Questa è un’opera molto precoce e straordinariamente rara nella lunga storia degli album dance. Ora Punjabi disco, uscito per la prima volta nel 1982 e considerato il primo album di dance elettronica asiatica britannica, viene ripubblicato dall’etichetta Naya Beat.Il disco, che mescola influenze punjabi, il funk, la psichedelia e la proto-acid house, contiene i nove brani originali della cantante Mohinder Kaur Bhamra, che creano una gioia esuberante e giocosa: pensate a un synth-pop frizzante fuso con le melodie e i testi dell’Asia meridionale e siete già a metà strada. Questi brani valgono da soli il prezzo del disco. Tuttavia, per molti, il vero punto di forza della raccolta sono i remix, che spaziano dalla frizzante versione acidula dei Peaking Lights di Disco wich aa allo stile cinematografico della versione di Dexter+Franz di Par toon ki janay. Ulteriori contributi di Psychemagik, Baalti, Danger Boys e Mystic Jungle, insieme alla vivace cover di Nainan da pyar de gaya dei fondatori della Naya Beat, Turbotito & Ragz, alzano il livello dell’insieme.
Bruca Tantum, Dj Mag
Nel suo undicesimo album Daniel Lopatin, vero nome di Oneohtrix Point Never, mette a punto una strana fusione di circuiti e biologia che non proponeva dai tempi di R plus seven del 2013. È una zona in cui i suoni sintetici mimano movimenti organici e viceversa, inserendosi bene in uno spazio pieno di energia, luminosa e disturbata allo stesso tempo. Composto interamente da campionamenti audio scovati sul sito Internet Archive, Tranquilizer è il successore spirituale del malinconico Replica del 2011, basato su pubblicità televisive degli anni ottanta e novanta recuperate da vecchie videocassette. Qui, però, il materiale non è mai così cupo e fluttua verso correnti di sconforto opprimente puntellate da esplosioni felici. Il disco dimostra la maestria di Lopatin nel gestire tensioni strutturali, con ogni elemento pensato accuratamente per interagire e progredire senza risolversi davvero. Se qualcosa emerge in maniera chiara alla fine cambia o scompare per impedirci di capire davvero cosa stiamo ascoltando. È un lavoro provvisorio, etereo, fluttuante che rende la musica di Oneohtrix Point Never vibrante come non mai.
Paul Attard, Slant
Nei brani degli Armand Hammer la violenza non è spettacolare: è un alone che permea l’aria, qualcosa che interrompe la routine per poi svanire, lasciando tutti a continuare come nulla fosse. I rapper Elucid e Billy Woods raccontano come questa brutalità s’infiltri nella vita quotidiana, tra bandiere confederate intraviste a una stazione di servizio e domande come “cos’è la vita senza guerra?”. Le persone, suggeriscono, sono ormai così abituate al degrado da essere “annoiate dell’apocalisse”. Mercy sostiene che ignorare questo sfacelo non è più possibile: incombe su tutti, pronto a colpire. Non si tratta di vivere, ma di sopravvivere. Per questo progetto tornano a collaborare con The Alchemist, che qui offre una produzione più tetra e inquieta del solito: pianoforti sospesi, percussioni spezzate, marce funebri e detonazioni lontane. È un paesaggio sonoro che amplifica la tensione e rende ancora più taglienti i versi dei due rapper. Rispetto al precedente Haram, Mercy appare come una visione condivisa, capace d’integrare nuove influenze: echi dei Dungeon Family o di Boldy James, soul psichedelico anni settanta e dettagli sonori nascosti come sirene sintetiche o auto che sgommano. C’è un’urgenza particolare, un’aderenza al presente: Billy Woods intreccia storia e politica, riflettendo su ia, terrorismo e genocidi; Elucid crea spirali di memoria, immagini e paura che descrivono un’epoca in rovina. Il mondo sembra precipitare e la guerra, simbolica o reale, arriva alla porta di tutti. In Dogeared qualcuno chiede a Woods quale sia il ruolo del poeta in tempi simili. Non c’è una risposta chiara, ma l’album suggerisce che la salvezza possa trovarsi nei dettagli quotidiani. Forse la misericordia non s’implora: si costruisce insieme.
Dash Lewis, Pitchfork
Domenico Scarlatti ha lasciato poche spiegazioni sulla sua musica. Per questo l’interpretazione delle sue 555 sonate per tastiera continua a dividere gli studiosi e gli esecutori. Mentre alcuni ne sottolineano il tono lirico italiano, altri riconoscono schemi di danza cortigiana propri dello stile galante francese, senza dimenticare l’impronta del folclore spagnolo e portoghese o l’influenza contrappuntistica della musica sacra: Scarlatti trasforma ogni sonata in un affascinante laboratorio di contrasti. Javier Perianes lo esplora nelle quindici sonate di questo album. Si apre con la K 491, che alcuni interpreti hanno messo in relazione con la seguidilla sivigliana e altri con il bolero maiorchino, divisione che troviamo anche tra la bulería e il fandango portoghese della K 492. Si nota anche nella K 238, in cui il pianista spagnolo mostra le influenze di Corelli, del folclore dell’Estremadura e dello stile barocco francese. Il disco è pieno di rivelazioni: Perianes mette in risalto come pochi il caratteristico lirismo scarlattiano senza abbandonarne la patina popolare. Una lettura che spicca anche nelle sonate più conosciute, come la K 380, di cui riesce a esaltare le effusioni liriche senza perderne la solennità cerimoniale.
Pablo L. Rodríguez, Scherzo
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