22 settembre 2016 14:08

Due giorni di violenze, un numero imprecisato di morti, tre sedi di partiti date alle fiamme. È il bilancio di due giorni di scontri, il 19 e il 20 settembre, tra la polizia e i manifestanti a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo. Nella capitale congolese è tornata la calma, ma la situazione resta precaria.

Il voto rinviato
Il 19 settembre l’opposizione ha convocato una grande manifestazione per invitare il presidente Joseph Kabila, al potere dal 2001, a rispettare le regole della democrazia e a lasciare l’incarico alla scadenza del mandato, il prossimo 20 dicembre. La figura di riferimento dei manifestanti, riuniti nell’organizzazione Rassemblement (raduno), è Étienne Tshisekedi, storico oppositore di Kabila, già candidato alle presidenziali nel 2011.

La protesta è subito degenerata per l’intervento duro della polizia. Il bilancio degli scontri che sono seguiti è incerto: secondo la polizia, sono morte 32 persone, secondo il partito di opposizione Union pour la démocratie et le progrès social le vittime sono più di cento. Il 20 settembre le sedi di tre partiti d’opposizione sono state date alle fiamme e all’interno di uno degli edifici sono stati trovati dei cadaveri carbonizzati. Non è chiaro chi sia stato ad appiccare gli incendi.


Il 20 settembre, tre mesi prima della scadenza del secondo mandato di Kabila (eletto nel 2006 e poi nel 2011), era l’ultimo giorno entro il quale la commissione elettorale avrebbe dovuto annunciare la data delle prossime elezioni presidenziali. Invece ha fatto sapere che sarà impossibile organizzarle il 27 novembre, come inizialmente previsto. L’11 maggio scorso la corte costituzionale ha autorizzato Kabila a continuare a governare se non si potrà procedere con lo scrutinio nel 2016.

L’annuncio della commissione elettorale concretizza quindi i timori dell’opposizione, convinta che il presidente voglia restare aggrappato al potere nonostante la costituzione gli impedisca di concorrere per un terzo mandato. Ma questa è solo l’ultima di un’ondata di violenze che hanno sconvolto il paese da quando il presidente ha parlato per la prima volta di rinviare le elezioni. Secondo le autorità, serve tempo per superare gli ostacoli logistici e finanziari che impedirebbero di organizzare un’elezione equa.

Di recente i collaboratori di Kabila e due partiti dell’opposizione, Union pour la nation congolaise e Opposition républicaine, hanno stretto un accordo. L’intesa prevede che allo scadere del mandato di Kabila sia formato un governo di transizione, guidato dallo stesso presidente, e che le elezioni siano rimandate almeno alla metà del 2017. Ma il resto dell’opposizione ha boicottato i colloqui.

La strategia di Kabila
Una delle giustificazioni del governo per il rinvio del voto è la necessità di una revisione delle liste elettorali. Quelle usate finora, sostiene il governo, escludono dal voto circa la metà dei 45 milioni di potenziali elettori congolesi, tra cui sette milioni di nuovi votanti che sono diventati maggiorenni dopo il 2011. Secondo gli osservatori, per una revisione completa servirebbero dai dieci ai 18 mesi.

Mentre gli uomini forti di altri paesi, come Denis Sassou Nguesso del Congo, e Paul Kagame del Ruanda, sono riusciti a far passare delle riforme costituzionali per garantirsi un terzo mandato, Kabila ha evitato un approccio così diretto.

Nei mesi scorsi, però, è uscito di scena uno dei suoi avversari più temibili, Moise Katumbi, ex governatore del Katanga, una vasta provincia ricca di minerali preziosi. A maggio Katumbi è andato in Sudafrica per ricevere cure mediche, ma non è più tornato, deludendo molti suoi sostenitori. Si sospetta che sia rimasto all’estero perché, poco dopo aver annunciato la sua candidatura alle presidenziali, è stato citato in giudizio con l’accusa di aver assoldato dei mercenari.

Alle radici della crisi
L’attuale instabilità politica congolese risale alla rielezione di Kabila nel 2011, uno scrutinio caratterizzato da gravi brogli. Tshisekedi, arrivato secondo, contestò il risultato e tuttora continua a negare legittimità al presidente e al parlamento. La crisi istituzionale ha impedito lo svolgimento di tante elezioni successive e oggi quasi tutti gli eletti (deputati delle assemblee legislative regionali, senatori, governatori) restano in carica nonostante sia scaduto il loro mandato.

Gli abitanti della capitale Kinshasa non sono mai stati dei grandi estimatori di Joseph Kabila, che considerano uno “straniero” venuto dall’est del paese. Nel 2001 aveva preso l’interim dopo l’assassinio del padre, Laurent-Désiré. Nel 2006, con l’entrata in vigore della nuova costituzione, è stato eletto presidente nonostante a Kinshasa avessero ottenuto più voti i suoi avversari maggiormente quotati, Jean-Pierre Bemba e Tshisekedi. Inoltre, da un anno la crisi economica ha reso ancora più difficili le condizioni di vita dei dieci milioni di abitanti di Kinshasa e ha alimentato il sentimento di frustrazione e rifiuto verso il presidente.

Il Belgio, gli Stati Uniti, la Francia, le Nazioni Unite e l’Unione europea chiedono ripetutamente da mesi che la costituzione sia rispettata affinché si possa concretizzare la prima transizione democratica del potere nella storia del paese. Ma tutto lascia pensare che Kabila non intenda farsi da parte pacificamente.

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