23 ottobre 2008 00:00

Ha fatto quel rumore che ti fa pensare a un pezzo di cartone quando finisce tra le ruote dell’auto. Ma pensare positivo non basta a riparare una gomma a terra. Nel tardo pomeriggio di venerdì 17 ottobre, mentre le strade di Gerusalemme si svuotavano, ho capito che non avevo scelta: dovevo accostarmi al marciapiede e cambiare la ruota.

Era una vecchia auto presa a noleggio e ho dovuto fare del mio meglio per trovare tutto l’occorrente, compresa la ruota di scorta. Mi guardavo le mani già sporche quando un giovane macho, in piedi accanto alla sua scintillante auto nera, mi ha detto: “Se dài venti shekel (quattro euro) a un operaio arabo, ci pensa lui”.

“I palestinesi ti aiutano, ma non per soldi”, gli ho risposto, dubitando che capisse. In circostanze simili i primi a offrirmi aiuto erano stati dei palestinesi. Pensavo che prima o poi qualcuno sarebbe venuto ad aiutarmi.

Stavo svitando i bulloni della ruota quando si è avvicinato un gruppo di uomini dall’aria divertita. Due si sono offerti di aiutarmi, ma quando hanno scoperto che i bulloni erano durissimi e il cric era rotto hanno rinunciato, augurandomi buona fortuna. Il terzo era ancora impegnato con i bulloni, mentre io cercavo di far funzionare il cric.

Dopo un po’ ho capito che era palestinese. Giovane, dall’aria seria e di corporatura robusta, ha sudato e ansimato finché non è riuscito a sistemare il pneumatico bucato nel cofano. All’inizio ha rifiutato la mia offerta di accompagnarlo a casa, ma quando gli ho spiegato che vivevo a Ramallah ha accettato.

“Siamo vicini”, mi ha detto. Ha la residenza a Gerusalemme, ma vive in un quartiere ai confini della “giurisdizione” dell’Autorità Palestinese, oltre il muro di separazione.

Un varco nella barriera gli permette di fare un tragitto breve. Che farà in futuro? Si trasferirà a Gerusalemme (dove gli affitti sono alle stelle e ci sono nuove case per i palestinesi) o resterà a casa sua, perdendo il lavoro e la carta d’identità?

La mia preoccupazione era più immediata. Avevo ancora in mente le parole del macho: dovevo dargli dei soldi? O l’avrebbe preso per un gesto di tirchieria (ebraica) o di sfruttamento? Dovevo pagargli il servizio, considerando la dura situazione economica di molti palestinesi? No, mi sono detta, offrire denaro è da colonialista.

Offrire denaro toglierebbe umanità al suo gesto. Lui non aveva idea dei pensieri che mi assillavano quando mi ha chiesto di fermarmi lontano da casa sua. La sua preoccupazione era non farsi vedere in compagnia di una donna (ebrea).

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