22 aprile 2015 19:26

Sono diventati uno degli obiettivi principali da colpire per fermare gli arrivi di migranti via mare, ma non sempre sono dei veri e propri trafficanti di uomini. Sono gli scafisti, ma al timone di gommoni e barche di fortuna sempre più spesso ci sono gli stessi migranti, istruiti alla meno peggio dai trafficanti prima di partire o in mare aperto per finire tra le braccia della morte o tra quelle della giustizia del paese d’arrivo con un capo d’imputazione a cui rispondere. “Sugli scafisti non si può generalizzare”, spiega Mussie Zerai, il prete eritreo presidente dell’agenzia umanitaria Habeshia, che negli anni ha visto l’evoluzione della figura del trafficante e dei passeur sul territorio italiano. “Da quando è stato istituito il reato di favoreggiamento all’immigrazione abbiamo visto dei cambiamenti: non arrivano più i veri scafisti”, spiega Zerai.

Il reclutamento è semplice: si cerca tra i migranti chi ritiene di possedere un briciolo d’esperienza, si offre uno sconto sul viaggio e si diventa scafisti. “Basta che qualcuno dica di sì in cambio di un viaggio gratis o a minor prezzo che gli fanno vedere come si fa e così in breve tempo li mandano in mare aperto. Me ne accorgo quando mi chiamano dal barcone: non sanno usare il telefono satellitare. Non sanno neanche verificare la loro esatta posizione. Uno scafista che conosce bene quel che fa non ha problemi, invece molte volte devo spiegare io al telefono come fare per andare sul menu del cellulare, cercare la parola Gps e leggere quello che c’è scritto, cioè la loro posizione. Questo spesso accade perché li mandano allo sbaraglio dopo poche istruzioni. Ultimamente è capitato spesso che al comando di un barcone ci fosse un profugo qualsiasi. E una volta in Italia vengono identificati come scafisti”, racconta Zerai.

Chi organizza i barconi e li mette in mare, invece, intasca senza rischiare. “I veri scafisti e trafficanti non vogliono rischiare più – spiega - e mandano dei disperati. Spesso nigeriani, eritrei, etiopi o somali”. A volte i trafficanti accompagnano i migranti in acque internazionali e il passaggio al timone avviene direttamente in alto mare, racconta Zerai. “Arrivano fino a un certo punto del Mediterraneo e poi dalle navi madre i migranti vengono trasbordati in barche più piccole o gommoni e mandati incontro alla morte o se sono fortunati, ai soccorsi. I veri scafisti restano sulle navi madre”.

A fare affari sulla vita dei migranti ormai ci provano in molti. “Molti eritrei mi hanno detto di aver pagato intorno ai 1.500 euro, qualcuno anche 1.800 euro”. Un prezzo da pagare intorno alla media, spiega Zerai. Ci sono stati momenti in cui per salire su di un barcone bisognava pagare anche più del doppio. “In questo momento tutti si improvvisano trafficanti e passeur. Il primo che ha una barca o un gommone si improvvisa organizzatore di questi viaggi. C’è tanta offerta, ma anche molto più pericolo, perché sono persone meno esperte”. Anche sulla terraferma i trafficanti non perdono occasione di incrementare i propri affari. “I passeur sono aumentati. Gli arresti di questi giorni, infatti, riguardano persone che si sono messe a disposizione per organizzare viaggi verso il nord Europa. Ovviamente si facevano pagare profumatamente”. Tra scafisti e passeur non manca certo il coordinamento. “Gli intermediari in Libia sono spesso gli stessi eritrei, etiopi, somali e sudanesi in contatto con quelli che sono qui in Europa. Quando sta partendo un barcone da lì, li avvisano e i passeur si tengono pronti per organizzare il viaggio successivo via terra dal sud dell’Italia verso il nord Europa”.

Per contrastare il fenomeno dei trafficanti, per Zerai serve l’impegno delle istituzioni con le investigazioni, ma da sole non bastano. “L’unica via praticabile è aprire accessi legali. Altrimenti è inutile. Solo chiacchiere e non si va da nessuna parte. Bisogna superare l’accordo di Dublino”. Per Zerai, i passeur fioriti in questi anni “sono nati perché la gente non dà le impronte digitali, non vuole essere intrappolata in Italia e vuole raggiungere i propri familiari, parenti o amici nel nord Europa. Bisogna togliere tutte le barriere che in questi anni hanno favorito il traffico di esseri umani, la criminalità, gli abusi e lo sfruttamento di queste persone che arrivano e cercano di trovare protezione, asilo e ricongiungimento con i propri familiari”.

(Questo articolo è uscito su Redattore Sociale)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it