Questo articolo è stato pubblicato il 9 ottobre 2015 nel numero 1123 di Internazionale.
Neanche uno degli uomini riuniti fuori dalla sede della Suburban beef dea-lers association di Mumbai, nel mattatoio di Deonar, sapeva cosa stava per succedere. Il 19 marzo 2015 aspettavano tutti con impazienza la fine della riunione dell’associazione dei commercianti di carne bovina. Il loro brusìo formava un netto contrasto con il silenzio tutt’intorno. Quel giorno le sedici stalle del mattatoio, che normalmente ospitano centinaia di animali atterriti in attesa della ghigliottina, sembravano abbandonate, in disuso. Si vedevano solo la polvere e il fieno sparsi sul pavimento, ma gli abbeveratoi erano vuoti. In un angolo era legata una bufala tutta sola e dall’aria affamata.
Alla fine della riunione i rappresentanti dell’associazione sono stati circondati da un gruppo di uomini. “Lo sciopero va avanti”, ha detto ai suoi colleghi il presidente, Mohamed Ali Qureshi. “Da questo momento da Mumbai non esce più neanche una bestia, né viva né macellata. Bloccheremo i mercati del bestiame dovunque. Allah sa che il futuro porterà una soluzione favorevole”. Aslam Malkani è stato più esplicito: “Se compriamo mezzo chilo di kebab, loro ne comprano cinque chili. Dicono che siamo disperati perché vogliamo mangiare carne. Ma anche loro la mangiano. E allora bloccheremo le vendite di carne di capra e di pollo in tutto il Maharashtra per tre o quattro giorni”. Poi ha aggiunto: “Parlerò con Aslam Memon, del mercato di Crawford, e gli chiederò di bloccare anche la vendita del pesce. La gente deve sapere cosa significa vivere solo con cibo da vegetariani. Il governo fa il pugno di ferro? Be’, lo faremo anche noi. Anche se ci pregano di macellare le bestie, non lo faremo”. È partito un applauso scrosciante. Poi Malkani ha continuato: “Gli scienziati sostengono che prima dei temporali si avverte un silenzio che stordisce e l’aria smette di muoversi. Noi staremo buoni per cinque anni, poi comincerà la devastazione”.
Una grande caserma
Il mattatoio di Deonar ha una superficie di 26 ettari. Con le sue file di edifici dai tetti spioventi, tutti identici e allineati, somiglia a una grande caserma. Comprende sedici ricoveri per gli animali, più i locali per la macellazione e i mercati separati per le pecore, le capre, i maiali e le bestie con le corna. Fu inaugurato dall’amministrazione comunale nel 1971, dopo la chiusura del mattatoio del quartiere di Bandra, ormai troppo congestionato. Oltre al tanfo di carne e alle pessime condizioni igieniche, tra i motivi della chiusura c’era anche il fatto che gli abitanti di Bandra, ormai diventato un sobborgo alla moda, dormivano meglio se non sapevano come e dove era stata uccisa la bestia da cui proveniva il loro stufato di carne o il loro filetto.
Il mattatoio allora fu trasferito nella bidonville di Govandi, dove il complesso dai tetti aguzzi di Deonar spicca come una pietra miliare. Qui si usano metodi avanzati: i macchinari per la castrazione e la macellazione e quelli per lo smaltimento dei rifiuti sono ben distanti dagli abitanti del quartiere, che dispongono ordinatamente sul marciapiede, come fosse un vassoio, le loro povere mercanzie e il paya, un piatto a base di zampe di animali diversi tagliate a striscioline.
Ma ora nessuno di quei piccoli imprenditori invidia più i commercianti di carne bovina di Deonar, che il 3 marzo 2015 sono entrati in sciopero per protestare contro l’emendamento alla legge del Maharashtra sulla tutela del bestiame firmato dal presidente dell’India Pranab Mukherjee. La riforma è arrivata quasi diciannove anni dopo l’approvazione della legge da parte del governo di coalizione formato dai nazionalisti indù del Bharatiya janata party (Bjp) e dal partito di estremisti indù Shiv sena. La legge proibiva già la macellazione delle mucche, ma la nuova versione entrata in vigore il 3 marzo estende il divieto ai tori e ai manzi. Inoltre stabilisce che la vendita e il possesso di carne bovina sono un reato penale: si rischiano fino a cinque anni di carcere e ammende fino a diecimila rupie (circa 137 euro). Dalla nuova legge è esentato solo il bufalo indiano.
