08 novembre 2016 12:53

I sondaggi prevedono una vittoria di Hillary Clinton contro Donald Trump alle presidenziali dell’8 novembre, ma sul lungo periodo il clintonismo non è adatto a battere il trumpismo. Per incanalare positivamente la rabbia popolare cavalcata da Trump serve una linea molto più radicale. È vero, il programma democratico è il più progressista da anni. Facendo proprie le proposte di Bernie Sanders sul salario minimo di 15 dollari l’ora, la riduzione delle tasse universitarie, la regolamentazione finanziaria e la modifica del trattato di libero scambio nel pacifico (Tpp), Hillary Clinton è riuscita a placare il senatore del Vermont e molti dei suoi sostenitori.

Ma il Partito democratico resta fermamente orientato verso il libero mercato e segnato da decenni in cui ha approvato il Nafta, distrutto lo stato sociale, favorito Wall street e sostenuto progetti come l’oleodotto Keystone. Dunque è perfettamente normale che le persone di sinistra più disilluse temano che Clinton non manterrà le promesse dopo le elezioni.

I democratici devono riflettere su importanti interrogativi sollevati da questa campagna elettorale: fino a che punto l’astensionismo o il sostegno a Trump da parte della classe operaia bianca possono essere imputati alla propaganda repubblicana e non alla rabbia per l’ipocrisia dei democratici sulle questioni economiche? Se gli ultimi otto anni di ripresa gestita da Obama non hanno favorito questi lavoratori, perché mai oggi dovrebbero sostenere Hillary, sua erede designata? Trump può permettersi di annunciare che farà il duro con la Cina, che farà pagare ai vari governi l’appartenenza alla Nato e che distruggerà il mercato globale, ma questo tipo di populismo non si addice ai democratici, neanche dopo la “rivoluzione” di Sanders.

L’approccio clintoniano basato sulla conquista dei moderati e dei riluttanti di sinistra presuppone l’esistenza di un centro ideologico che però regge sempre meno

Questo stile è fondamentalmente estraneo all’identità di un partito che da trent’anni si distingue per il sostegno alla globalizzazione, al libero mercato e alle politiche di tagli alla spesa pubblica. Senza prestare attenzione alle sofferenze della loro base elettorale, i leader democratici hanno continuato a seguire la stessa rotta, ignorando le richieste di una maggiore giustizia economica. I risultati di questa svolta a destra sono evidenti. Lavoratori sottopagati e precari, anziani più poveri, immigrati terrorizzati dalla retorica xenofoba e giovani disillusi sepolti dai debiti.

Eppure l’ultimo anno ci ha mostrato che milioni di cittadini sono pronti a scegliere la via alternativa indicata da Bernie Sanders e dal leader del Partito laburista britannico Jeremy Corbyn. Questi due leader hanno cercato di articolare una visione più umana e socialdemocratica e il loro programma, se applicato, migliorerebbe la vita dei poveri, restituirebbe dignità ai lavoratori e garantirebbe ai giovani che i loro sforzi non saranno vani.

Hillary Clinton e il Partito democratico farebbero bene a prendere sul serio la richiesta popolare di un’alternativa. La maggioranza dei giovani statunitensi – tra cui anche i laureati, sommersi dai debiti e costretti ad accettare lavori mal pagati o a restare disoccupati – fa parte della classe operaia. Sono il 60 per cento, più di qualsiasi altro gruppo di statunitensi, e questo lascia pensare che le politiche di classe saranno sempre più pesanti. Anche prima della candidatura di Sanders alle primarie, il 66 per cento degli statunitensi notava conflitti “forti” o “molto forti” tra ricchi e poveri, e dati recenti mostrano che la disuguaglianza nella ricchezza tra la classe media e le élite ha raggiunto livelli senza precedenti.

La maggioranza degli statunitensi non è contenta della situazione in cui si trova ed è disposta a pagare più tasse o a tassare i ricchi per migliorare l’istruzione pubblica e finanziare l’assistenza sociale. In questo clima, favorito dalla crisi del 2008, saturo di rabbia verso il potere politico ed economico, l’atteggiamento clintoniano basato sulla conquista dei moderati e dei riluttanti di sinistra presuppone l’esistenza di un centro ideologico che però regge sempre meno. Magari questo stato di cose non è evidente alla vigilia del voto dell’8 novembre, ma presto lo sarà.

Come per la socialdemocrazia in Europa, la scelta migliore per i democratici statunitensi è spostarsi a sinistra e adottare un programma che faccia i conti con le reali necessità, paure e aspirazioni delle persone che lavorano. Prima di tutto devono sostenere un’assistenza sanitaria pubblica e un’istruzione pubblica di qualità, e devono combattere per garantire sostanziosi sussidi di maternità e paternità e asili nido accessibili a tutti, in modo da aiutare le giovani famiglie. Queste politiche non solo sarebbero un sollievo per le persone in difficoltà, ma contribuirebbero a ricompattare un elettorato diviso. Politiche a favore di tutti gli statunitensi stimolerebbero la solidarietà e l’impegno politico necessari per costruire una coalizione progressista duratura.

L’alternativa è più ansia, più disuguaglianza e un ulteriore deterioramento della base elettorale del Partito democratico. L’estrema destra in stile Trump è pronta ad approfittarne. Per i democratici statunitensi e per i loro colleghi europei la scelta, a questo punto, è tra il socialismo e l’irrilevanza.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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Questo articolo è stato pubblicato il 4 novembre 2016 a pagina 40 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

La versione originale è uscita il 4 novembre 2016 su The Nation.

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