacolo. In pratica per rispettare la scadenza di Parigi la camera dei rappresentanti deve approvare delle leggi che consentano lo svolgimento del referendum costituzionale e delle elezioni. Il voto sulla legge per indire il referendum continua a essere rimandato. Secondo il direttore di Libya Herald Michel Cousins, “questo è proprio ciò che vuole un settore molto potente della camera dei rappresentanti, che a quanto si dice comprende anche Saleh. In seno alla camera dei rappresentanti esiste una profonda opposizione alle elezioni e alla costituzione proposta”.

Mahmoud Jibril, capo della coalizione Alleanza delle forze nazionali (Nfa), ha sollevato un’altra questione. “A partire dal 2016 e dal 2017 c’è stata un’estesa attività di manomissione e falsificazione di documenti d’identità per beneficiare dei sussidi erogati dalla banca centrale. Purtroppo questo problema non è stato ancora risolto e se andiamo al voto con questi documenti d’identità e questi elettori falsi, i risultati delle prossime elezioni non potranno essere considerati trasparenti”.

“Era necessaria una nuova visione che consentisse alla Libia di andare avanti”, ha dichiarato Aref Nayed nel corso di una conferenza stampa a Tunisi per annunciare la sua candidatura alle prossime elezioni presidenziali. L’ex ambasciatore libico negli Emirati Arabi Uniti aveva così sintetizzato questa nuova visione: sicurezza e legalità, sviluppo economico, miglioramento dei servizi pubblici e buon governo all’insegna della trasparenza. Non ha ancora spiegato di preciso come pensa di realizzare questa visione, né se lui, o qualsiasi altro futuro candidato, sarebbe abbastanza coraggioso da sfidare a viso aperto le milizie, o continuerebbe a esternalizzare la guida dello stato e a subappaltare le sue amministrazioni a capibanda locali.

Nel 2012 si sono tenute in Libia le prime elezioni dopo il 1965. All’epoca la gente era ottimista, ma quello è stato uno di quei momenti in cui non si sono resi conto del disastro che si stava preparando. Con le elezioni del 2014 sapevano che la situazione era disastrosa, ma sono stati a guardarla impotenti. Adesso, con l’incalzare della tabella di marcia elettorale imposta da Parigi, abbiamo la certezza che questo sarà un altro disastro, ma non sappiamo di preciso come si svolgerà.

Tutti gli attori si contendono il volante e cercano di sterzare in direzioni diverse. Alla fine però non farà una grande differenza su quale muro ci si andrà a schiantare. Votare o non votare, non è questo il problema, finché le milizie avranno diritto di veto.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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