Dopo la firma del provvedimento, centinaia di migliaia di commercianti e di operai del Maharashtra hanno perso il lavoro. Nella sola Deonar centinaia di animali sono stati trasferiti la notte stessa in cui la loro carne è diventata illegale. Un mattatoio dove si macellavano ogni giorno anche 450 animali di grossa taglia ha chiuso i battenti, con conseguenze gravi per molte persone. L’amministrazione comunale di Mumbai, che percepiva 95 rupie (1,2 euro) per ogni capo di bestiame abbattuto, ha perso, secondo le stime, entrate annuali per 16 milioni di rupie (218mila euro). Il comune, inoltre, incassava altri soldi per ogni fase del processo produttivo: scarico e registrazione del bestiame, paghe degli ispettori, costo delle stalle, bollette della luce e dell’acqua.
Le attività legate alla macellazione richiedono manodopera, in gran parte precaria. Ora gli addetti ai lavori di Mumbai vedono minacciata la loro sopravvivenza. Lo stesso vale per il resto del Maharashtra, dove ogni distretto ha il suo mattatoio. Le perdite ammontano a decine di milioni di rupie, ma la distruzione di posti di lavoro rischia di essere un colpo ancora più grave per le famiglie e per l’economia locale.
Secondo uno studio, prima dell’entrata in vigore della legge la sola Mumbai consumava ogni giorno 90mila chili di carne bovina. Le perdite subite dai commercianti sono pari a decine di miliardi di rupie. Contando anche il resto dello stato, la cifra si moltiplica. La carne bovina, inoltre, era una fonte di proteine a buon mercato per i poveri, specie per la comunità dei dalit, cioè gli ultimi nel sistema indiano delle caste, che erano passati alla carne bovina perché non potevano più permettersi il pollo e la carne di montone.
Nel 2009 la sociologa Sharmila Rege ha pubblicato un libro intitolato Isn’t this plate indian? (Non è indiano questo piatto?), che raccoglie i ricordi gastronomici dei dalit. Il volume contiene descrizioni particolareggiate di piatti sconosciuti alle caste superiori. Due esempi: il chunchuni, carne bovina essiccata e salata che si conserva e si consuma quando non si hanno i soldi per comprare le verdure; e il rakti, un piatto nutriente a base di sangue rappreso. Dalle bancarelle dei bazaar di Bhandi che vendevano spiedini di manzo agli hotel di lusso che nei loro menù proponevano piatti a base di carne di manzo, tutti hanno registrato un calo delle entrate. Sono stati colpiti anche settori collegati, come le concerie e l’industria chimica, visto che il sangue, le ossa e le interiora degli animali macellati sono usati per produrre sostanze chimiche, farmaci e saponi. Secondo il portale d’informazione Rediff, il bando sulla carne bovina sta provocando gravi conseguenze anche all’industria del cuoio nel Tamil Nadu, che usa pelli provenienti dal Maharashtra.
Il sogno di proibire
Dopo l’entrata in vigore della legge, il governatore del Maharashtra, Devendra Fadnavis, ha scritto un tweet rivolto al presidente dell’India per ringraziarlo: “Il nostro sogno di proibire la macellazione delle mucche si è avverato”. Fadnavis, però, non ha fatto cenno alle centinaia di migliaia di persone che hanno visto la propria esistenza sconvolta dal provvedimento.
