21 luglio 2015 15:32
Una barricata bruciata dai manifestanti nel quartiere di Nyakabiga a Bujumbura, in Burundi, il 21 luglio 2015. (Carl De Souza, Afp)

Si sono aperte in Burundi le urne per le elezioni presidenziali e il capo di stato uscente, Pierre Nkurunziza, è sicuro di ottenere un terzo, controverso mandato che secondo i suoi avversari è contrario alla costituzione.

Da lunedì sera sono stati sentiti a Bujumbura esplosioni e colpi di arma da fuoco, a ricordare il clima pesante in cui si svolgono le elezioni, che anche la comunità internazionale ritiene poco credibili.

Poche ore prima dell’apertura dei seggi, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha fatto appello alle autorità burundesi affinché “facciano di tutto per garantire la sicurezza e il pacifico svolgimento” delle elezioni.

Sono circa 3,8 milioni i burundesi chiamati alle urne tra le 6 del mattino e le 16, per una tornata elettorale boicottata dall’opposizione che non riconosce a Nkurunziza – eletto nel 2005 e nel 2010 – il diritto di correre per un nuovo mandato e denuncia delle “elezioni farsa” di cui a più riprese ha chiesto il rinvio.

La candidatura di Nkurunziza, annunciata lo scorso aprile, ha fatto sprofondare il Burundi in una grave crisi politica, con esplosioni di violenza che hanno provocato più di ottanta morti.

Le autorità burundesi hanno sventato a metà maggio un tentativo di colpo di stato militare e a metà giugno hanno soffocato con violenza le manifestazioni che da un mese e mezzo si tenevano quasi ogni giorno a Bujumbura. Da allora nel paese si sono registrati una serie di attacchi con granate e, negli ultimi dieci giorni, combattimenti e scontri tra esercito e ribelli nel nord del paese, vicino alla frontiera con il Ruanda.

Dopo la scontata vittoria con ampio margine ottenuta dal partito al potere, il Consiglio nazionale per la difesa della democrazia-Forze per la difesa della democrazia(Cndd-Fdd), alle elezioni legislative e comunali del 29 giugno, anch’esse boicottate dall’opposizione, gli osservatori ritengono certa la vittoria di Nkurunziza.

Contro di lui restano solo tre candidati espressione di piccole formazioni politiche ritenute vicine al potere, oltre al suo principale avversario, Agathon Rasa, che non ha ritirato ufficialmente la sua candidatura ma contesta la legittimità dello scrutinio e sostiene di non aver voluto fare campagna elettorale.

Altri tre candidati che si erano registrati – Jean Minani, presidente del partito Frodebu-Nanyuki (opposizione) e i due ex capi di stato Domitien Ndayizeye e Sylvestre Ntibantunganya, tutti contrari a un terzo mandato per Nkurunziza – si sono invece ritirati dalla competizione, denunciando “una farsa” e una tornata elettorale “non conforme alle norme internazionali”.

La comunità internazionale – Onu, partner occidentali, Unione africana – ritiene che l’attuale clima politico non consenta lo svolgimento di un processo elettorale credibile.

Una deriva antidemocratica

Da fine aprile le manifestazioni sono vietate e represse in modo brutale, a volte con l’uso di proiettili veri, i mezzi di comunicazione privati sono stati ridotti al silenzio, giornalisti e oppositori sono terrorizzati o in esilio, l’atmosfera di intimidazione è generalizzata grazie soprattutto all’attivismo degli Imbonerakure, l’organizzazione giovanile del Cndd-Fdd che secondo l’Onu è una vera e propria “milizia”.

Nonostante un crescente isolamento e le minacce espresse dai suoi sostenitori, Nkurunziza ha perseguito con ostinazione la volontà di ottenere un terzo mandato, rifiutando di rinviare lo scrutinio oltre il 21 luglio, dando come giustificazione il rischio di un vuoto istituzionale al termine del mandato attuale, il prossimo 26 agosto.

Secondo numerosi osservatori, Nkurunziza otterrà di sicuro un terzo mandato alle elezioni, ma il periodo che seguirà alla vittoria rischia di essere difficile, con un paese diviso, isolato sulla scena internazionale e privato degli aiuti dall’estero, fondamentali dal momento che è tra i dieci paesi meno sviluppati al mondo.

Gli osservatori temono che la crisi possa sfociare in esplosioni di violenza su larga scala, in un paese dalla storia post-coloniale punteggiata da colpi di stato e massacri tra hutu e tutsi e che con difficoltà si stava riprendendo da un decennio di guerra civile.

La labile speranza di distensione aperta dalla mediazione del presidente ugandese Yoweri Museveni su mandato della Comunità dell’Africa orientale (Eac), che era riuscito a far dialogare le parti avversarie, è andata in frantumi domenica scorsa, quando la delegazione presidenziale ha abbandonato il tavolo dei negoziati.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è stato pubblicato dall’Agence France-Presse il 21 luglio 2015.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it