02 febbraio 2012 00:00

Walter Benjamin, Piccola storia della fotografia

Skira, 45 pagine, 9 euro

Nel 1931 la fotografia esisteva da quasi un secolo. Da pratica quasi magica, usata nelle fiere per stupire il pubblico, era diventata un’industria. Le persone si erano abituate molto rapidamente e ormai non ci facevano più caso.

Nel frattempo però la riflessione sul nuovo mezzo non si era sviluppata in modo altrettanto intenso. Si era continuato a discutere se la fotografia andasse considerata un’arte, al pari della pittura, o addirittura se fosse lecito e raccomandabile riprodurre le fattezze dell’uomo, che era stato creato da Dio, per mezzo di una macchina. Per questo il terreno di ricerca che in quel momento si schiudeva a Walter Benjamin era immenso e inesplorato. Il filosofo, che di lì a qualche anno avrebbe scritto L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, cominciò ad avventurarcisi scrivendo alcuni brevi articoli con il suo stile illuminante e misterioso, qui riproposti in traduzione italiana.

Analizzando le immagini (qui riprodotte con cura) di pionieri come Hill, Dauthendey, Blossfeldt, Atget, Sander, Benjamin comincia a scoprire che la fotografia riesce a catturare una verità che ai pittori sfugge, e per capire come ciò possa avvenire, riflette sulla relazione tra i limiti tecnici cui i fotografi sono costretti, la loro voglia di superarli o aggirarli, le domande di un pubblico che da spettatore si sta facendo protagonista.

Internazionale, numero 934, 3 febbraio 2012

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