Shahid Sheikh è una di quelle persone che immagini sempre con indosso una camicia azzurra, anche quando non è così. Fino al 3 marzo niente sembrava poter turbare l’espressione calma del suo volto. Ma questa riforma ha fatto sentire Sheikh come se fosse stato colpito da un fulmine. Uno dei suoi dipendenti gli ha telefonato all’una di notte dicendo che Deonar era stato invaso da poliziotti, che non lasciavano entrare né uscire i furgoni. Sheikh, che abita nel sobborgo di Kurla, si è precipitato al mattatoio, dove tra l’altro aveva quindici animali in attesa di essere abbattuti. Quando è arrivato i poliziotti gli hanno mostrato la gazzetta ufficiale e così ha appreso che i commercianti di carne non potevano più macellare né vendere i loro animali. Sheikh ha passato la notte a parlare con gli avvocati e altri commercianti che avevano raggiunto il mattatoio. Il giorno dopo il presidente dell’associazione, Qureshi, è andato in tribunale e lì gli è stato chiesto di riportare il bestiame nei villaggi dov’era stato comprato. C’erano dieci furgoni diretti a Solapur, ma a Pune sono stati dirottati da un’imboscata dei gruppi di estremisti indù, perché in ogni furgone c’erano fino a nove animali mentre la legge ne autorizzava solo sei.
Da quando i nazionalisti indù del Bjp sono andati al potere nel Maharashtra, gli attacchi da parte dei gruppi di protezione dei bovini si sono fatti incessanti. Sheikh dice di avere avuto la premonizione che “presto sarebbe successo qualcosa. Prima la legge ammetteva non più di dieci capi per furgone”, ricorda. “Poi c’è stata una circolare in cui Prithviraj Chavan, all’epoca governatore del Maharashtra, autorizzava sei capi per ogni camion, e così abbiamo cominciato a trasportarne solo sei alla volta. Portavamo acqua, erba e tutto il resto, secondo la legge. Allora perché ci hanno confiscato i furgoni? Sono nostri. Noi li compriamo sul mercato, abbiamo tutti i documenti in regola”.
Gli estremisti accusavano i commercianti di trasportare gli animali per “assassinarli”. Attraverso una richiesta indirizzata al direttore generale del mattatoio di Deonar, i commercianti hanno cercato di convincere chi li accusava che loro vendevano carne di manzo, ma non “assassinavano” le bestie. Il governo aveva aperto mattatoi in tutto il Maharashtra e li aveva autorizzati a svolgere la loro attività. La macellazione avveniva sotto la supervisione di tre funzionari del ministero dell’allevamento, dopo un’ispezione da parte dei veterinari. Ma tutto questo non è servito a molto: gli estremisti indù hanno continuato a ripetere il ritornello “jeev hatya” (un riferimento alla proibizione, vigente nell’induismo, di uccidere organismi viventi).
Secondo Sheikh, anche se la carne di bufalo è esentata dal divieto, i commercianti hanno qualche problema. Innanzitutto, sanno se una bufala è gravida solo quando è stata visitata dal veterinario, ma a quel punto secondo loro è troppo tardi: “La nostra religione proibisce di macellare bestie gravide”, spiega Sheikh. A prima vista, inoltre, è impossibile distinguere tra la carne di bue e quella che in India si chiama carabeef, cioè la carne del bufalo indiano. Sheikh teme che anche chi sarà trovato in possesso di carabeef rischierà di essere arrestato o aggredito. Infine c’è l’idea diffusa che i musulmani tengano animali di grossa taglia solo per macellarli: “Ma che succede se un musulmano ha una latteria e deve spostare gli animali da un luogo all’altro?”, chiede Sheikh. E spiega che il giorno prima ha visto per la strada un poliziotto lasciare andare un indù che trasportava animali di grossa taglia: “Se fosse stato musulmano, lo avrebbe denunciato”, commenta.
Rapitori di mucche
Chetan Sharma ha 23 anni e indossa un kurta pajama bianco e fresco di bucato. Sharma lavora per People for animals (Pfa), un’organizzazione animalista di New Delhi diretta da Maneka Gandhi, vedova di Sanjay Gandhi (uno dei figli di Indira) e ministra per lo sviluppo delle donne e dei bambini. Sharma è uno dei rapitori di mucche che Sheikh e altri commercianti hanno denunciato al commissariato di polizia di Worli.
