19 maggio 2015 18:31

Q. Sakamaki è abituato agli spostamenti. Cresciuto in Giappone, dove ha cambiato spesso casa e città a causa del lavoro di suo padre, si trasferisce a New York nel 1986.

L’esperienza del viaggio gli regala la capacità di apprezzare i posti e le persone sempre diverse che incontra, ma anche di acquisire la consapevolezza che ovunque ci sono dei conflitti. “Sono stato quasi sempre un outsider o comunque uno straniero. Mi sono sentito spesso messo da parte, a volte in maniera violenta”, racconta.

La violenza legata alla discriminazione si ritrova in molti degli scatti che compongono il suo ultimo lavoro, China’s outer lands, in mostra fino al 24 maggio 2015 alla galleria Half King di New York, e dedicato ad alcune etnie, tra cui quelle della Manciuria e della Mongolia interna, che vivono emarginate nelle periferie del paese.

Le comunità ritratte da Sakamaki “parlano lingue differenti, oscillano tra la conformità e l’originalità, l’autonomia e la dipendenza; mentre sono testimoni della sublimazione della loro cultura”, scrive la curatrice della mostra Anna Van Lenten.

Sakamaki ha cominciato la sua carriera come fotogiornalista negli anni ottanta seguendo le proteste di Thompkins square park a New York. Ha poi documentato i conflitti in Sud Sudan, la guerra civile in Birmania, Haiti dopo il terremoto e i danni dello tsunami in Giappone.

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