09 ottobre 2016 17:05

Pierre Michon, Vite minuscole
Adelphi, 204 pagine, 18 euro

Uscito a luglio, è stato una sorpresa per molti, che ci hanno cercato divagazioni letterarie e ci hanno trovato una ben diversa consistenza. Uscì in Francia nel 1984, qui esce solo ora, in splendida traduzione, quando Michon si è da tempo affermato come uno dei migliori scrittori di questi anni.

Le sette vite con cui si confronta non sono immaginarie, sono di chi ha segnato la sua esistenza, non sempre allegra, e la sua educazione ai sentimenti all’interno di esperienze comuni, dure ma non eccezionali. È la letteratura – all’inizio si ha l’impressione di un eccesso di letteratura, ma se ne capiscono presto la necessità e la portata – a giustificarle, e in qualche modo è il colloquio con i morti a tenerle insieme. Non si tratta di morti di lusso, ma di storie poco eccezionali, in una Francia provinciale, dove però arriva e colpisce la storia.

Vite qualsiasi, per l’appunto “minuscole”. È questo a dare al libro la sua forza, il nodo di un’assenza che è stata presenza, un’evocazione che mira a rendere giustizia a chi non c’è più, a un tempo perduto di persone perdute. “La loro ricerca, la loro conversazione, che non è silenzio, mi hanno dato felicità, e forse anche a loro ne hanno data”. La letteratura dev’essere alta per riuscire a tanto e per coinvolgerci in una funzione che diventa anche religiosa, catartica.

Questa rubrica è stata pubblicata il 30 settembre 2016 a pagina 94 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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