14 agosto 2015 12:19

Che fine ha fatto il cardinale Angelo Bagnasco? Eh sì, perché sarebbe lui il presidente della Conferenza episcopale italiana. Eppure con il passare del tempo è sempre più il segretario generale, quel monsignor Nunzio Galantino fino a poco tempo fa vescovo della sperduta Cassano Jonio, in Calabria, a parlare a nome dei vescovi italiani. O almeno di una parte di essi perché – non è un mistero – ci sono settori e personalità della chiesa non in sintonia con questo papa argentino poco interessato, in apparenza, alla dottrina, pronto a smontare i privilegi ecclesiastici e che spesso, addirittura, parla male del clero o quantomeno ne denuncia i comportamenti poco evangelici o semplicemente troppo aderenti alla mondana ricerca di potere personale.

Tuttavia Galantino, il vescovo che viene dalla periferia, parla chiaro, a volte perfino troppo. Come è successo ultimamente, per poi ricorrere a frettolose e grottesche retromarce. Dietro la confusione però c’è un fatto concreto: la Cei non sa più quale strada seguire, è divisa al suo interno, lo stesso Galantino che “fa” il presidente ma presidente non è, probabilmente non è aiutato da collaboratori esperti di rapporti con i mezzi d’informazione e con la politica.

Così il linguaggio centellinato e sempre in equilibrio retorico tra il dire e non dire, pronto a usare parole grosse quando non si correvano eccessivi rischi – tipico dei vertici ecclesiastici – è esploso in una sarabanda di “fanfaroni” e “piazzisti” rivolto dal vescovo Galantino a leghisti e grillini. Questi, in materia di immigrazione, si dimostrerebbero appunto venditori da strada più che politici responsabili e in grado di rispondere a una crisi umanitaria senza precedenti con la legge universale della solidarietà, con senso politico e diplomatico.

Di più, intervistato dal settimanale Famiglia Cristiana quasi allo zenit estivo del ferragosto italiano, il segretario della Cei ha lanciato nuovi strali contro la Lega nord, contro i cristiani solo a parole, difensori dei crocefissi nelle aule scolastiche ma non del Vangelo nella realtà. E infine – qui il passaggio del Rubicone – ha chiamato in causa pure il governo. Questa è una linea rossa che la Cei negli ultimi decenni ha varcato raramente e solo quando sapeva che l’esecutivo in carica era a rischio o ormai in crisi: allora piazzava la sua zampata, non di rado assestando il colpo finale a un governo già di ombre.

Secondo il segretario-kamikaze, il governo è responsabile di non far niente in materia di integrazione

Altra è stata la scelta di Galantino che ha deciso di criticare un potere politico ancora in sella. Secondo il segretario-kamikaze, il governo è responsabile di non far niente in materia di integrazione e accoglienza limitandosi a evitare tragedie in mare, che va bene ma non serve se poi non si lavora sul piano della convivenza, della crescita civile, delle leggi sulla cittadinanza e così via.

Insomma Galantino aveva svolto fino in fondo il proprio ruolo di pastore menando colpi a destra e a manca senza riguardi, suscitando una discussione intensa ma reale, fino a quando la Cei, nella serata del 12 agosto, ha mandato via email una smentita dell’intervista, scritta però dalla direzione di Famiglia Cristiana che si è, in tal modo, clamorosamente autoaffondata.

Il senso del testo era: abbiamo esagerato le dichiarazioni di Galantino, ce ne scusiamo. Il tutto risultava agli occhi di chi ha seguito in questi anni le vicende ecclesiastiche, poco credibile: l’intervista era di fatto in linea con quanto lo stesso esponente della Cei aveva già detto negli ultimi giorni, con l’eccezione delle critiche al governo.

L’accusa che ne è nata, fondata o meno che sia, è stata inevitabilmente quella di sempre, cioè che la chiesa fa marcia indietro a causa delle troppe cose in ballo con il governo: i soldi alle scuole cattoliche, la contestazione alla legge sulle unioni civili, eccetera. In tal modo la Cei avrebbe messo in atto, per l’ennesima volta, l’esatto contrario di quella testimonianza priva di interessi in favore dei più deboli chiesta anche dal papa. Insomma un autogol in piena regola.

