02 dicembre 2013 12:22

Giovedì 27 novembre, poco dopo il voto al senato per la decadenza di Berlusconi, Lilli Gruber su La7 intervista Corrado Augias, giornalista, scrittore, in passato parlamentare europeo e molto altro. Insieme a lui c’è il giornalista Giorgio Mulé, successore di Maurizio Belpietro alla direzione di Panorama.

I due hanno posizioni prevedibilmente diverse. Mulé si intenerisce parlando del popolo forzista e lamenta la parzialità della magistratura. Augias argomenta a proposito dei modi e delle implicazioni dell’uscita di scena berlusconiana. Insomma, tutto regolare.

Ma succede che, prima dello scadere dell’undicesimo minuto (10’55”) Mulé interrompa Augias, che chiede “fammi finire”. Lo interrompe di nuovo a 11’35”. E di nuovo a 13’24”. Di nuovo a 13’28”. Di nuovo a 13’40”. Di nuovo a 13’48”. Di nuovo a 13’53”. Di nuovo a 13’59”. Di nuovo a 14’03”. Di nuovo a 14’10”. Di nuovo a 14’23”. Di nuovo a 14’25”, quando Augias ripete “Mulé non mi interrompere, okay?” (Mulé lo interrompe ancora).

Augias aggiunge: “No, su questo sono rigido” (Mulé interrompe, e siamo a 14’29”). Augias prosegue: “Quando parlo tu taci, e viceversa, okay?”. Mulé si appella a Lilli Gruber, che lo bacchetta. Augias riprende: “Ti prego: te lo dico con più grazia” (Mulé interrompe, a 14’44”). Augias continua: “Io ragiono con difficoltà” (Mulé interrompe a 14’49”). Augias insiste: “Io ragiono con difficoltà, lentamente. Se devo seguire un filo tu non devi parlare se no mi interrompi e mi…” (fa un gesto come a dire “mi confondi”) “… ho una certa età. Capiscimi”.

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Mulé cambia postura. Si allunga all’indietro come a prendere le distanze, beve rumorosamente un bicchier d’acqua, incrocia le braccia. Quando Gruber gli dà di nuovo la parola, apostrofa Augias: “Trovo oltremodo fastidioso che tu ti possa rivolgere a me così, e la finisco lì… l’imperativo non si usa tra persone educate”. E aggiunge di non aver mai interrotto.

Bene, contate: magari non se n’è neanche accorto, ma l’ha fatto quindici volte in meno di quattro minuti. Qui c’è l’intera puntata.

Vabbè, in tv succede di peggio. Molti talk show pullulano di veri professionisti della zuffa verbale, in tutte le sue specialità: monologo interminabile, interruzione semplice, ripetuta, urlata, protratta. Tali specialisti vengono di norma invitati proprio in virtù della loro specialità, la quale aggiungerebbe pepe e una componente di spettacolo a chiacchiere altrimenti noiose, su argomenti altrimenti irrilevanti.

Siamo proprio sicuri che tutto quanto possa funzionare (solo) così?

Una delle prime cose che si insegnano ai bambini piccoli, per favorire la loro socializzazione, è proprio il rispetto dei turni di conversazione, o di parola. Si tratta di una faccenda semplice: quando tu parli io ti ascolto, e in cambio quando io parlo tu mi ascolti. È a quello che Augias si riferisce.

Una conversazione, in fin dei conti, non è altro che un parlare a turno, in un qualsiasi contesto (setting), secondo una cadenza implicitamente negoziata dai partecipanti in una logica di cooperazione. E certo, anche le interruzioni sono previste, ma a patto che non cancellino il discorso, il senso di quanto viene detto e, metaforicamente, l’interlocutore.

Saper rispettare i turni di conversazione è una competenza importante. Come spiega la neuropsichiatra infantile Barbara Ciocca, i bambini se ne appropriano fra i tre e i quattro anni di età: lo sviluppo di competenze conversazionali prevede l’acquisizione di capacità di utilizzare l’alternanza dei turni nella conversazione, che presuppone l’acquisizione della differenziazione tra ruolo del parlante e dell’interlocutore… verso i 3-4 anni i bambini sono ormai consapevoli dell’alternanza necessaria nel dialogo.

E qui la domanda è: perché mai in tv dev’essere considerato accettabile e, magari, normale, moderno o necessario, che degli adulti si comportino come se avessero meno di quattro anni?

La tv è un potente agente di formazione dell’immaginario e orienta i comportamenti collettivi. Non è detto che debba sempre educare ma, insomma, potrebbe almeno limitare i contributi pesantemente diseducativi, dei quali proprio non avremmo bisogno.

Vorrei proporre un paio di soluzioni alternative.

La prima è che si diffonda (passate parola, magari) questo concetto: la rissa verbale, specie se incoraggiata o tollerata dal conduttore (segnalo che Gruber non ha fatto né una cosa né l’altra) è la prova del fatto che il confronto in sé è noioso, che il tema è insignificante e che le argomentazioni sono inefficaci. E allora tanto vale cambiar canale, senza se e senza ma.

La seconda è l’adozione, negli studi televisivi, della Poltrona Nervosa: un attrezzo per sedersi attivato dal suono della voce dell’occupante. Dopo un paio di minuti dall’attivazione la Poltrona Nervosa comincia ad agitarsi in modo prima impercettibile e via via più energico, dissuadendo l’ospite dal dilungarsi oltre misura, e il movimento cresce tanto più in fretta quanto più i toni diventano concitati. La Poltrona Nervosa può anche sprofondare: lo fa di dieci centimetri ogni volta che l’ospite interrompe qualcun altro, fino a sparire del tutto in una buca aperta sotto il set televisivo.

Tutto ciò avrebbe una discreta valenza pedagogica e anche, credo, una non disprezzabile componente spettacolare.

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