06 ottobre 2015 16:02

La corte di giustizia dell’Unione europea ha dichiarato non valido il Safe harbor, il trattato commerciale che permette alle aziende tecnologiche statunitensi di conservare i dati degli utenti europei negli Stati Uniti. Secondo i giudici il trattato violerebbe la privacy dei cittadini dell’Unione.

La sentenza potrebbe rendere quindi più difficile per Amazon, Apple, Google e Facebook collezionare online le informazioni degli utenti che vivono nei 28 paesi dell’Unione europea. La decisione della corte di giustizia potrebbe dare ai governi più poteri nel bloccare il trasferimento dei dati. Non è possibile fare ricorso contro le sentenze della corte di giustizia dell’Unione europea.

I governi europei però sono divisi sulla questione. La Francia e la Germania hanno difeso la necessità di una maggiore salvaguardia dei dati dei loro cittadini. Altri paesi, come il Regno Unito e l’Irlanda (dove molte aziende della Silicon valley hanno la loro sede europea), hanno invece difeso il Safe harbor.

Nonostante la sentenza, il trasferimento di dati potrà proseguire, almeno per il momento. L’ha dichiarato il vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans.

In attesa che venga firmato un nuovo trattato con delle nuove regole per proteggere i cittadini europei, ha proseguito Timmermans, la Commissione europea pubblicherà delle linee guida per le autorità nazionali responsabili della protezione della privacy.

Inchieste più facili

I dati personali degli utenti che navigano in rete sono di grande valore per le aziende tecnologiche. I messaggi postati su Facebook, le ricerche su Google, gli acquisti su Amazon o sull’Apple store vengono archiviati e poi usati per creare profili degli utenti e pubblicità personalizzate.

Il blocco del trasferimento dei dati al di là dei confini europei potrebbe non solo costringere le aziende a dotarsi di standard più complessi e costosi, ma anche a cambiare il modo in cui fanno profitti in Europa, fa notare il New York Times.

Le conseguenze pratiche della sentenza in realtà non sono ancora chiare, prosegue il quotidiano statunitense. Secondo alcuni esperti, per le autorità nazionali sarà più facile aprire inchieste su aziende come Facebook per presunte violazioni delle leggi sulla privacy.

Gli Stati Uniti e l’Unione europea stanno lavorando da due anni a un nuovo Safe harbor, ma finora non stati fatti passi avanti. La sentenza della corte adesso potrebbe spingerli ad accelerare le trattative.

Il caso è cominciato quando Max Schrems, uno studente e attivista austriaco di 27 anni, ha fatto causa a Facebook. Secondo Schrems, i dati online dei cittadini europei sono stati manipolati quando il social network di Mark Zuckerberg ha collaborato al programma Prism dell’Nsa, l’agenzia d’intelligence statunitense finita al centro dello scandalo datagate.

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