25 settembre 2015 18:18

Il cessate il fuoco attualmente in vigore in Ucraina orientale, il cosiddetto secondo accordo di Minsk, è stato firmato lo scorso febbraio, ma le armi non hanno mai davvero taciuto. Da allora sono morte almeno altre mille persone. Il 14 agosto gli osservatori dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) hanno registrato 175 violazioni del cessate il fuoco in una sola notte.

Durante una visita a Kiev quella settimana, il segretario alla difesa britannico Michael Fallon ha dichiarato che il conflitto era ancora “rovente” e che non prevedeva che potesse finire a breve. L’11 settembre scorso il presidente ucraino Petro Porošenko condannava ancora l’“aggressione neoimperialista” russa in Ucraina orientale, dove circa novemila soldati russi sostengono i separatisti di Luhansk e Donetsk.

Ma poi la musica è cambiata. Il 12 settembre, all’apertura dell’annuale incontro del forum Yalta european strategy (Yes) a Kiev, Porošenko ha annunciato che la notte precedente era stata la prima senza bombardamenti dall’inizio del conflitto. “Non è la fine della guerra, ma siamo di fronte a un cambiamento di strategia”.

Forse è tutto qui, ma se ciò significasse smettere di sparare sarebbe sicuramente un passo avanti. E in linea di massima le armi si sono davvero fermate nelle ultime due settimane, anche se niente fa ancora pensare che le truppe russe stiano davvero lasciando le province di Donetsk e Luhansk.

È stato il presidente russo Vladimir Putin a prendere l’iniziativa di fermare gli scontri armati

Porošenko sostiene che il cambio di strategia russo voglia semplicemente sostituire l’offensiva militare a est con degli attacchi politici volti a destabilizzare l’Ucraina “dall’interno”. Si riferiva probabilmente alle granate lanciate durante una manifestazione davanti al parlamento di Kiev il 31 agosto, che hanno ucciso tre soldati e ferito più di cento persone. Ma è molto improbabile che dietro questo episodio ci sia la Russia, e Porošenko dovrebbe saperlo bene.

I manifestanti fuori dal parlamento facevano parte di vari partiti nazionalisti di estrema destra. Inoltre il progetto di legge contro cui stavano protestando prevede di modificare la costituzione e concedere più autonomia alle regioni in mano ai separatisti. Si capisce quindi perché gli ultranazionalisti vi si oppongono, ma perché mai la Russia dovrebbe essere contraria?

In realtà è stato il presidente russo Vladimir Putin a prendere l’iniziativa di fermare gli scontri armati, anche se sono stati i suoi alleati locali a dichiarare che avrebbero rispettato un cessate il fuoco assoluto dal primo settembre. I ribelli, meglio equipaggiati e sostenuti dai russi quando necessario, hanno costantemente sovrastato le mal addestrate truppe ucraine: dopo il cessate il fuoco, gli unici spostamenti del fronte sono stati a vantaggio dei ribelli. Toccava quindi a loro fare la prima mossa.

E l’hanno fatta perché Mosca ha deciso di congelare il conflitto, visto che ormai ha raggiunto il suo scopo principale, ovvero salvare la faccia di Putin dopo la batosta che aveva ricevuto diciotto mesi fa, quando gli ucraini avevano deposto il presidente filorusso Viktor Janukovyč. L’annessione della Crimea, così come il sostegno militare offerti ai ribelli a Donetsk e Luhansk, erano in parte motivati dal bisogno di Putin di ripristinare la sua autorità politica in Russia.

Dopo aver “perso” l’Ucraina, Putin aveva bisogno che questa non diventasse una base per l’espansione dell’influenza occidentale – se non della Nato – al confine meridionale della Russia. Il modo migliore per farlo era ingabbiare il nuovo governo di Kiev in uno stato permanente di conflitto a bassa intensità con la Russia, in grado di indebolire l’economia ucraina e di convincere i governi occidentali a tenersi alla larga dalla regione.

Questi obiettivi sono stati raggiunti. L’Ucraina ha di fatto perso tre province (tutte abitate da maggioranze russofone), e lo stallo militare permanente tra Kiev e i ribelli significa che le sue possibilità di entrare nell’Unione europea o nella Nato sono pari a zero. Non c’è più bisogno di sparare, e la Russia ha altre gatte da pelare.

Mosca voleva solo limitare le possibilità di azione di un’Ucraina a lui ostile

Mentre il conflitto in Ucraina andava avanti, Mosca ha evitato di fare altre mosse che potessero danneggiare ulteriormente i suoi rapporti con l’occidente. Ha fornito basi logistiche per il ritiro dell’esercito statunitense dall’Afghanistan. Ha cooperato con gli occidentali nei negoziati che hanno portato all’accordo sul nucleare iraniano. Senza contare che continua a garantire i collegamenti con la Stazione spaziale internazionale, dato che i paesi occidentali non dispongono più di mezzi di trasporto.

Putin non ha mai davvero voluto una nuova guerra fredda, che la Russia avrebbe sicuramente perso. La guerra fredda ha portato al crollo dell’Unione Sovietica, che era molto più forte della Russia attuale. Mosca voleva solo limitare le possibilità di azione di un’Ucraina a lui ostile. Adesso che ci è riuscito è arrivato il momento di congelare la situazione, e sia Porošenko sia i suoi alleati occidentali sono tacitamente concordi nel ritenere che questo è il male minore.

Alla fine del forum Yes di questo mese è stato chiesto agli esperti quale sarebbe stata la situazione in Ucraina tra tre anni. Il 53 per cento dei partecipanti ucraini e il 58 per cento di quelli degli altri paesi ritenevano che ci sarebbe stata una crescita economica e una stabilizzazione politica, nonostante il permanere di un conflitto limitato e “congelato” a est. Solo il 3 per cento di ciascuno dei due gruppi riteneva che ci sarebbero stati “declino economico, instabilità politica e ulteriori perdite territoriali”. Circolare, signori, non c’è più niente da vedere.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it