Il giorno in cui incontro Sheikh, Sharma si trova in tribunale. È stato denunciato per aver spaccato i fari di un furgone che trasportava animali e per aver picchiato l’autista. Dopo la denuncia è stato trattenuto in cella per otto ore. “È un caso inventato”, dice. “Il commerciante ha picchiato il suo stesso autista per potermi denunciare”. Sharma aggiunge che denunce simili sono presentate di continuo contro gli attivisti che intercettano furgoni con animali destinati alla macellazione illegale. Ma come fate a sapere che quelle bestie saranno abbattute, gli chiedo. “Perché i furgoni sono sovraccarichi e gli animali vengono spinti dentro e lasciati senza cibo né acqua”.
Chetan Sharma non fa che strizzare gli occhi con aria sospettosa. Forse pensa che se stringe abbastanza le palpebre riuscirà a scoprire qualche inganno. Ha accettato di rispondere alle mie domande solo dopo lunghe ricerche su Google. Spiega che sta molto attento da quando, durante una delle sue incursioni, un macellaio ha cercato di ucciderlo. È accompagnato da un poliziotto che gli fa da guardia del corpo e che durante l’intervista lo ha seguito come un’ombra.
Sharma mi dice di essere stato spinto alla militanza dall’amore “che Dio gli ha dato” per gli animali. Quando non aveva ancora vent’anni andava in giro a salvare i cani feriti e li portava da un veterinario della Pfa. Più tardi ha cominciato a portare in un ambulatorio anche gli uccelli feriti durante il festival degli aquiloni, che si svolge a New Delhi in occasione del giorno dell’indipendenza, il 15 agosto. Sharma è passato poi dagli uccelli alle tartarughe. La sua prima incursione è avvenuta in casa di un contrabbandiere di tartarughe: lo ha fatto arrestare spacciandosi per un cliente. Ha anche scoperto il commercio illegale di pappagalli. “Che reato ha mai commesso il pappagallo”, chiede retoricamente, “per meritare di passare la vita dietro le sbarre?”.
La sua prima esperienza di salvataggio di animali di grossa taglia risale a un attacco contro tre camion provenienti dal Rajasthan con a bordo trecento bufali. “I macellai li avevano feriti agli occhi e gli avevano spezzato le zampe, tanto che dai camion colava il sangue”. Ma solo dopo essere arrivato a Mumbai è venuto a sapere che qui si macellavano anche mucche. Lì Sharma ha partecipato a una riunione organizzata in città da Sudhir Ranade, un militante del partito nazionalista indù Vishva hindu parishad, per raccogliere fondi a favore di un ospedale veterinario. Ma da quella riunione è uscito con una missione completamente diversa: salvare le mucche.
Quando ha sentito dire che ne venivano macellate in un mattatoio illegale di Koparkhairane, vicino a Mumbai, gli è venuta la pelle d’oca. “Per me”, spiega, “la mucca non è una bestia”. Il giorno dopo si è messo un tradizionale salwar kurta e una calottina in testa ed è andato a Koparkhairane. “Dopo quello che ho visto non sono riuscito a dormire tutta la notte”. Sharma ha telefonato al vicecommissario di polizia di Navi Mumbai e insieme a lui quella sera ha fatto un’incursione nel mattatoio, confiscando 35 vacche e due manzi. “Era la prima volta che salvavo delle mucche”, dice. “Ero spaventatissimo, perché quelli, se sono capaci di uccidere una vacca, possono uccidere anche me. A forza di abbattere animali ogni giorno, perdono la sensibilità”.
Come Sharma, molte persone in India non considerano la mucca un animale, ma la loro sacra madre, e per questo non possono neanche concepire l’idea di cibarsi di carne bovina. Ma la mucca non è sempre stata un animale sacro. Nel suo libro The myth of the holy cow, lo storico D. N. Jha racconta che già in epoca vedica, tra il 2000 e il 1000 aC, si consumava carne bovina. Nei primi secoli dell’era cristiana due figure fondamentali della medicina ayurvedica, Charaka e Sushruta (e in seguito, nel settimo secolo, anche Vagbhata), facevano riferimento agli impieghi terapeutici della carne bovina. In particolare Sushruta parlava dell’incontenibile desiderio delle donne incinte per la carne di bue, che lui considerava pavitra, cioè pura. C’è anche un versetto dell’antico testo di codici Dharamshastra che dice: “Le vacche e i tori sono animali sacri e pertanto vanno mangiati”.
