03 marzo 2014 09:00

Sabato scorso ho fatto un giro nel centro di Ramallah, dove si respirava l’atmosfera festosa dei fine settimana. Ci sono sempre molte persone in giro, tra i commercianti che decantano i loro prodotti e i mandorli in fiore che abbelliscono le vecchie case.

La presenza dei bambini rende la scena ancora più allegra. Per quanto le strade siano affollate, capita sempre di incrociare un conoscente. Sabato scorso ho incontrato M., che fa l’avvocato e lavora per un’associazione benefica internazionale, ed è una cristiana palestinese con la cittadinanza israeliana. Era venuta dalla sua città natale sulla costa del Mediterraneo per godersi il sabato a Ramallah.

Poi ho incontrato H., originario di Gaza, che vive a Ramallah da vent’anni (e da sedici non vede la sua famiglia). Mi ha presentato una donna minuta, vestita in jeans e maglietta. Nei suoi occhi c’era qualcosa che mi ha conquistata. Anche lei cittadina israeliana, vive ad Haifa, anche se è nata in un villaggio palestinese della Galilea. Pratica l’agopuntura e lavora a Ramallah per tre giorni ogni due settimane.

I palestinesi di Israele visitano sempre più spesso le città della Cisgiordania per trovare un attimo di pace dal razzismo degli israeliani – più o meno nascosto, ma sempre presente – che li fa sentire stranieri nella loro terra. Non avendo difficoltà a viaggiare, vanno nella prigione a cinque stelle di Ramallah per dimenticarsi per un po’ delle loro vite, in cui sono continuamente bersagliati dalle iniziative razziste degli ebrei israeliani.

Traduzione di Andrea Sparacino

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