Gli abiti sono sempre stati all’origine di guerre culturali e controversie quasi inestricabili. In Francia ultimamente si parla molto dell’abaya, una tunica femminile originaria dei paesi arabi che copre tutto il corpo tranne le mani e la testa. L’anno scorso molte più studenti hanno cominciato a indossarlo sopra gli altri vestiti, ed è emerso il sospetto che fosse una protesta, spontanea o organizzata, contro la laicità dello stato francese: un tentativo di aggirare la legge che proibisce di portare il velo e mostrare simboli religiosi in classe. Le autorità islamiche hanno ricordato che l’abaya non ha nessun significato religioso, ma non è servito a niente. Il fenomeno ha sottoposto il sistema scolastico a un delicato test. Finora erano i presidi a decidere sull’ammissibilità dell’abbigliamento. Poco prima della fine delle vacanze invece il nuovo ministro dell’istruzione Gabriel Attal ha annunciato che avrebbe vietato l’abaya nelle scuole. Una dimostrazione di forza rivolta a tutti per dimostrare che la laicità è un principio non negoziabile della repubblica. Ma il decreto aggiunge una nota polemica al rientro a scuola, probabilmente in modo intenzionale. Il governo centrista e il presidente Emmanuel Macron vogliono usare tutti i mezzi per apparire determinati, anche un po’ autoritari, e contrastare l’estrema destra su un tema incendiario. Ma il rischio è puntare il dito contro una parte della popolazione che si sente già stigmatizzata. E non solo per come si veste. ◆ gac

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Questo articolo è uscito sul numero 1527 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati