25 agosto 2016 16:42

“Quando un fatto comincia a somigliare a qualcosa che vi sembra vero, diventa difficile distinguere tra i fatti che sono veri e i ‘fatti’ che non lo sono”. Il lungo articolo di Katharine Viner, la direttrice del Guardian di Londra, che pubblichiamo questa settimana, pone in modo forte e convincente una serie di questioni fondamentali, in primo luogo sul perché i mezzi d’informazione siano diventati, spesso loro malgrado, strumenti nelle mani dei populisti in Europa e negli Stati Uniti.

Al centro c’è l’indebolimento dell’importanza sociale della verità, di una visione condivisa, di un ampio consenso sullo svolgimento dei fatti, anche a partire da opinioni radicalmente diverse. Il giornalismo è nel pieno di una grande transizione che non si è ancora conclusa: dalla pagina stampata di Gutenberg alla pagina web di oggi.

Secondo Viner viviamo nell’era della post-verità, e l’accelerazione del ciclo dell’informazione – la “cascata d’informazioni”, come la chiama la direttrice del Guardian – sta finendo per sommergerci. L’informazione spazzatura, quella che cerca solo di acchiappare più clic e quindi più pubblicità, è come il cibo spazzatura dei fast food: sul momento è irresistibile, ma un minuto dopo è nauseante. Naturalmente la grande transizione di oggi porta con sé anche incredibili opportunità.

E per fortuna un antidoto alle notizie spazzatura c’è, però richiede sforzo e determinazione, innanzitutto da parte dei giornalisti: “Sono convinta che la differenza tra il giornalismo buono e quello cattivo sia il lavoro”, scrive Viner, “il giornalismo più autorevole e apprezzato è quello in cui si sente tutto l’impegno che c’è dietro, la fatica fatta per il lettore qualunque sia il tema trattato, grande o piccolo, serio o leggero”.

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