01 ottobre 2015 13:30

Alla fine è successo tutto molto velocemente. Il 28 settembre il presidente russo Vladimir Putin si trovava alle Nazioni Unite, a New York, per dire che gli Stati Uniti stavano facendo “un gigantesco errore” a non sostenere il presidente siriano Bashar al Assad nella sua guerra contro i vari ribelli jihadisti, tra cui spicca il gruppo Stato islamico.

Il 29 settembre la camera alta del parlamento russo ha approvato all’unanimità l’autorizzazione per un intervento militare in Siria contro il “terrorismo”, accogliendo la richiesta del governo siriano.

E la mattina del 30 settembre l’aviazione russa ha cominciato a bombardare i ribelli in Siria. Mosca ha dato un’ora di preavviso all’ambasciata statunitense in Iraq, chiedendo agli Stati Uniti e alla “coalizione” (che sta anch’essa bombardando lo Stato islamico in Siria) di tenersi alla larga dallo spazio aereo in cui agiscono i bombardieri russi.

Quel geniaccio del candidato alla nomination del Partito repubblicano statunitense Donald Trump ha dichiarato: “La Russia vuole colpire lo Stato islamico, giusto? È la stessa cosa che vogliamo noi. La Russia è già in Siria, forse dovremmo lasciarglielo fare, no? E lasciamoglielo fare”. Per una volta, Trump ha ragione. Anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno.

I quattro milioni di siriani in fuga scappano dalla violenza del regime di Assad, non dallo Stato islamico

Se si vuole davvero fermare lo Stato islamico occorrono delle forze armate, e le uniche truppe di terra che combattono i jihadisti in Siria sono l’esercito siriano e i curdi, lungo il confine nord con la Turchia. Ma la Turchia ha spinto subdolamente gli Stati Uniti a tradire i curdi, e gli statunitensi non useranno la loro aviazione in sostegno dell’esercito siriano, che è ormai alle corde.

È per questo motivo che Palmira è caduta nelle mani dello Stato islamico a maggio. Nonostante i molti attacchi effettuati contro lo Stato islamico in Siria, gli aerei statunitensi non hanno sganciato neanche una bomba per aiutare l’esercito siriano quando stava disperatamente cercando di difendere la città storica, prima di essere costretto a ritirarsi. Per gli Stati Uniti era più importante che nessuno li potesse accusare di aver aiutato Assad a salvare la città.

Una soluzione fantasiosa

Dal punto di vista morale era una posizione corretta, perché Assad è a capo di una dittatura e i quattro milioni di siriani che sono scappati dal loro paese stanno fuggendo dalla violenza del governo, non da quella dello Stato islamico. Tuttavia, se non si vuole che i jihadisti s’impadroniscano di tutto il paese (e magari anche del Libano e della Giordania) e non si è disposti a inviare truppe di terra, chi altro si può aiutare?

La fantasiosa soluzione di Washington a questo problema era creare una “terza forza” di ribelli che avrebbe dovuto in qualche modo sconfiggere lo Stato islamico mentre la diplomazia deponeva, sempre “in qualche modo”, Assad. Ma le principali forze ribelli in Siria, il Fronte al nusra e Ahar al sham, sono anch’esse fondamentaliste e hanno poche differenze con lo Stato islamico per quanto riguarda ideologia e obiettivi. Al nusra è in realtà una costola scissionista dello Stato islamico, e oggi è affiliata ad Al Qaeda.

Se Assad cadesse, la Siria finirebbe in mano allo Stato islamico, al Fronte al nusra e ad Ahrar al sham, non a quel patetico gruppetto di combattenti che gli Stati Uniti stanno addestrando in Turchia. Il primo manipolo che ha attraversato il confine con la Siria è stato immediatamente sbaragliato dallo Stato islamico, grazie probabilmente alla soffiata del governo turco, l’alleato (non proprio fedelissimo) degli Stati Uniti.

Se i russi fossero davvero convinti che gli Stati Uniti sono disposti a fare tutti gli sforzi necessari per sconfiggere i jihadisti e salvare Assad, sarebbero probabilmente ben lieti di fare un passo indietro e lasciare l’incombenza agli statunitensi. Dopo tutto è stata proprio l’invasione statunitense dell’Iraq a favorire la nascita dello Stato islamico, i cui comandanti sono quasi tutti veterani della resistenza irachena.

Ma quando ascolta Barack Obama, Putin non sente altro che una retorica idealista scollegata dalla realtà. La Russia ha al suo interno un’ampia minoranza musulmana, ed è molto più vicina al Medio Oriente di quanto non lo siano gli Stati Uniti. Se gli americani non sono pronti a fare quel che è necessario, ci penserà lui.

In Siria potremmo vedere presto delle truppe di terra russe in azione

Putin non fa nessuna delle insignificanti distinzioni tra lo Stato islamico e gli altri gruppi jihadisti su cui gli Stati Uniti continuano a insistere. I primi attacchi aerei russi avevano come obiettivo territori controllati dal Fronte al nusra, non dallo Stato islamico. Ma i russi colpiranno anche quest’ultimo. Anzi, la prima grande operazione sarà probabilmente un attacco condotto dall’esercito siriano, debitamente riarmato e fortemente sostenuto dall’aviazione russa, per riprendersi Palmira.

Putin ha dichiarato che non manderà forze di terra in Siria: i russi non vogliono vedere i loro soldati coinvolti in un’altra guerra contro i jihadisti dopo la terribile esperienza in Afghanistan tra il 1978 e il 1989. Ma la risoluzione approvata dalla duma non fornisce alcuna garanzia in tal senso, e presto in Siria potremmo vedere in azione anche i soldati russi.

Resta da capire se l’intervento di Putin sarà sufficiente a salvare Assad. La stampa occidentale accusa il presidente russo di voler distogliere l’attenzione dal suo coinvolgimento nella guerra civile ucraina e restituire alla Russia il suo ruolo di grande potenza. Sono timori abbastanza fondati, e Putin probabilmente sta premendo per una tregua in Ucraina soprattutto per preparare il terreno per la Siria, ma non sono queste le sue motivazioni principali. La verità è che sta solo facendo quel che è necessario fare.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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