04 febbraio 2013 11:00

La contraddizione tra la bellezza pacifica delle montagne rocciose – ora coperte da un manto soffice, fresco e verde – e le scene di violenza a cui fanno da sfondo continua a lasciarmi stupefatta.

Nella valle del Giordano risiedono decine di comunità palestinesi di pastori e agricoltori. Vivono in tende e altre costruzioni improvvisate, e subiscono una serie infinita di restrizioni da parte degli israeliani: sulla libertà di movimento, sull’edilizia, sulla pastorizia, sull’allacciamento alla rete idrica. Tra il 17 e il 24 gennaio 47 strutture sono state demolite nelle due comunità di Al Maleh (un’area che decenni fa era famosa per i bagni termali). Sessanta persone si sono ritrovate senza una casa (una tenda è una casa quanto un edificio di mattoni, mi ha spiegato uno di loro). Più di metà sono bambini, ma la stampa israeliana e quella internazionale non hanno scritto una sola parola sull’argomento.

Alcuni uomini della comunità mi hanno raccontato dei soldati arrivati con jeep e bulldozer per demolire le tende “abusive” e quelle situate in un’area di addestramento militare. Il costo dell’operazione è cento volte superiore al valore complessivo di tutte le tende, ha sottolineato con amarezza uno di loro. Il 18 gennaio i soldati hanno fotografato le tende di emergenza fornite dall’Icrc e da altre organizzazioni umanitarie. Il 19 sono tornati per confiscarle. Ora le persone e gli animali sono sparpagliati su tutto il territorio.

Un funzionario palestinese è venuto per valutare l’entità dei danni, come se un terremoto avesse colpito la comunità. Mi ha raccontato che in passato ha lavorato in due diverse forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese. “Poi non ce l’ho fatta più, mi vergognavo troppo. Tutti i poliziotti palestinesi si vergognano. Siamo la polizia dell’occupazione, serviamo l’occupazione. È per questo che abbiamo combattuto e siamo stati in prigione?”.

Traduzione di Andrea Sparacino

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