09 settembre 2022 09:18

Quando Elisabetta II è ascesa al trono, nel 1952, sull’impero britannico non tramontava mai il sole. Il declino era già cominciato con l’indipendenza dell’India, nel 1947, ma Winston Churchill, tornato a guidare il governo durante i primi passi della giovane sovrana, era deciso ad aggrapparsi a un impero ancora potente.

Nel momento della sua scomparsa, 70 anni dopo, Elisabetta II era ancora la regina di 14 paesi oltre a quelli che formano il Regno Unito (al suo apogeo erano 32). Tuttavia – a parte Canada, Australia e Nuova Zelanda – queste nazioni sono soprattutto piccoli residui dell’ex impero nei Caraibi e nel Pacifico meridionale. Tutti gli altri si sono allontanati dalla corona, anche se mantengono un legame privilegiato attraverso il Commonwealth.

Senza dubbio i prossimi giorni saranno segnati da un cordoglio planetario per la perdita di una sovrana che sembra essere stata sempre presente, a prescindere dall’età o dalla provenienza di ciascuno di noi. Ma possiamo già chiederci quale sarà l’influenza della monarchia dopo la sua scomparsa, in un mondo che sta vivendo un colossale cambiamento.

Svolte repubblicane
“Dall’impero alla Brexit”: forse questo è un riassunto troppo brutale del regno di Elisabetta II, ma in fondo è una descrizione fedele del Regno Unito degli ultimi decenni, che non ha mai smesso di rimpicciolirsi e rischia un’ennesima amputazione.

Altri paesi potrebbero infatti abbandonare il simbolo monarchico. L’ultimo ad averlo fatto, nel 2021, è stata Barbados, un’isola caraibica abitata da 300mila persone il cui governo ha proclamato che “è arrivato il momento di lasciarci alle spalle il nostro passato coloniale”. La lista non si concluderà con Barbados. La notizia è passata abbastanza inosservata, ma nel maggio scorso, quando i laburisti hanno vinto le elezioni legislative in Australia, hanno nominato un sottosegretario per la repubblica. Il partito vorrebbe infatti organizzare un referendum per passare dalla monarchia alla repubblica nel caso in cui ottenesse un secondo mandato.

Altre fonti hanno rivelato che il suo attaccamento all’Europa era immenso

Con la morte di Elisabetta II non si volta solo la pagina coloniale, ma anche quella postcoloniale. Elisabetta era diretta discendente della regina Vittoria – il cui giubileo, nel 1897, coincise con l’apogeo dell’impero britannico – e ha vissuto la transizione postcoloniale. Il suo successore dovrà affrontare un mondo completamente diverso.

Elisabetta è stata regina di un impero scomparso, ma anche di un Regno Unito che non trova il suo posto nel mondo. La riservatezza a cui era costretta le ha impedito di esprimersi pubblicamente in merito alla Brexit. I tabloid britannici le hanno attribuito a volte opinioni favorevoli, ma altre fonti hanno rivelato che il suo attaccamento all’Europa era immenso.

Dei 15 capi di governo che Elisabetta ha conosciuto nei suoi settant’anni di regno e con cui prendeva il tè ogni settimana, quattro si sono succeduti a un ritmo serrato dopo il referendum del 2016. L’ultimo atto ufficiale della sovrana, il 6 settembre, è stato quello di ricevere le dimissioni di Boris Johnson e di incaricare Liz Truss di formare il governo.

Elisabetta ha vissuto la prima fase del suo regno dialogando con Winston Churchill. Difficile che alla fine della sua vita sia stata altrettanto impressionata dagli occupanti di Downing street. Nel frattempo è cambiata un’epoca. Elisabetta II ha conosciuto la grandezza e la decadenza di un impero su cui il sole ha finito per tramontare.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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