03 ottobre 2015 13:13

Stefano Dionisi, La barca dei folli
Mondadori, 130 pagine, 18 euro

Non è un romanzo, ma è scritto così bene e racconta cose così forti da dar punti a tanta mediocre letteratura di oggi. La solita domanda – “Perché scrivono tutti, anche se non hanno niente da dire e quel poco lo dicono in modo maldestro, imitativo e noioso?” – non vale per Dionisi, bravo attore di cinema e tv (Verso sud, Il partigiano Johnny…), che passati i cinquant’anni di cose da raccontare ne ha molte. Senza narcisismi e compiacimenti, senza effetti speciali e ricatti, Dionisi ci porta con asciutta semplicità attraverso il suo percorso nel disagio psichico.

Una strada comune a molti italiani a giudicare dagli psicofarmaci che si consumano e dal numero di psichiatri e affini che vivono di chi sta male, di chi prima o poi cede di fronte alla solitudine e alle frustrazioni, a una difficilissima ricerca di senso. Dionisi racconta il suo percorso nella malattia, i suoi compagni di “barca” (una galleria di sorprendente varietà) e quelli che si occupano di loro, i bravi e gli infidi; un padre con cui fare i conti e il suo funerale fortemente simbolico; una società dove è troppo facile crollare, e che non è solo quella dello spettacolo. Un percorso di conoscenza e di accettazione, una traversata del dolore tra “il mondo irreale degli attacchi psicotici” e “il mondo fantastico delle sostanze”.

Questa rubrica è stata pubblicata il 25 settembre 2015 a pagina 88 di Internazionale, con il titolo “Una storia per non crollare”. Compra questo numero | Abbonati

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