16 luglio 2016 15:54

Più sicurezza, più soldati, più stato d’emergenza. La risposta delle autorità francesi dopo la strage di Nizza suona retorica e impotente. Se i provvedimenti adottati dopo l’attentato del 13 novembre 2015 a Parigi hanno forse permesso di evitare altre azioni criminali organizzate, questa volta ogni contromisura sembra vana. Oggi, l’unica vera risposta sta nella reazione della società francese. Ma più che di una risposta si tratta di una domanda: quante stragi la Francia può supportare ancora? Qual è il suo grado di resilienza, la sua capacità di compattarsi e di non cadere nella trappola del terrorismo e nella guerra civile?

Anche se finora non abbiamo ancora elementi certi sulle reali motivazioni dell’uomo che la sera del 14 luglio ha travolto la folla sulla promenade des Anglais di Nizza, la strage ha almeno tre caratteristiche che possono mettere a rischio la tenuta del paese.

  1. Per la prima volta la strage si compie lontano da Parigi. C’erano già stati attacchi come quello di Mohamed Merah nel 2012 a Montauban e nella scuola ebraica di Tolosa, ma non si trattava di attacchi indistinti e di queste proporzioni. Finora, per gran parte dei francesi il terrorismo era percepito soprattutto come una minaccia che riguardava la capitale. Dopo Nizza, è tutto il paese che si sente sotto attacco.
  2. La scelta di un camion sembra rispondere alla richiesta del portavoce ufficiale del gruppo Stato islamico (Is), Abu Mohammed al Adnani, che nel 2014 invitava tutti i “soldati del califfato” a fare ricorso a qualsiasi arma possibile: “Se non potete fare esplodere una bomba o sparare un colpo, arrangiatevi per investirli con la vostra macchina”. Non è sicuro che Mohamed Lahouaiej-Bouhlel fosse legato all’Is, ma l’uso di un tir di 19 tonnellate corrisponde alla volontà di trasmettere l’idea che anche senza armi (a differenza degli attentati contro Charlie Hebdo o del Bataclan), i terroristi possono colpire dove vogliono.
  3. La scelta del 14 luglio è più che simbolica: è il giorno della libertà, ma anche della fratellanza e di una forma di comunione laica a cui partecipano tutti i francesi. L’obiettivo dei terroristi sembra quello di dividere, dicendo ai musulmani che non devono unirsi agli altri concittadini se non vogliono rischiare la morte, e cercando di spingere i francesi a odiare tutti i musulmani e gli immigrati in modo da isolarli e mandarli, quindi, tra le braccia dello Stato islamico.

Insomma, l’obiettivo sembra essere quello di provocare una spaccatura insanabile tra i 5-6 milioni di musulmani francesi e il resto del paese. Oggi nessuno è in grado dire se ci riusciranno. Tuttavia vale la pena registrare come dopo Charlie Hebdo, che pure aveva suscitato una forte reazione di unità nazionale (anche se più blanda nelle periferie, come segnalato da Emmanuel Todd), la coesione del paese sia andata via via sgretolandosi. E dopo l’ultimo attentato del 13 novembre il Front national di Marine Le Pen si è confermato nettamente il primo partito di Francia con il 27 per cento delle intenzioni di voto.

È importante vedere cosa succederà dopo quest’ultima strage. Anche perché, a differenza di Parigi, Nizza e il dipartimento delle Alpes-Maritimes potrebbero diventare una polveriera per via della forte presenza migratoria (10 per cento della popolazione, superiore dell’1,5 per cento alla media nazionale) e della forte radicalizzazione islamista tra i giovani (il dieci per cento dei combattenti stranieri francesi in Siria o Iraq sarebbero partiti proprio dalle Alpes-Maritimes).

Al tempo stesso, in questa regione c’è un’estrema destra storicamente molto forte e radicata: mentre al secondo turno delle regionali di dicembre il Fronte nazionale è sceso a circa il 7 per cento nell’undicesimo arrondissement di Parigi, quello colpito dagli attentati, a Nizza Marion Maréchal-Le Pen ha ottenuto 45,2 per cento dei voti. E alcuni gruppi neofascisti sono molto attivi in zona.

Un po’ più di un mese fa, nel corso di un’audizione parlamentare, il capo dei servizi interni francesi Patrick Calvar aveva espresso il suo timore di una crescita dei gruppi neofascisti. “Ci sarà uno scontro tra l’estrema destra e il mondo musulmano”, aveva detto Calvar, aggiungendo: “Dovremo trovare le risorse finanziarie per occuparci di altri gruppi estremisti perché lo scontro è inevitabile”. Alcuni giorni prima, davanti alla commissione difesa dell’assemblea nazionale, sempre Calvar aveva detto: “Ancora uno o due attentati, e questo scontro ci sarà”.

Finora gli attentati hanno provocato un forte aumento degli attacchi contro moschee e minacce contro i musulmani (sono aumentati del 223 per cento tra il 2014 e il 2015), ma non così gravi da rimettere in discussione la convivenza civile. Dopo Nizza, però, e con l’avvicinarsi dell’elezioni presidenziali del maggio 2017 e la strumentalizzazione politica dei temi della sicurezza, dell’identità e delle migrazioni, la Francia rischia di esplodere. E oggi non si tratta più di capire se il paese è sotto attacco, ma se ha ancora gli anticorpi per resistere alla trappola del terrorismo.

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