La condanna dei sacrifici di animali ebbe inizio con la nascita del giainismo e del buddismo. Nel suo libro The untouchables: who were they and why they became untouchables?, B. R. Ambedkar ricostruisce la politica dietro il rifiuto della carne di mucca da parte dei bramini, per cui un tempo “ogni giorno era giorno di bistecca”. Ambedkar scrive: “Se i bhikshu (monaci) buddisti mangiavano carne, i bramini non avevano motivo di rinunciarvi. Perché i bramini smisero di mangiare carne e diventarono vegetariani? Perché non volevano che la gente li mettesse sullo stesso piano dei bhik-shu buddisti”.
Secondo l’articolo 48 della costituzione indiana, proibire la macellazione delle mucche è un obiettivo auspicabile per lo stato indiano. Giuridicamente questa previsione si spiega ai fini dell’allevamento, non ai fini religiosi. Il Vishva hindu parishad ha strumentalizzato questi sentimenti e si è presentato come un’organizzazione nazionalista indù che ha lo scopo di far rinascere l’induismo. Nel 1966 il Vishva hindu parishad ha avviato una campagna contro la macellazione delle mucche, sfruttata dal Jan Sangh (partito antenato del Bjp) per creare una base di elettori indù in vista della campagna elettorale del 1966-1967.
Nella sua autobiografia Verghese Kurien, che fece parte di un comitato incaricato nel 1967 dal governo di occuparsi della protezione delle mucche, scrive a proposito di M.S. Golwalkar, il capo del Rashtriya swayamsevak sangh (organizzazione nazionalista indù fondata nel 1925): “‘Ho lanciato una petizione per il divieto di macellare le mucche così da mettere in difficoltà il governo’, cominciò a spiegarmi Golwalkar a quattr’occhi. ‘Ho deciso di raccogliere un milione di firme da sottoporre al presidente dell’India. Poi ho percorso il paese in lungo e in largo per vedere come procedeva la campagna. Una volta in un villaggio dell’Uttar Pradesh ho visto una donna che, dopo aver dato da mangiare al marito e ai figli e averli spediti al lavoro e a scuola, ha preso la petizione ed è andata di casa in casa sotto il sole cocente dell’estate per raccogliere firme. Mi sono chiesto perché mai quella donna si desse tanto da fare. Non era certo pazza. Allora mi sono reso conto che lo faceva per la sua mucca, che era per lei fonte di sostentamento, e ho capito quali fossero le potenzialità di quest’animale’”.
Gli appelli alla protezione delle mucche erano diretti anche contro i musulmani, perché solo i musulmani si dedicano al consumo e al commercio della carne bovina. A un comizio elettorale nell’Uttar Pradesh il primo ministro Narendra Modi ha inveito contro le esportazioni di carne bovina e ha detto che l’India ha bisogno di una rivoluzione verde e non rosa (in riferimento al colore della carne macellata). In seguito la protezione delle mucche è stata inclusa tra i punti principali del programma elettorale del Bjp.
Scappatoie
R.C. Joshi ha un tono di voce garbato e mani delicate e curatissime. Beve latte di cocco con dentro la polpa tagliata a pezzetti. Ma l’apparenza inganna: c’è lui dietro il divieto di possedere carne bovina e la sua trasformazione in un reato per il quale l’accusato non può avere la libertà su cauzione. Secondo la nuova legge, chi viene trovato con un chilo di carne bovina nel frigo rischia cinque anni di prigione. “Nell’industria della carne bovina circolano molti soldi”, dice Joshi. “Compri un capo di bestiame per tremila rupie, ma vendendone la pelle, la carne, le ossa, gli organi interni e gli zoccoli ne guadagni trentamila. Con quei soldi puoi pagare funzionari e politici: per questo sarebbe stato troppo facile ammettere la libertà provvisoria su cauzione. E poi spesso i conducenti dei camion che vengono colti sul fatto mettono un indirizzo falso nella richiesta di libertà su cauzione e spariscono. Se la cauzione non è prevista, saranno loro a rifiutarsi di trasportare la carne”. Chi ha i soldi può importare una Ferrari in India, ma non può comprare manzo proveniente da Goa. “E come fai a sapere se il bovino viene dall’Andhra Pradesh o da Goa e non è stato illegalmente macellato qui? I certificati si possono falsificare”. Nel Maharashtra la legge era stata approvata nel 1995, ma i governi successivi, guidati dal Partito del congress, l’avevano congelata. Ora, però, il Bjp ha cominciato ad applicarla.
