09 febbraio 2024 12:40

In queste settimane di Coppa d’Africa i giornalisti stranieri che si sono riversati in Costa d’Avorio per seguire le partite di calcio non hanno potuto fare a meno di notare l’onnipresenza di un capo d’abbigliamento molto particolare: le scarpine di plastica chiamate lêkê, che spopolano sulle strade, nei mercati ma anche nei campetti da calcio, immancabili ai piedi degli aspiranti campioni.

Conosciute come “ragnetti”, “sandali granchio” o “a gabbia”, sono spesso realizzate in plastica, un materiale povero ed economico, cosa che ne spiega in parte la grande diffusione. Su Jumia, il portale di e-commerce considerato l’Amazon africana, se ne trovano di tutti i colori, a prezzi che vanno da 1,5 a 5 euro. Di questi tempi in Costa d’Avorio, con la squadra nazionale in finale di torneo (si scontrerà con la Nigeria l’11 febbraio ad Abidjan), i modelli che vanno per la maggiore sono quelli nei colori della bandiera nazionale: arancione, bianco e verde. Una buona parte è prodotta da aziende locali.

L’invenzione di queste scarpe è attribuita a un calzolaio francese dell’Auvergne, che nel secondo dopoguerra si ritrovò con un eccesso di pvc e lo usò per fabbricare delle calzature. La colonizzazione francese le portò nel continente africano e lì conobbero il successo. Il documentarista belga Florian Vallée ha realizzato un documentario, L’Odyssée de la sandale en plastique, in cui racconta il viaggio straordinario di queste scarpe, che a seconda dei decenni hanno calzato i piedi delle persone di diverse classi sociali, per affermarsi infine come scarpe del popolo. Ad Asmara, in Eritrea, c’è un monumento dedicato a questi sandali, lì chiamati shida, che i combattenti per l’indipendenza realizzavano con la gomma degli pneumatici rotti.

Il successo delle lêkê in Costa d’Avorio è legato in gran parte alla musica. Come ricorda Leo Montaz in un articolo sul sito Pan African Music, negli anni ottanta la cantante ivoriana Monique Séka si fece notare perché indossava un modello di questi sandali in plastica con il tacco. Ma la vera fortuna arrivò negli anni novanta con la diffusione dello zouglou, un genere musicale nato tra gli studenti. I suoi principali esponenti erano poveri e ai piedi portavano le lêkê, che rapidamente diventarono un oggetto di moda. Una moda che è durata nel tempo visto che il musicista A’Salfo, oggi ricco imprenditore, tre anni fa si è fatto ritrarre sulla copertina di una rivista patinata in completo scuro e lêkê bianche.

Negli anni duemila, passato il momento d’oro dello zouglou, è arrivato un altro fenomeno musicale ivoriano: DJ Arafat, che era considerato il “re” del coupé-decalé, un altro genere popolarissimo. DJ Arafat è morto nel 2019 in un incidente. Anche lui e i suoi fan indossavano con orgoglio le scarpette. “Pochi oggetti hanno attraversato la storia della musica africana come i sandali di plastica”, scrive Montaz. “Negli anni 2010 sono diventati l’emblema della ‘Cina popolare’, come si facevano chiamare i fan di DJ Arafat, che erano, come amava dire il compianto artista, ‘numerosi come i cinesi’”.

Oggi se ne trovano anche modelli di lusso, firmati Gucci e in vendita a centinaia di euro. Ma nei video musicali, come quello della giovane rapper ivoriana Mosty, ci sono ancora quelle di una volta, ammassate in grandi sacchi di plastica sugli scaffali dei mercati.

Questo testo è tratto dalla newsletter Africana.

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