06 ottobre 2016 18:18

1. Bedlam: the asylum and beyond
Wellcome collection, Londra, fino al 17 gennaio

Il Bethlem royal hospital di Beckenham, a sud di Londra, è la più antica istituzione psichiatrica del mondo e si trova in un parco di più di cento ettari, tra boschi e prati immersi nel silenzio. Robert, 43 anni, è uno dei trecento pazienti che oggi risiedono a Bethlem. Può godere di dieci ore d’aria al giorno, che trascorre nei campi in cerca d’ispirazione per le sue opere d’arte, e conosce ogni anfratto della tenuta. Il suo ultimo lavoro, la macchina bruciata nel bosco, è un quadro che ha cominciato a dipingere nel 2012. L’istituto religioso di Bethlem nel medioevo dava asilo a posseduti (malati mentali) e ai peccatori disadattati (tossicodipendenti). Nel seicento veniva considerato una sorta di zoo umano e attirava turisti da tutto il mondo disposti a sborsare grosse cifre per assistere al trattamento della malattia mentale. Una nuova mostra della Wellcome collection prova che attraverso questa istituzione si possono raccontare sette secoli di trattamenti della salute mentale. Bethlem fornisce un osservatorio privilegiato sulla nozione e la percezione della follia nei secoli e sul concetto di ricovero per i malati di mente. Anticamente il manicomio era un luogo di protezione e cura, non di isolamento. La mostra della Well­come è affiancata da Reclaming asylum, una rassegna di opere prodotte negli anni dai pazienti allestita nella galleria del seminterrato della struttura di Bethlem. Lì ci sono anche le tele di Robert. The Telegraph

2. A feast of astonishments: Charlotte Moorman and the avant-garde 1960s-1980s
New York university, fino al 9 dicembre

Siate pazzi. È un buon consiglio da dare agli artisti di oggi, gravati da una formazione sempre più omologata e sclerotizzati dalle logiche delle fiere d’arte. Think crazy era una specie di motto, quasi un logo, sui manifesti di un festival d’avanguardia che si svolse tutti gli anni a New York tra il 1963 e il 1980 e che reclutava artisti selvaggi e talentuosi provenienti da tutto il mondo e li sguinzagliava in luoghi come il Grand central terminal, lo Shea stadium o il traghetto per Staten Island. Erano persone che lavoravano con media esoterici come aria, proiettili e spaghetti e avevano nomi assolutamente sconosciuti ai più. Le loro performance erano pura anarchia e oggi, più che il loro contenuto, stupisce come abbiano potuto essere realizzate. Ideatrice e produttrice del festival era Charlotte Moorman, una violoncellista famosa per le esibizioni in top-less, che aveva blandito le istituzioni per avere il benestare della polizia, ancora poco abituata al concetto di performance art. Due mostre alla New York university celebrano l’attività di agitatrice culturale di Charlotte Moorman e la sua sperimentazione come musicista, cominciata con l’interpretazione di 26’ 1. 1499 di John Cage, un brano che richiede all’esecutore di intervallare la musica strumentale con azioni non musicali. Le mostre, piene di oggetti e video, rappresentano la punta dell’iceberg Moorman, che era sempre sul punto di emergere con nuove idee. The New York Times

Questa rubrica è stata pubblicata il 30 settembre 2016 a pagina 103 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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