21 gennaio 2015 08:52

In molti accusano l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia di sostenere i jihadisti dello Stato islamico e di essere dunque indirettamente responsabili per gli atti di terrore che hanno colpito la Francia. Ma dove sta la verità?

Oltre al fatto che i tre paesi non possono essere messi in un unico calderone perché hanno politiche diverse, nelle accuse che gli rivolgono ci sono elementi di verità ma anche una buona dose di imprecisioni. Ricchissimo stato del Golfo, il Qatar ritiene da tempo che l’ordine coloniale e le sue dittature abbiano vita breve in Medio Oriente e che bisogna che tutto cambi perché tutto resti com’è. Per poter controllare meglio la regione, il Qatar si è presentato come primo paladino del cambiamento politico favorendo il dibattito con la creazione nel 1996 dell’emittente panaraba Al Jazeera e sostenendo ovunque i Fratelli musulmani, movimento islamista per nulla jihadista ma conservatore sul piano politico e liberale in economia.

Il Qatar ha effettivamente appoggiato gli insorti siriani più vicini ai Fratelli, soprattutto perché il regime di Damasco è alleato dell’Iran, paese sciita che il Qatar sunnita e tutte le monarchie petrolifere considerano (non a torto) il loro principale nemico. Il problema è che, quando gli occidentali si sono rifiutati di aiutare i ribelli, molti Fratelli musulmani siriani sono entrati nei ranghi dello Stato islamico, e dunque il Qatar si trova nella scomoda posizione di aver sostenuto in passato uomini diventati poi jihadisti, gli stessi che oggi combatte e teme.

Per quanto riguarda l’Arabia Saudita la situazione è diversa, perché la monarchia ha sempre sostenuto gli estremisti islamici più integralisti e radicali per il semplice motivo che la sua stabilità è fondata su un’alleanza tra la famiglia reale e i wahhabiti, una scuola rigida e completamente aderente ai testi dell’islam nata nel diciottesimo secolo in quella che sarebbe poi diventata l’Arabia Saudita. È solo quando lo Stato islamico ha minacciato la stabilità regionale che la dinastia saudita (non necessariamente appoggiata dalle ricche fondazioni wahhabite) ha preso le distanze dall’organizzazione, che oggi combatte in quanto membro della coalizione internazionale.

Quanto alla Turchia, paese sunnita e membro della Nato, ha sostenuto tutte le correnti non jihadiste dell’insurrezione nella convinzione che il ritorno alla pace in Siria passi inevitabilmente per l’allontanamento di Bashar al Assad. Ormai travolta dal caos iracheno-siriano, Ankara non sostiene lo Stato islamico ma nemmeno lo combatte (o almeno non lo ha fatto finora) perché teme che l’aver accolto un gran numero di rifugiati siriani possa esporre il paese ad attentati sul suo territorio, perché sta cercando di spezzare l’alleanza nata dalle circostanze tra i jihadisti e i sunniti iracheni emarginati dalla maggioranza sciita al governo a Baghdad e perché per forza di cose non può controllare il lungo confine con la Siria. L’Oriente è complicato.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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