15 settembre 2015 09:05

Cosa sta accadendo in Siria? Di fronte al dramma dei rifugiati questa domanda nasce spontanea, e la risposta è tanto chiara quanto complessa.

Cominciamo dall’Iran, perché il suo coinvolgimento nel conflitto è la chiave di tutto. Bastione dello sciismo, corrente minoritaria dell’islam, Teheran non ha mai smesso, dopo la caduta dello scià nel 1979, di proiettarsi al di là delle frontiere appoggiandosi sulle popolazioni sciite della regione.

In questo modo gli iraniani sono diventati imprescindibili in Libano, dove hanno creato e finanziato Hezbollah, organizzazione politico-militare sciita diventata uno stato nello stato. Inoltre l’Iran si è avvicinato enormemente alla Siria, dove il clan Assad al potere proviene da una corrente dello sciismo.

Per Teheran è stato un doppio successo, e quando l’intervento degli statunitensi in Iraq ha concesso il potere alla maggioranza sciita perseguitata ai tempi di Saddam Hussein, l’Iran sciita (persiano e non arabo) si è ritrovato in posizione di forza (rispetto a Libano, Siria e Iraq) nel cuore del mondo arabo.

Una guerra non solo siriana

Si è trattato di un clamoroso capovolgimento nella regione, che però è stato subito messo in discussione dalla rivoluzione democratica in Siria, una rivoluzione sostanzialmente sunnita come la maggioranza della popolazione siriana. È per questo che l’Iran è corso in aiuto del regime siriano finanziandolo e mobilitando le truppe di Hezbollah, anch’esse sciite.

Anche la Turchia e l’Arabia Saudita – le altre due grandi potenze della regione, entrambe sunnite – hanno giocato un ruolo di primo piano nel conflitto.

Ankara e Riyadh sono in competizione nella regione con l’Iran sciita e non potevano accettare che Teheran aiutasse Bashar al Assad a schiacciare la maggioranza sunnita della sua popolazione né che gli iraniani mettessero le mani sulla Siria rafforzando il suo ruolo. La Turchia sperava inoltre che il regime siriano cadesse prima che la Siria sprofondasse al punto tale che i curdi conquistassero l’autonomia riaccendendo la questione curda in Turchia.

Tutte queste cause hanno spinto turchi e sauditi ad aiutare lo Stato islamico, un’organizzazione di cui il regime siriano aveva favorito la crescita per contrastare l’insurrezione democratica, ma che è cresciuta esponenzialmente assorbendo ex ufficiali sunniti di Saddam Hussein che hanno sposato la causa della creazione di uno stato sunnita a cavallo tra Iraq e Siria.

Le potenze sunnite come Turchia e Arabia Saudita non sono intervenute, però adesso si ritrovano a combattere lo Stato islamico al fianco dell’occidente perché ormai hanno paura del furore jihadista.

Infine c’è la Russia, che sostiene Assad perché la Siria era la sua ultima base in Medio Oriente e perché Vladimir Putin non vuole vedere un popolo ribellarsi e rovesciare una dittatura. La guerra in Siria, insomma, non è solo siriana. È una guerra regionale, ed è anche per questo che non se ne vede la fine.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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