05 febbraio 2015 17:11

Quando fa il regista viaggia in compagnia, come fotografo invece ha bisogno di stare da solo. Così l’artista tedesco Wim Wenders, che quest’anno compie settant’anni e riceverà l’Orso d’oro alla carriera al festival internazionale del cinema di Berlino, racconta il suo approccio alle immagini, fisse e in movimento.

Se nei suoi film i luoghi sono sicuramente importanti ma passano in secondo piano rispetto ai personaggi, nelle sue fotografie l’uomo non c’è quasi mai e quando decide di includerlo è “una figura piccola, distante, fusa nel paesaggio”, spiega in un’intervista al critico e curatore Francesco Zanot.

Fino al 29 marzo 2015 il Fondo Ambiente Italiano ospita a Villa e Collezione Panza, a Varese, una mostra dedicata alle immagini che l’artista ha scattato negli Stati Uniti, dagli anni settanta al 2003. Dalle strade e le architetture del Montana ai paesaggi del New Mexico agli interni del Colorado e dell’Arizona.

“In America il mio interesse si è rivolto fin dall’inizio a ciò che la gente aveva fatto a quella terra promessa, e a quanti sacrifici erano stati compiuti in nome del cosiddetto sogno americano”, spiega Wenders.

Prima spaventato ma poi profondamente affascinato dai colori acidi e brillanti di quei paesaggi, “la luce del west” diventa il motivo e il filo rosso del suo lavoro. Un lavoro che vuole essere un tributo al pittore statunitense Edward Hopper che è sempre stato per Wenders il creatore di immagini per eccellenza.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it