Joshi vuole anche proibire le esportazioni di carne di mucca. Pensa che liberalizzare il mercato della carne di animali di grossa taglia equivalga a creare scappatoie per il commercio illegale. Esistono laboratori di analisi specializzati nel distinguere la carne di bue da quella di bufalo, che però non riescono a distinguere quella di mucca da quella di toro. Nel 2013 l’International Business Times scriveva che negli ultimi quattro anni le esportazioni di carne bovina indiane erano aumentate di oltre il 44 per cento e la carne prodotta dai mattatoi certificati era passata dalle 557mila tonnellate del 2008 alle 805mila del 2011.
Shahid Sheikh continua ad avere un aspetto impeccabile, ma è dimagrito. “Non mangiamo molte verdure”, spiega. “Non saziano. È difficile sopravvivere senza carne. Un tempo mangiavamo kurma di manzo due volte al giorno. Mettevamo carne di manzo persino nel dal di lenticchie”.
A Deonar i commercianti di carne hanno revocato lo sciopero e il 1 aprile hanno ripreso il commercio di carne di bufalo. Senza lavoro, molti operai a giornata soffrivano, e lo sciopero era controproducente. “I commercianti di pollo, montone e pesce erano pronti a scioperare”, riferisce Sheikh. “Aspettavano solo un nostro cenno. Noi però abbiamo pensato: perché trascinare anche altri nei nostri guai? C’è già tanta gente che soffre perché non prende la paga”.
Il simbolo della nazione
Il 14 marzo anche lo stato di Haryana ha messo al bando la carne bovina, dichiarando la macellazione delle mucche un rea-to che non prevede la libertà provvisoria su cauzione. Il responsabile per l’agricoltura, Om Prakash Dhankar, ha annunciato che lo stato aprirà dei laboratori in grado di distinguere la carne bovina da quella di altri animali. Il ministero dell’ambiente ha fatto sapere di aver ricevuto migliaia di richieste per sostituire la tigre con la mucca come simbolo della nazione. Nel Rajasthan il responsabile per la salute Rajendra Rathore ha inaugurato una raffineria di urina di mucca, mentre Maneka Gandhi ha proposto che per le pulizie degli uffici governativi si utilizzi il gaunyl, un detergente ricavato dall’estratto di urina di mucca. Secondo l’Economic Times, Maneka l’ha definita una situazione vantaggiosa per tutti: “I custodi non rischiano più a causa dell’esposizione quotidiana alle sostanze chimiche e per le mucche ci sarà maggiore considerazione”. Nel frattempo un rappresentante dei commercianti insieme all’All India milli council, un gruppo di musulmani indiani, ha incontrato il presidente del Maharashtra, Raosaheb Danve, del Bjp, e ha proposto di importare mucche dall’isola di Jersey, nel canale della Manica sostenendo che così si preserverebbe la fede indù.
Ora le stalle di Deonar sono piene di bufali e i commercianti sono in ansia per la loro sorte. Il primo giorno sono stati macellati appena 150 animali, contro una media di 450. È un male per gli affari, oltre che per lo stomaco. “La carne di bufalo è più grassa”, spiega Sheikh, “e poi è nodosa e dura da masticare. Quando i bufali maschi lavoravano sodo nei campi, la carne era magra. Ora nel Maharashtra le femmine sono usate solo per dare latte, e a forza di stare ferme ingrassano”. ◆ ma
Questo articolo è stato pubblicato il 9 ottobre 2015 nel numero 1123 di Internazionale.
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