Cultura Schermi
Una battaglia dopo l’altra
Leonardo DiCaprio, Sean Penn, Benicio del Toro
Stati Uniti 2025, 161’. In sala
Una battaglia dopo l’altra (dr)

Dopo aver adattato nel 2015 il romanzo di Thomas Pynchon Vizio di forma, Paul Thomas Anderson si è ispirato piuttosto liberamente a Vineland per dar vita a un bizzarro thriller d’azione, animato da un’energia degna di un fumetto pulp e da un’indignazione politica mutante, tenendo sempre a tavoletta il pedale del gas. È una rivisitazione dell’ormai riconoscibile idea anderson-pynchoniana di controcultura e controrivoluzione, che assorbe lo stile paranoico della politica statunitense in una resistenza farsesca e strampalata. E, in parte, è una diagnosi freudianamente inquietante della disfunzione padre-figlia – giustapposta alla famigerata separazione di figli e genitori al confine tra Stati Uniti e Messico – oltre che una risposta seria e pertinente alla classe dirigente segreta statunitense e agli ormai ordinari rastrellamenti dell’Immigration and customs enforcement (Ice). DiCaprio interpreta un goffo artificiere di una cellula terroristica che assalta i centri in cui sono rinchiusi i migranti, per liberarli. Bob ha una devozione cieca per Perfidia (Teyana Taylor), leader carismatica che non si fa scrupoli a sfruttare l’infatuazione di un colonnello aggressivo e reazionario (Penn). Anni dopo il povero e confuso Bob ha cresciuto da solo una figlia che crede sua, quando le forze dell’oscurità lo circondano di nuovo. Una battaglia dopo l’altra è al tempo stesso serio e non serio, emozionante e sconcertante, una fusione che trasmette sullo schermo un’effervescenza folle. Idee fuori moda come quella di una guerra culturale senza fine o di privilegio nel sogno del meltin pot statunitense rendono il film ancora più interessante: parla di dissenso e di malcontento, e dell’eroismo solitario di chi non riesce a integrarsi.
Peter Bradshaw, The Guardian

Familiar touch
Kathleen Chalfant
Stati Uniti 2024, 90’. In sala

Nelle scene iniziali del silenzioso e meraviglioso primo lungometraggio della sceneggiatrice e regista Sarah Fried-land, una cadenza giocosa e seduttiva s’insinua nella voce di Ruth (Chalfant) mentre serve il pranzo a un uomo più giovane. “Andremo d’accordo”, lo prende in giro dopo che lui le dice di essere sposato e lei risponde che anche lei è sposata. L’uomo reagisce con disagio, perché come abbiamo già intuito – ma come Ruth, affetta da demenza, ha dimenticato – è suo figlio. I film sulla demenza tendono a presentarla come una cosa da horror. Ma Familiar touch è più generoso: per Ruth non è la fine ma un periodo di transizione mentre si sistema in una lussuosa casa di riposo che, le ricorda il figlio, ha scelto lei stessa. Il film può essere triste ma è anche provocatorio e tenero. Sganciata dal tempo, Ruth può entrare in contatto con i suoi ricordi in una forma caleidoscopica e tornare in qualche modo al suo splendore giovanile attraverso dei gesti ripetuti tante volte.
Alison Willmore, Vulture

La voce di Hind Rajab
Motaz Malhees, Saja Kilani
Tunisia / Francia 2025, 90’. In sala
The voice of Hind Rajab (dr)

In La voce di Hind Rajab , la regista tunisina Kaouther Ben Hania ha inventato un dispositivo ibrido per raccontare quello che succede a Gaza. Ha scelto di usare nel film le vere registrazioni delle telefonate disperate di una bambina di sei anni con gli operatori della Mezzaluna rossa palestinese, mentre era bloccata in un’automobile tra i corpi dei suoi familiari, uccisi dall’esercito israeliano. E ha ricostruito quello che è successo nella sala operativa della Mezzaluna rossa, la lunga attesa di un’autorizzazione da parte delle autorità israeliane per mandare un’ambulanza dalla bambina. Autrice di un vero e proprio gesto cinematografico, Ben Hania gioca con i codici del thriller per mantenere una tensione costante e catturare l’assurdità e la violenza della situazione. Alle critiche di aver sfruttato il destino di Hind Rajab, la regista ha risposto: “Quando cerchiamo di dare voce ai palestinesi, veniamo sempre accusati di sfruttare la loro tragedia. È solo un altro modo per metterli a tacere. È in atto un processo di disumanizzazione, che rende le vittime meri danni collaterali. Il cinema, l’arte e tutte le forme di espressione sono essenziali per dare alle persone una voce e un volto”.
Boris Bastide, Le Monde

Altro da questo numero
1633 - 26 settembre 2025
Abbonati a Internazionale per leggere l’articolo.
Gli abbonati hanno accesso a tutti gli articoli, i video e i reportage pubblicati sul sito.