26 luglio 2016 13:33

Abbracciarsi, travolti dall’entusiasmo, è meraviglioso. Lo notava qualche tempo fa, in margine, un’esponente del Pd parlando in televisione dei cinquestelle vittoriosi. E aveva ragione.

L’essere umano è al meglio quando si riempie di fantasie, di idee, di passione, di gioia, d’amore, dell’urgenza entusiastica di rifare tutto daccapo, fino a traboccare. Non gli basta più se stesso, il proprio particulare. Vuole farla finita con la solitudine, il rimuginio insofferente, lo scontentissimo blablabla. Vuole, anzi deve sconfinare. E poiché rompersi e dilagare non si può, cerca l’abbraccio, gli abbracci, con l’altro, con gli altri. La politica in quei momenti è una straordinaria occasione di felicità comunitaria. E la deputata del Pd ne sentiva la mancanza.

C’è tutto il necessario, a volte, nella politica-spettacolo: la giovinezza, l’aspetto piacevole, la parlantina addottrinata o immaginifica, la resistenza del sistema nervoso, il giusto dosaggio di aggressività e pacatezza, un programmino da volantinare. Ma il profilo individuale è troppo netto. La persona è come irrigidita dalle numerose qualità che gli sono toccate in sorte. Così si è pieni, sempre più pieni, ma di sé. L’entusiasmo è enunciato, tuttavia non trabocca. La politica è compiacimento, non comunanza travolgente. Si coopta, si fa fuori, si esclude, si include, si vince, si perde. Ma si è soli, non ci si abbraccia.

Questa rubrica è stata pubblicata il 22 luglio 2016 a pagina 12 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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