23 settembre 2016 15:08

Sono mesi ormai che mi sento catapultato nel film Ricomincio da capo, quello in cui il grande comico Bill Murray è condannato a vivere sempre la stessa giornata in un’eterna ripetizione. La mattina mi alzo, apro il giornale ma sembra quello di ieri, dell’altro ieri, di una settimana o un mese fa.

Ma non dovevano essere tempi di grandi cambiamenti? Con le elezioni del 2013 si sono affermati Matteo Renzi e Beppe Grillo, due uomini molto diversi tra loro ma uniti da una promessa: era finito il tempo della stasi, andavamo incontro a tempi nuovi, del tutto diversi dal recente passato plumbeo dell’Italia.

Renzi, arrivato al governo nel febbraio del 2014, prometteva “ogni mese una riforma”, Grillo mandava avanti dei ragazzi che volevano “aprire il parlamento come una scatola di tonno”.

Un dibattito avvitato su se stesso
Certo, ne hanno fatta di strada sia Matteo Renzi sia i cinquestelle. Renzi è diventato il dominus incontrastato del Partito democratico e del governo, l’M5s ha dimostrato di essere tutt’altro che un fenomeno passeggero della politica italiana. Anzi, è riuscito a conquistare due delle metropoli più grandi del paese, Roma e Torino.

Sono cambiati i primi attori della politica italiana, Renzi e Grillo hanno scalzato Bersani e Berlusconi proprio grazie alla loro promessa di rivoltare il paese come un calzino, di “cambiare verso all’Italia” (Renzi), di essere “la rivoluzione francese, senza ghigliottina” (Grillo).

Più che un paese che riparte, l’Italia sembra un paese in cui il motore politico gira a vuoto

Ma i giornali ci regalano sempre gli stessi titoli, giorno per giorno, settimana per settimana. C’è il referendum costituzionale, anzi il suo rinvio. Ancora non è dato sapere la data del voto, prima previsto per ottobre, poi per novembre, adesso forse addirittura per dicembre. Così l’effetto “ricomincio da capo” è garantito per un periodo che si allunga sempre di più.

La maggioranza degli italiani non sa ancora di preciso in che cosa consista la riforma, ma riceve informazioni incessanti sulle polemiche intorno al referendum, e gli scenari apocalittici cui si andrebbe incontro. Secondo i sostenitori del sì la vittoria del no darebbe il colpo di grazia all’Italia, condannandola a un declino irreversibile. Secondo i sostenitori del no la vittoria del sì ci porterebbe dritto alla dittatura di un uomo solo al comando. Intanto i cittadini assistono a un dibattito che si è avvitato su se stesso.

Poi ci sarebbe l’Italicum. Ogni giorno arrivano notizie sull’avvincente dibattito sull’eventualità di cambiarlo: con le preferenze, con il premio di maggioranza alla coalizione invece che al primo partito, con o senza ballottaggio. Nessuno più, a quanto pare, vuole quella legge, ma non si intravedono le vie d’uscita. Come se non bastasse anche la corte costituzionale fa la sua parte: ha rinviato sine die la decisione sulla costituzionalità dell’Italicum. Quindi è svanita la speranza che in data 4 ottobre sapremo se l’Italicum rimane in piedi. Abbiamo solo una sicurezza: anche questo tormentone continuerà.

Il gusto del tormentone non risparmia nessuno
L’effetto è sotto gli occhi di tutti: più che un paese che riparte, l’Italia sembra un paese in cui il cui motore politico gira a vuoto, producendo rumore ma nessun movimento. Certo, ci sarebbero i cinquestelle, opposizione in costante crescita di consensi durante gli ultimi due anni.

Ma pare che anche loro abbiano scoperto il gusto del tormentone. Hanno conquistato Roma, assicurandosi l’occasione di dimostrare di essere loro, sì, davvero la forza del cambiamento. Ma dal 19 giugno a oggi hanno intrattenuto i romani con la ricerca infinita dell’assessore al bilancio, con le piroette sul capo di gabinetto della sindaca e altre questioni amene. Ai romani invece piacerebbe leggere notizie su come il comune intende far ripartire la scassata azienda del trasporto pubblico, l’Atac, o quella dei rifiuti, l’Ama. E agli italiani piacerebbe sapere con quali interventi economici e sociali il governo nazionale vuole rimettere in sesto il paese.

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