Dai guidatori di risciò del Bangladesh agli scolari del Kenya, gli abitanti dei paesi a reddito medio-basso consumano una quantità sempre maggiore di alimenti confezionati ultraprocessati, che a lungo andare potrebbero causare dei seri problemi di salute pubblica, con un aumento dei tassi di obesità e la diffusione di malattie come il diabete.
È l’allarme lanciato da alcuni nutrizionisti esperti di economie in via di sviluppo intervistati dal quotidiano britannico The Guardian. Il consumo più frequente di snack con un alto contenuto di calorie e zuccheri è dovuto sia ai ritmi di lavoro a cui sono sottoposti i lavoratori e le lavoratrici dei centri urbani sia al rincaro di tutti i prodotti alimentari, che ha reso la merendina chiusa in un sacchetto di plastica un’alternativa economica rispetto a un pasto tradizionale.
Il nutrizionista Barry Popkin ha notato questa tendenza nei paesi in via di industrializzazione e con forti tassi di urbanizzazione, come quelli dell’Asia e dell’Africa. Questo si accompagna a una disponibilità e a una diffusione sempre più grande di prodotti confezionati. Secondo il rapporto State of snacking 2022, della multinazionale Mondelez (proprietaria dei marchi Oreo, Ritz, Tuc, Milka e altri ancora), più della metà delle persone intervistate in tutto il mondo sostituisce almeno un pasto a settimana con degli snack. Questa percentuale raggiunge i due terzi nella sola Asia.
Tra il 2006 e il 2019 le vendite di prodotti ultraprocessati sono raddoppiate nei paesi in via di sviluppo, che le grandi aziende alimentari hanno preso di mira dopo aver saturato i mercati dei paesi più ricchi. Per gli esperti come Popkin che lavorano per l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), questi cibi aggravano nei paesi poveri di Asia e Africa il fenomeno chiamato “il doppio fardello della malnutrizione”: cioè la presenza allo stesso tempo di problemi di salute pubblica legati alla denutrizione e all’obesità.
Questo testo è tratto dalla newsletter Africana.
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