04 marzo 2024 15:00

“I pessimisti critici, come Mark Cri­spin Miller, Noam Chomsky e Robert McChesney, si concentrano soprattutto sulle difficoltà di realizzare una società più democrati­ca. Nel farlo, spesso esagerano il potere dei grandi media per im­paurire e spingere all’azione i loro lettori.

Non sono in disaccordo con la loro pre­occupazione per la concentrazione dei media, ma il modo in cui questi autori inquadrano la questione è controproducente: tolgono potere ai consumatori anche se li invitano a mobilitarsi. Una buona parte della retorica sulla riforma dei media si basa su discorsi me­lodrammatici di vittimizzazione e vulnerabilità, seduzione e mani­polazione, ‘macchine per la propaganda’ e ‘mezzi di inganno di massa’. Più volte, questa versione del movimento per la riforma dei media ha ignorato la complessità del rapporto tra pubblico e cultura popolare, finendo per fiancheggiare gli oppositori di una cultura più variegata e partecipativa”.

Henry Jenkins, sociologo e analista dei media, scrive questi paragrafi nel suo libro Cultura convergente, uscito nel 2007 in Italia per Apogeo, con prefazione di Wu Ming. Diciassette anni dopo, non è cambiato molto: quelli che Jenkins ha definito “pessimisti critici” hanno fatto proseliti e hanno progressivamente spostato le loro critiche dalla televisione a internet alle intelligenze artificiali. In una falsa dicotomia, queste posizioni vengono contrapposte a quelle dei cosiddetti “tecno-ottimisti”, che invece accettano acriticamente ogni tipo di innovazione tecnologica.

Entrambe le posizioni impediscono di vedere bene sia i problemi sia le opportunità rappresentati dalle nuove tecnologie. Nel frattempo, anche nel campo delle intelligenze artificiali succede ciò che Jenkins aveva analizzato e prefigurato: cultura e tecnologie convergono. Lo fanno in maniera molto rapida.

Dal punto di vista tecnologico, questo significa che le intelligenze artificiali vengono inserite in strumenti che usavamo già e dobbiamo aspettarci che lo saranno sempre di più: assistenti per scrivere le mail che ti aiutano a renderle più formali o sintetiche; strumenti che ti sistemano l’agenda o che collegano fra loro software diversi; in generale strumenti che non si rivolgono necessariamente a chi, per lavoro, crea contenuti – come si potrebbe pensare delle intelligenze artificiali generative in maniera esclusiva – ma a persone che le possono usare nel loro quotidiano per gli scopi più diversi.

Dal punto di vista culturale, invece, significa che le intelligenze artificiali avranno un ruolo nella produzione culturale popolare, oltre che nella fruizione e nella distribuzione della cultura. Come scrive un altro studioso dei media, Dal Yong Jin, in un saggio che si può leggere gratuitamente, “la stessa intelligenza artificiale si è già trasformata in piattaforma per diventare uno dei mediatori più potenti nel campo dei media e della cultura, cosa che influenzerà la produzione culturale”.

Tutto questo sta già accadendo da tempo. E il problema, come aveva segnalato Jenkins, è la concentrazione del potere nel controllo dei media. Non la convergenza.

Questo testo è tratto dalla newsletter Artificiale.

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