02 febbraio 2012 17:58

“Vorrei capire perché hanno deciso di far apparire così attraente il giovane Denis Thatcher, il marito di Margaret”, sussurra il mio amico del nord, guardando il Grand Hotel esplodere sullo schermo. A pensarci bene, forse non è stata una buona idea andare a vedere The iron lady, il film su Margaret Thatcher, in compagnia di sette anarchici londinesi che si sono fatti forza con una pinta di sidro prima di avventurarsi nell’Odeon di Tottenham Court road. Ma quando è partita l’esaltante colonna sonora del film, ormai era troppo tardi.

Il modo in cui si sceglie di raccontare la storia di Margaret Thatcher avrà sempre poco a che vedere con la fragile vecchietta che sta uscendo di senno nella sua casa del quartiere londinese di Belgravia. E avrà tutto a che vedere con l’ideologia che quella donna rappresenta: il libero mercato, l’antisindacalismo, il fanatismo antistatalista e a favore delle imprese private che divise il paese negli anni ottanta e che lo sta dividendo di nuovo.

Nella prima inquadratura la mano avvizzita e coperta di macchie di Meryl Streep nei panni di Margaret agguanta una bottiglia di latte da uno scaffale, un modo per ricordare, a chi ha cancellato gli anni ottanta dalla sua mente, il vecchio soprannome di “Milk Snatcher” (ladra di latte) che le aveva appioppato la sinistra dopo la decisione di tagliare i fondi per distribuire il latte ai bambini nelle scuole. Ma la scena non attenua il colpo di quello che verrà dopo.

Per i 103 minuti successivi, vedo i miei amici raggomitolarsi sempre più in posizione fetale nelle loro poltrone mentre la storia scorre di nuovo sotto i loro occhi al suono squillante delle trombe. In questo recente passato inglese per lo più immaginario, siamo un popolo di uomini d’affari forti e sicuri di sé che non crede nello stato sociale.

La Thatcher è un’eroina femminista che si rifiuta di “morire lavando una tazza da tè”. I sindacalisti sono irresponsabili nostalgici del passato dei quali si ricorda solo il fatto che negli anni settanta lasciarono accumulare la spazzatura sui marciapiedi, prima che Maggie prendesse il potere in un vortice di bandiere che scendono al rallentatore dal soffitto della memoria.

Solo la guerra e i tagli alla spesa pubblica possono salvare la Gran Bretagna, e i disoccupati e i poveri sono bestie ringhiose e ingrate che urlano e battono sui finestrini oscurati dell’automobile del primo ministro.

Comincio a coprirmi gli occhi con le mani quando, come la protagonista di una fiaba, Maggie si trasforma da dimessa matrona dell’opposizione in una dominatrice cotonata avvolta in un abito blu pavone dalla scollatura profonda e spiega al suo cancelliere dello scacchiere Geoffrey Howe l’importanza dei tagli alla spesa pubblica.

Davanti a noi, due tipi con il colletto della camicia aperto all’ultima moda e i capelli lisciati all’indietro, quindi all’apparenza due giovani conservatori, si stanno praticamente bagnando per l’eccitazione. “Oddio. I conservatori gay adoreranno questa scena”, dice l’amico alla mia sinistra, e forse fu proprio questo che spinse la vera Thatcher a stringere la presa sulla sua borsetta.

Alla mia sinistra l’amica anarcofemminista ha smesso di dondolarsi sulla poltrona e ha cominciato a scrivere freneticamente su un taccuino. “Ho capito come possiamo vedere questa storia”, dice. “Non è un panegirico, è il racconto furbo e inattendibile di una vecchia signora ormai debole e tremolante che cancella tutti gli episodi negativi del suo passato e cerca di ricordare se stessa come un’eroina”. Poi siamo costretti ad assistere alla scena in cui Denis Thatcher ascende letteralmente al cielo lasciando Maggie sola in cima alle scale. “Buttati”, bisbiglia l’amica anarcofemminista a voce troppo alta. I giovani conservatori ci guardano di traverso.

Il mio amico del nord aveva detto di voler smettere di fumare. All’uscita dall’Odeon, con la musica patriottica ancora nelle orecchie, accende una Pall Mall dietro l’altra tremante di rabbia. “Non m’interessa se hanno deciso di girare un’agiografia, ma non si può fare un film sulla Thatcher senza parlare dello sciopero dei minatori”, sbotta. “E qui non lo nominano quasi”.

I giovani conservatori ci passano accanto e si tuffano nella gelida aria invernale con lo sguardo vuoto e leggermente imbarazzato di chi esce da un locale di striptease. Esistono tante Maggie Thatcher e quale storia scegliamo di raccontare rivela più cose su di noi che su di lei.

In questo momento la storia ufficiale è che il nazionalismo, la guerra, i mercati e i maglioncini di cachemire ben scelti hanno salvato la Gran Bretagna. Ma c’è, e ci sarà sempre, qualcuno che ricorda una storia completamente diversa.

*Traduzione di Bruna Tortorella.

Internazionale, numero 934, 3 febbraio 2012*

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