Ma la giravolta Galantino-Famiglia Cristiana-Cei ha soprattutto fatto segnare un punto a Matteo Salvini, Maurizio Gasparri, Francesco Storace e altri che si sono stracciati le vesti in quanto cattolici tutti d’un pezzo colpiti nella loro sensibilità. Un pasticcio colossale insomma, di cui hanno fatto le spese organizzazioni come la Caritas e altre strutture cattoliche che si dedicano all’accoglienza dei disperati provenienti dal mare e sono impegnate in una battaglia civile contro il razzismo diffuso a piene mani da una destra ormai priva di argomenti sostanziali se non quello del muro da alzare contro lo straniero.

La chiesa italiana scricchiola e perde pezzi, incapace com’è di confrontarsi con i mutamenti del mondo

La presidenza della Cei in tutto questo è sparita. Del resto Bagnasco non s’intende con il papa e anzi la distanza tra i due non ha fatto che aumentare con il passare del tempo. Inoltre Galantino svolge da tempo, di fatto, le funzioni di commissario straordinario, ma i risultati sono incerti: la chiesa italiana scricchiola e perde pezzi, incapace com’è di confrontarsi con i mutamenti del mondo.

I vescovi italiani – lo ha spiegato anche lo storico cattolico Andrea Riccardi qualche giorno fa sul Corriere della Sera – hanno rifiutato di ridurre il numero delle diocesi, (quindi, aggiungiamo noi, degli incarichi e dello status che ne derivano in termini di potere sociale).

Nel frattempo settori reazionari e ultraclericali del mondo cattolico, accompagnati da segmenti di un episcopato dai tratti decisamente fondamentalisti (per questo assai diffidente da sempre pure sul tema immigrazione), si sono mobilitati per fermare la legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso.

Tema sul quale lo stesso Galantino ha espresso critiche senza però aderire alle manifestazioni del family day, cercando un difficile equilibrismo tra vecchio e nuovo. D’altro canto, ancora una volta, tra rinvii e ipotesi di annacquamenti della legge, il parlamento ha mostrato una certa sensibilità agli attacchi contro i diritti degli omosessuali portati avanti dagli ambienti del cattolicesimo più retrivo.

Altrove però, anche su Avvenire, il quotidiano della Cei, è nel frattempo cominciato un dibattito senza paraocchi tra cattolici sulla questione del gender, cioè sul senso dell’orientamento sessuale delle persone, sul significato da dare a maschile e femminile uscendo dal recinto ideologico della crociata Dio-patria-e famiglia.

Papa Francesco ha cancellato i princìpi non negoziabili fin dal principio del pontificato e la cosa non è andata giù a molti. Da qui è nato uno scontro molto più articolato e frastagliato di quanto non si creda, e che si svolge nel mondo ecclesiale e cattolico: nelle associazioni, nelle parrocchie, nella società, sulla spiaggia di Lampedusa, nelle aule del parlamento e presto anche in Vaticano, in occasione del prossimo sinodo mondiale sulla famiglia e poi durante l’anno santo della misericordia, indetto da Bergoglio a partire dal dicembre del 2015.

Questa apertura al mondo alla fine produrrà un nuovo corso per il cattolicesimo italiano

Di certo mai come in questa fase è emersa la crisi di leadership e di visione dell’episcopato italiano che, spintonato a forza dal papa nel vasto mondo, portato fuori dai convegni inutili e dalle sacrestie, non sa bene in quale direzione voltarsi, mentre una parte delle gerarchie non nasconde il suo ammutinamento silenzioso e impaurito rispetto a un pontificato che rischia di ridurre drasticamente la centralità romana e italiana nella chiesa universale.

Questa apertura al mondo, sempre secondo Riccardi, che è anche leader storico della Comunità di Sant’Egidio, alla fine produrrà un nuovo corso per il cattolicesimo italiano, che pure attraversa una crisi di visione e di lettura della società. Di certo la scelta radicale di papa Francesco, lo stare dalla parte dei poveri in modo concreto, nell’aiuto e nella richiesta di giustizia, ha selezionato già diversi tipi di chiesa e di credenti, mondi sommersi sono emersi e diventati protagonisti e oggi parlano finalmente con autorevolezza fuori delle catacombe mediatiche in cui erano costretti.

Ma restano incrostazioni profonde, rapporti solidi con il potere duri a morire e privilegi grandi e piccoli ai quali non si rinuncia. E timori nel definire nuove forme e contenuti di partecipazione sociale e, forse, di missione cristiana.

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