04 aprile 2013 14:00

Stefano Anastasia, Metamorfosi penitenziarie

Ediesse, 154 pagine, 12 euro

Dagli anni novanta in poi le carceri sono sempre più affollate. Negli Stati Uniti si tratta di una crescita quasi incredibile (un quarto dei prigionieri di tutto il mondo oggi è detenuto negli Stati Uniti), ma anche in Europa e in Italia la guerra alla droga prima e quella all’immigrazione poi hanno fatto aumentare di parecchio il livello della popolazione carceraria. Secondo Stefano Anastasia, studioso di filosofia e sociologia del diritto già presidente dell’associazione Antigone, per spiegare questa evoluzione bisogna guardare alle politiche penali, ma anche a una più generale “domanda di penalità”, a una diffusa volontà di ricorrere al carcere per affrontare gli snodi irrisolti della conflittualità sociale.

Quest’uso della galera per combattere l’insicurezza ha minato alla base l’interpretazione del carcere come struttura rieducativa che si era affermata nell’epoca del welfare state. Oggi, che la prigione è vista soprattutto come strumento di separazione e di esclusione, è difficile pensare al carcere nei termini di un percorso di reinserimento, come invita invece a fare la nostra costituzione.

Così, l’aspetto più brutale del diritto penale emerge più nettamente che in passato, i dubbi sulla funzione della pena si fanno radicali, portando anche, tuttavia, a una “riscoperta dei diritti nell’epoca dell’incarcerazione di massa” capace, forse, di invertire il ciclo.

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