17 novembre 2016 19:00

Nuove collezioni digitali
Il Museum of modern art di New York ha comprato 176 emoji per la sua collezione permanente. Questi pittogrammi, progettati nel 1999 per i cercapersone dalla compagnia giapponese Ntt DoCoMo, sono stati i primi appositamente pensati per la telefonia mobile. Dodici anni dopo la Apple ha integrato la prima serie di emoji nel sistema operativo dell’iPhone, facendo esplodere un fenomeno planetario. Guardando queste prime rudimentali icone, sembra di leggere i segni di una civiltà antica.

Gli emoji originali, progettati da Shigetaka Kurita, erano disegnati in bianco e nero su una griglia di 12x12 pixel. Dopo qualche anno si sono aggiunti cinque colori: rosso, arancione, lilla, verde erba, blu reale. Oggi molti sono incomprensibili senza l’aiuto di un traduttore. Il cerchio rosso con tre sbarrette sta per primavera calda, e la chiazza viola, forse opportunamente, significa arte. Altri sono semplici traduzioni digitali di simboli esistenti, come i quattro semi delle carte e l’indicazione per la toilette. Si intravede già qualche traccia dei simboli che avrebbero poi conquistato la cultura digitale: i cuoricini, il pugno chiuso, un paio di occhi spalancati. Della collezione di oggetti digitali del museo fa parte anche il simbolo @. Secondo la curatrice Paola Antonelli, che lo acquisì nel 2010, è “l’oggetto più libero del museo”. Da dicembre gli emoji saranno esposti nel grande spazio all’ingresso del museo su un display con grafica 2d e animazioni. The New York Times

Ulay a grandezza naturale
Ulay life-sized
Schirn Kunst-halle, Francoforte, fino all’8 gennaio
Ulay si avvicinò alla performance art negli anni settanta, attraverso il lavoro di Chris Burden e Vito Acconci. Il suo viaggio continuò al fianco di Marina Abramović, sua compagna nella vita e nel lavoro. Girarono l’Europa per dodici anni su un furgoncino Citröen. Senza fissa dimora, Ulay continua a vivere viaggiando con una valigia. Le sue fotografie, i video, le performance sono pervase da un senso antiestetico ma si riferiscono sempre a un’azione etica. Nel 1972 si fece tagliare un pezzo di pelle tatuata dall’avambraccio documentando l’intervento chirurgico con delle fotografie. Quel lembo di pelle, che l’artista voleva vendere, non è stato comprato da nessuno e ora è esposto insieme ad altre opere alla Schirn Kunsthalle. Die Zeit

Merdacotta
Castelbosco (Piacenza), museodellamerda.org
Gianantonio Locatelli, dopo aver convertito nel 2007 il suo caseificio in azienda che produce biogas e aver trasformato i fienili in opere d’arte facendone decorare le facciate a David Tremlett, ha finalmente brevettato la Merdacotta. Presentata all’ultimo salone del mobile di Milano, consiste in una linea di mobili e oggetti di design ottenuti da escrementi bovini trattati ad alte temperature: un modo creativo per usare parte delle 150 tonnellate di sterco che i suoi animali producono ogni giorno. Il 28 ottobre a Castelbosco, in provincia di Piacenza, il Museo della merda ha aperto i battenti ai curiosi. Le Monde

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