05 maggio 2014 13:16

Dopo i fatti avvenuti allo stadio Olimpico il 3 maggio, avrei potuto semplicemente segnalare un altro articolo scritto in passato, perché non è cambiato nulla. Non cambia mai niente nel mondo del calcio italiano. L’altra sera, però, è stata esemplare: un esempio dell’ordinaria follia di questo sport che è circondato da una logica che lo porta verso l’autodistruzione, pochi giorni dopo la notizia che l’Italia è ormai dietro perfino al Portogallo nella classifica europea.

Un film già visto. Ecco quello a cui abbiamo assistito (otto milioni di spettatori in Italia, più altri all’estero, poverini). Prima le notizie (contrastanti) sugli scontri in città tra i tifosi, poi addirittura gli spari e le persone ricoverate in ospedale in codice rosso. Poi la confusione totale. I tifosi (ultrà e no) sono dentro lo stadio. Ci sono anche Matteo Renzi e altri vip. Twitter comincia ad agitarsi. I giornali pubblicano informazione e disinformazione.

Fin qui è tutto abbastanza normale (a parte gli spari, esagerati perfino per il calcio). Ci sono scontri ogni settimana, e accoltellamenti intorno allo stadio, soprattutto a Roma. Non fanno neanche notizia, ormai. Ma questa è una partita importante, e la possibilità che ci sia una persona morta cambia le carte in gioco. È morto o non è morto? Se è morto, giochiamo? Comincia il solito discorso sul giocare o non giocare, come se la partita fosse la cosa più importante, quasi sacra, in grado di “portare l’ordine” ed “evitare il caos”.

Arriva in campo un miliardario. Il capitano del Napoli, Marek Hamšík. Quello con la cresta (che più tardi diventerà blu). Hamšík è scuro in faccia, sembra che abbia quasi paura. Va verso la curva. Che sta facendo? Perché sta parlando con quel tifoso grosso, con i tatuaggi e la maglietta con scritto “Speziale libero”? Molti vanno sul Google per scoprire chi è Speziale. È l’uomo condannato in via definitiva per l’uccisione di un poliziotto, Filippo Raciti, fuori da un (altro) stadio. Otto milioni di italiani assistono a questa scena, incluso Matteo Renzi. Di che stanno parlando? È una trattativa o no? Chi comanda?

Il Corriere della Sera, il più blasonato giornale italiano, fa un titolo sul sito:

“Ecco cosa è successo”. C’è un filmato sfocato in cui non si capisce assolutamente niente, privo di commenti. Giornalismo di alto livello, ma magari erano tutti fuori per il ponte.

I giornalisti parlano di clima surreale. Macché surreale: questa è l’assoluta normalità. Gli ultrà compiono i loro riti (striscioni abbassati eccetera) per mandare precisi segnali. Si gioca? Non si gioca? Gli scontri sono estranei al mondo del calcio o no? Ci sarebbero stati senza la partita o no? Poi segue la solita ondata di retorica. “Delinquenti, non tifosi”, “Queste scene non hanno niente a che fare con il calcio” (e invece sì), “Incredibile” (ma non e incredibile per niente, è la routine). Un altro tifoso si siede sopra la barriera. Sta lì, sospeso nel vuoto. Secondo il commentatore Mario Somma, ha “bisogno di spazio per dirigere i cori”.

Poi la decisione è presa. Da chi, non si sa. Ma sembra chiaro che il capo della tifoseria (un privato cittadino, come uno di noi) ha avuto qualche peso nella decisione. Ormai è una star, il suo nome fa il giro del web. È un soprannome: il grande, indimenticabile, Genny ‘a carogna.

Poi si gioca una partita di calcio: ci sono tiri, passaggi, contrasti, fischi, espulsioni. Vince il Napoli, 3-1. Alzano la coppa. Adesso Hamšík ride. Ha tinto la cresta di blu. Ci sono perfino dei commenti tecnici. La sacralità è stata rispettata, anche se l’appello del papa è stato abbastanza inutile. E ora? Il solito, inutile, giro di retorica e ignoranza, con commenti (disinformati) sul modello inglese e il modello tedesco. A me fanno le stesse domande da vent’anni.

Un film già visto, come dicevo.

Basta leggere qualcosa sul passato. Ecco qualche indizio: Paparelli (1979), Heysel (1985), Claudio Spagnolo (1995), il derby del bambino morto (2004), Raciti (2007), Sandri (2007).

Aspettiamo la prossima volta. Sarà più o meno uguale.

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