12 maggio 2016 12:08

Se si esclude il presidente della repubblica francese, non c’è leader politico europeo che abbia un mandato personale più ampio del sindaco di Londra: controlla un budget di venti miliardi di euro in una città che ha quasi nove milioni di abitanti.

Londra è il capitalismo nella sua forma più compiuta, aggressivo e arrogante. Una città che ha progressivamente espulso tutti quelli che non potevano permettersi i suoi affitti altissimi e un costo della vita assurdo, e che al tempo stesso non smette di attirare talenti da tutto il mondo offrendo opportunità, lavoro, servizi, investimenti, cultura, divertimento. Sadiq Khan, il nuovo sindaco, ha promesso di contenere i prezzi degli affitti, congelare il costo dei trasporti pubblici, rafforzare la sicurezza, migliorare la qualità dell’aria, aumentare le piste ciclabili. Poi naturalmente governare una città significa anche altro, per esempio avere un progetto per il futuro, e decidere se stare dalla parte dei più deboli o dei più ricchi.

La biografia di Khan si può riassumere in poche parole: quarantacinque anni, nato e cresciuto nel quartiere operaio di Tooting, genitori emigrati dal Pakistan, il padre per venticinque anni autista della linea 44 degli autobus di Londra, la madre sarta, quinto di otto fratelli, musulmano, iscritto al Partito laburista da sempre. Chi lo critica dice che Khan è un opportunista che cambia spesso posizione. Per ora sappiamo che si è opposto alla guerra in Iraq, è favorevole a restare nell’Unione europea, è d’accordo con i matrimoni tra persone dello stesso sesso, ma anche che è in rotta di collisione con Jeremy Corbyn e l’ala sinistra del Partito laburista e che, lo ha ripetuto varie volte, sarà il sindaco più “probusiness” che Londra abbia mai avuto. Perfino più del suo avversario, il conservatore Zac Goldsmith, giornalista, ecologista, antieuropeista, figlio del finanziere sir James Goldsmith.

Le origini, la sua storia e la religione non faranno necessariamente di Khan un buon sindaco, però non si può neppure prescindere dalla forza dei simboli: in una grande capitale dell’Europa del ventunesimo secolo, il figlio di un conducente di autobus ha sconfitto il figlio di un miliardario. E per oggi può bastare.

Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2016 a pagina 5 di Internazionale, con il titolo “Autobus”. Compra questo numero| Abbonati

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