15 novembre 2023 10:44

A fine ottobre si è conclusa a Lagos, in Nigeria, la fashion week, uno degli eventi di moda più importanti del continente. In quell’occasione è stato presentato un rapporto dell’Unesco che fa il punto del futuro della moda africana. Con in copertina una foto dell’artista keniana Thandiwe Muriu, il volume The Africa fashion. Trends, challenges and opportunities for growth si concentra sulle prospettive continentali di questo settore in espansione che, tra tessuti, abiti e scarpe, si stima produca entrate per 15,5 miliardi di dollari. La sua crescita va di pari passo con l’espansione delle classi medie urbane nel continente e con la sempre maggiore attenzione dei compratori internazionali.

Ormai in 32 dei 54 paesi africani si organizzano sfilate e settimane della moda. Città come Abidjan, Casablanca, Dakar, Johannesburg e Nairobi sono diventate dei centri di attrazione, non solo per le attività economiche e finanziarie, ma anche per quelle legate al design e alla creatività.

“Il potenziale è enorme, non solo dal punto di vista economico, ma anche per quanto riguarda l’inclusione dei giovani, l’empowerment femminile e la diffusione della cultura africana a livello mondiale”, spiega la direttrice generale dell’Unesco Audrey Azoulay nell’introduzione del rapporto.

In Africa il grosso del settore è formato da piccole e medie imprese che producono per i mercati locali capi pronti e su ordinazione, spiega il sito keniano Bird. Tuttavia, c’è un numero sempre maggiore di marchi di fascia alta – concentrati in Costa d’Avorio, Ghana, Kenya, Nigeria, Ruanda, Senegal e Sudafrica – che offrono prodotti di lusso a clienti selezionati con un elevato potere d’acquisto. Si stima che l’anno scorso il mercato dei prodotti di lusso (che non comprende solo l’alta moda, ma anche gli accessori e altro) abbia generato sei miliardi di dollari di entrate, e continui a espandersi di anno in anno.

Nel rapporto si ricorda che l’Africa è anche, e soprattutto, un posto di approvvigionamento, con 37 paesi che producono cotone (in testa c’è il Benin, che ricava dalla fibra il 12 per cento del suo pil). Ma si fabbricano anche lana, seta, rafia e fibre meno conosciute come il kapok, la juta o il sisal.

Chiaramente il rapporto cita i nomi degli stilisti e delle stiliste più famosi. Elenca inoltre i possibili ostacoli allo sviluppo del settore, come per esempio l’assenza in alcuni casi di leggi che proteggano efficacemente la proprietà intellettuale.

Una menzione speciale è dedicata alle piattaforme di commercio online che hanno contribuito al successo dei piccoli venditori di capi d’ispirazione africana, come Afrikrea, con sede in Costa d’Avorio, l’egiziana Brantu o la panafricana Industrie Africa, che mette in primo piano i marchi più virtuosi secondo criteri ambientali ed etici.

Questo testo è tratto dalla newsletter Africana.

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