06 dicembre 2016 14:58

Difficile trovare un altro film così astratto nella concretezza, o se preferite, così capace di dare concretezza all’astrazione. Monte si fonda su un’apparente contraddizione, quella di asceti posseduti dalla mistica della fatica fisica più estenuante, di condannati alla perpetuità in inferi dove le fiamme ardenti sono una landa desolata, un pianeta lontano e sassoso, ma che proprio da questa perpetuità trovano la linfa per assurgere a una nuova consapevolezza, per trovare la luce. Oltre la morte, oltre tutto.

Autore di quest’opera profonda e originale è Amir Naderi, regista iraniano specialista in imprese del genere. Dopo gli esordi nell’Iran degli anni settanta si è trapiantato negli Stati Uniti dove ha continuato una prolifica attività registica. Vale la pena di ricordare gli ultimi titoli: Vegas. Based on a true story e Cut, presentati anch’essi a Venezia come questo Monte, inserito però fuori concorso (chissà perché), mentre lo straordinario e folle Vegas fu giustamente collocato in concorso e Cut nella sezione Orizzonti.

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Monte è il primo film tutto italiano di Naderi. Italiani sono infatti la troupe, gli attori protagonisti, Andrea Sartoretti e Claudia Potenza, a cui si aggiunge la partecipazione straordinaria di Anna Bonaiuto, il direttore della fotografia, la costumista, lo scenografo. È un’opera sull’ostinazione, sul vincere l’ostacolo a tutti i costi raggiungendo l’irragiungibile, o quantomeno avvicinandocisi molto. E il monte roccioso del titolo è una perfetta metafora di entrambe le cose. Ma il bello risiede nel fatto che l’intero film è duale, sul limite, sulla soglia. Nel perseguire un obiettivo, il confine è labile tra l’ostinazione, il non arrendersi che conferisce dignità, e l’ossessione che porta alla follia, al fanatismo.

Spingersi al limite
Siamo in un medioevo imprecisato, così si mantiene l’astrazione e una sorta di atemporalità, di mistero. Ma certamente nel Norditalia. Agostino è un pastore di montagna che non esita a trascinare la moglie e il figlio, seppure adorati, in una situazione al limite della perdita, del dissolvimento. Li spinge a perseverare a qualsiasi costo, anche se vorrebbero andare via, abbandonare quel villaggio sperduto dove non sembrano esserci reali possibilità di sussistenza. Perché quello che conta è che ci siano la luce del sole e qualcosa da mangiare.

Il sole infatti è perennemente oscurato dalle cime della montagna, imponente e incombente. Immanente, verrebbe da aggiungere anche se il monte in questione è oggetto, all’opposto, di una sorta di metafisica, di un misticismo laico. Niente sole quindi ma montagne aride, vento e tanta, tanta terra. Terra nelle mani, in faccia, negli occhi, nei colori del vestiario, sugli esseri umani che finiscono per confondersi con la terra stessa. Un colore unico. A meno di scendere a valle.

La notte è segnata da rumori inquietanti non riconoscibili, urla, gemiti. Si teme che prima o poi qualcuno arriverà a prenderli, autorità spietate o forse gli spiriti del monte, del malocchio. In questo film, dalle splendide inquadrature panoramiche che incorniciano un grigio nuvoloso, si attende sempre un miracolo. Ma che, se verrà, verrà da noi stessi, da dentro di noi.

Monte è un film sulla fatica ossessiva del lavoro, del vivere, del mantenersi saldi nella quotidianità più prosaica

È un film sulla fatica ossessiva del lavoro, del vivere, del mantenersi saldi nella quotidianità più prosaica, scisso sulla condizione umana, proprio come scissi lo siamo noi. Tra immobilismo e velocità (il ragazzo che corre), tra il picconare all’infinito e l’immobilità ineffabile del mondo ancestrale (il monte), si viene illuminati e si ha la rivelazione che tra gesti veloci, pesanti e ripetitivi anche i gesti di tenerezza, come quello di pettinare dei capelli nella tranquillità familiare, sono alla fine un gesto unico, quello di tutti gli uomini mentre cercano di impadronirsi del proprio monte, in una gestualità teatrale sempre concreta ma astratta nella sua quasi insensatezza.

Scenario da apocalisse oppure sole allo zenit? Sarà lo spettatore a scoprire come finisce questo viaggio nella vita, a vedere se siamo condannati a deambulare in una terra lunare come in quegli incubi notturni dove si lotta nel vuoto, oppure se possiamo scoprire la luce. Quella luce voluttuosa che ci avvolge e forse non vediamo più, accecati dalla fatica quotidiana per vincere sul monte.

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