Comunque vadano le cose, la notte del 13 aprile 2024 rimarrà una data importante nella storia dell’Iran. L’operazione Promessa onesta, con il lancio di centinaia di droni e missili contro Israele, costituisce un precedente e un punto di svolta, anche se non sappiamo quanto ne uscirà modificata la strategia iraniana.

Da più di quarant’anni l’Iran fonda il suo progetto d’influenza regionale e la sua capacità di deterrenza su una rete di milizie e di missili pazientemente costruita nel mondo arabo. Dopo il 7 ottobre 2023 la strategia ha raggiunto il suo apice e ha mostrato i suoi limiti. Mai prima d’ora questa rete si era mobilitata su tanti fronti al servizio di Teheran. Allo stesso tempo, mai prima d’ora era stata tanto bersagliata e indebolita, al punto da perdere parte della sua capacità di deterrenza e da lasciare esposta la Repubblica islamica.

Per la prima volta nella sua storia l’Iran ha dovuto agire direttamente contro il nemico israeliano. È il risultato della politica insostenibile che Teheran porta avanti dal 7 ottobre: non vuole rimanere in disparte nella guerra tra Israele e Hamas, ma non vuole neanche farsi coinvolgere direttamente. Non vuole la pace né la guerra. E ha finito per restare incastrata nella sua stessa trappola, volendo giocare con il fuoco. Israele ha colto l’occasione per colpire l’Iran e i suoi alleati, per metterne alla prova i limiti e le capacità di deterrenza.

L’ala militare di Hamas è stata in parte distrutta a Gaza, Hezbollah ha ricevuto colpi su colpi negli ultimi sei mesi, gli huthi yemeniti e le milizie irachene subiscono gli attacchi statunitensi, e Israele si sta perfino prendendo la libertà di decimare i vertici della Forza Quds in Siria e in Libano. Finché Hamas resta attivo a Gaza, l’Iran può comunque ritenersi vincente dal punto di vista strategico, che è già qualcosa.

In ogni caso la situazione ha costretto Teheran a reagire per modificare le regole del gioco. E ritenendo che sia stato il suo territorio a essere colpito il 1 aprile a Damasco da un attacco israeliano contro un edificio adiacente al suo consolato, l’Iran ha deciso di cambiare marcia.

Teatralità

L’attacco della notte fra il 13 e il 14 aprile è stato spettacolare, su vasta scala e allo stesso tempo calibrato per evitare una spirale di violenza.

Sul piano simbolico la Repubblica islamica ha lasciato il segno e tenuto l’intera regione con il fiato sospeso per ore. Le immagini dei missili e dei droni iraniani che sorvolano la cupola della moschea Al Aqsa, a Gerusalemme, non saranno facilmente dimenticate. Sul piano militare gli iraniani non sono riusciti a causare gravi danni agli avversari. Può essere considerato un fallimento, ma bisogna ricordare che gli iraniani hanno scelto di usare soprattutto i droni, che hanno impiegato ore per arrivare sul territorio israeliano, di avvertire altri paesi in anticipo sulla data e sulla portata dell’operazione, e di non usare Hezbollah, la principale arma iraniana contro Israele. Il fatto che il 99 per cento dei droni e dei missili iraniani sia stato intercettato è il risultato di queste scelte quanto della superiorità militare israeliana e statunitense.

Le forze in campo
La composizione delle forze armate dell’Iran, migliaia di persone (Fonte: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR)

Dal punto di vista politico l’Iran ha fatto un regalo al premier israeliano Benjamin Netanyahu: Israele ha ancora una volta un ampio sostegno occidentale e i massacri a Gaza passeranno in secondo piano.

La notte del 13 aprile è stata un test per la Repubblica islamica. È stato come se un artista, dopo essersi vantato per anni del suo talento davanti al mondo intero, fosse salito per la prima volta sul palcoscenico. La teatralità che si addice a questo tipo di eventi ha avuto il suo effetto. Per il resto l’esibizione è risultata piuttosto insoddisfacente.

Resiliente e fragile

L’Iran non è inoffensivo: è una potenza regionale con una capacità di destabilizzazione senza pari. Ma ha un potere ancora limitato rispetto a quello degli avversari. Inoltre ha corso un rischio enorme, che gli si potrebbe ritorcere contro.

Gli Stati Uniti sembrano aver convinto gli israeliani a non reagire subito, ma è poco probabile che si fermeranno. Dopo tutto, il loro territorio è stato attaccato dal loro principale nemico: è probabile che Israele risponda per evitare il ripetersi di questo scenario.

Lo farà con moderazione o in modo sproporzionato? Se sceglierà la seconda opzione, l’intera regione potrebbe tremare. E anche il regime iraniano.

L’obiettivo dell’operazione Promessa onesta era creare “una nuova equazione con Israele”, ha dichiarato il 14 aprile il comandante dei Guardiani della rivoluzione iraniani, Hossein Salami. “D’ora in poi, se Israele attaccherà interessi o cittadini iraniani ovunque nel mondo, l’Iran risponderà”.

La nuova strategia presuppone che Teheran riesca a ripristinare la sua capacità di deterrenza, cosa non scontata. In caso contrario, il regime iraniano corre il rischio di un confronto diretto con Israele – e potenzialmente con gli Stati Uniti –che potrebbe mettere a repentaglio la sua sopravvivenza.

Questa è la principale conclusione che l’Iran può trarre dagli ultimi sei mesi. Finché non avrà le armi nucleari, nello scenario più estremo i suoi alleati potrebbero non bastare a garantirgli la sopravvivenza. E più si avvicinerà a produrre la bomba atomica, più gli israeliani saranno tentati di condurre un’operazione su vasta scala sul suo territorio. La Repubblica islamica è estremamente resiliente. Ma è anche altrettanto fragile. ◆ adg

Anthony Samrani è il condirettore del quotidiano libanese L’Orient-Le Jour.

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Questo articolo è uscito sul numero 1559 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati